“La vita è bella”. Leggere l’Orrore con gli occhi di un bambino

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Era il 20 dicembre 1997. Sono passati quasi ventiquattro anni dall’uscita di un film che è entrato, di diritto, in quella ristretta cerchia di opere cinematografiche che si possono definire Capolavori. “La vita è belladi Roberto Benigni La vita è bella (film 1997) – Wikipedia è la straordinaria dimostrazione di come la rappresentazione di un orrore possa essere trasformata dall’immenso potere della fantasia.

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Il giorno della Memoria Giorno della Memoria – Wikipedia

Il 27 gennaio è una data che tutti dovrebbero cerchiare in rosso sui propri calendari, come i compleanni, il Natale o la Pasqua. È il giorno della Memoria, il giorno in cui si ricordano tutte le vittime della Shoah, il più grande crimine contro l’umanità ideato, progettato e perpetrato dalla follia di un unico essere umano ai danni di altri esseri umani. 6 milioni di altri esseri umani

Il 27 gennaio 1945 è il giorno in cui l’Armata Rossa entrò nel campo di sterminio di Auschwitz, liberandolo. È il giorno in cui il mondo ha scoperto che l’uomo non è un animale razionale, perché, oltre a non essere razionale, non è nemmeno un animale, perché gli animali giammai concepirebbero mostruosità del genere.

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La Shoah al Cinema

Dalla tragedia del popolo ebreo il cinema ha attinto a piene mani. Sono nate tante pellicole straordinarie dove, cambiando le storie, i protagonisti, le ambientazioni ed i punti di osservazione, venivano fuori i tanti aspetti legati strettamente alle persecuzioni razziali. Si possono citare, tra gli altri:


Il genio di Roberto Benigni

Si può raccontare lo sterminio degli ebrei in mille modi, seguendo le mille storie che i sopravvissuti ai campi di concentramento hanno da raccontare. Gli infiniti risvolti dolorosi che una simile tragedia lascia incollati al corpo ed alla mente, assieme a quel tatuaggio, a quel numero di matricola impresso sulla pelle, all’altezza dell’avambraccio sinistro, osceno simbolo di schiavitù e di totale subalternità. Roberto Benigni ha scelto la strada della fantasia per la narrazione di una tragedia che, di colpo, si trasforma in un gioco. 

Il protagonista, Guido Orefice, interpretato da Benigni, arrivato in campo di concentramento con il suo bambino Giosuè, inizia a capovolgere completamente la realtà, affinché gli occhi del bambino non scorgano l’orrore intorno a lui. Quelle leggi disumane che regolavano la terribile esistenza dei prigionieri nei campi di concentramento, diventano magicamente, rigorosissime regole di un gioco che, alla fine, regalerà al vincitore un grande premio. Gli occhi luminosi del bambino trasmettono questa entusiastica partecipazione al gioco e, insieme ai suoi, anche gli occhi degli altri prigionieri sembrano colorarsi di una nuova, disperata speranza.

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Conservare il ricordo sarà la nostra salvezza

La Shoah si può e si deve raccontare in mille modi diversi, ma va sempre raccontata e ricordata. Quando anche le voci degli ultimi superstiti si spegneranno per sempre, le loro parole, i loro ricordi, le umiliazioni subite da tutti loro, dovranno entrare nella nostra mente e rimanere lì. Per sempre. Serviranno da monito, un avvertimento che ha il sapore di una minaccia: quello che è stato può ritornare. Perché, purtroppo, gli uomini non sono come li descriveva Anna Frank nel suo diario: 

Nonostante tutto, io credo ancora che la gente in fondo sia buona.”

L’uomo dimentica, dagli errori ed orrori del passato non impara e non imparerà mai nulla. Se il passato avesse insegnato qualcosa, oggi non vi sarebbero più guerre né violenze di alcun genere. Per tale motivo, nel giorno della Memoria, ricordiamoci sempre di NON DIMENTICARE MAI.

“Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile. 

Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. 

Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga. “

Primo Levi, citazione da “Se questo è un uomo”

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