Coronavirus, Valeria Parrella: «La nostra vita non farà un giro completo. Per ritornare al punto di prima»

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Valeria Parrella , 47 anni, scrittrice napoletana, il tempo sospeso lo conosce bene. Ne ha fatto lo scenario di ben tre romanzi. E qui ci insegna a immaginare la fine del nostro isolamento.

L’incertezza al centro dei libri

Ne “Lo spazio bianco” (2008) la protagonista si divide tra la vita che scorre apparentemente sempre uguale a Napoli e il reparto di terapia intensiva neonatale in cui la è ricoverata Irene, la figlia, senza mai sapere fino all’ultimo «se la bambina sta morendo o sta nascendo». In “Tempo di imparare” (2014) c’è l’attesa attiva di un figlio e di una madre che mentre capiscono dove  andrà la vita del bambino devono capire quel che gli serve imparare per orientarsi in un mondo «che non ha proprio la forma di una promessa».  Nel più recente “Almarina”, (2019), l’incontro tra i due protagonisti è nel carcere minorile di Nisida, dove il tempo è sospeso per definizione e dove resta indefinito il compimento del legame che stringe Elisabetta, la prof di matematica, alla ragazzina che potrebbe esserle affidata.  

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«Guardiamo il futuro con occhi diversi»

«Eppure io non sono per niente brava ad aspettare. Sono abituata per carattere ad agire. Non è stata un prolungamento naturale delle mie attitudini, la condizione sperimentata dalle mie protagoniste. Ho dovuto scavare, per scrivere questi libri. Ma questo periodo straordinario che ci costringe a vedere il futuro da un’altra prospettiva, molto meno nitida, forse ha qualcosa in comune con le situazioni che ho descritto».

Valeria Parrella. (Photo by Salvatore Laporta/KONTROLAB /LightRocket via Getty Images)

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1. Lasciare andare il passato

«Il difficile è far uscire qualcosa di nuovo dall’attesa, che è ancora imprigionata dalle certezze che ci siamo lasciati alle spalle. Ora siamo sul limitare tra due mondi, ma ancora cerchiamo di ricucire il passato – la nostra routine di un tempo- con quello che verrà. Sembra impossibile usare strumenti e chiavi di lettura diverse per immaginare il futuro».

2. Rispettare le regole

«C’è la spinta ad affrontare l’attesa come se dovessimo programmare una dieta. dimagrante Sappiamo quanti chili vogliamo perdere e che metodo usare per arrivarci. Ma questa attesa non lascia ancora il risultato nelle nostre mani, non si è ancora dissolto il muro di incertezza: perché non dipende tutto da noi, come molte volte accade anche nella vita reale. Rispettare le regole è la prima cosa che concretamente possiamo fare».

3. Mettiamoci in cammino

La seconda è metterci in cammino. Staccarsi dalla immagine mentale che abbiamo della nostra vita così come era per metabolizzare il tempo presente. La nostra vita non farà un giro completo. Per ritornare al punto di prima. Per nessuno di noi, ora possiamo dirlo, sarò così. Sarà piuttosto un movimento a spirale quello che si compirà e che ci porterà in un punto diverso della nostra esistenza. Questo movimento, con la speranza che per tutti sia evolutivo, lo possiamo accompagnare anche adesso, sapendo che in questa transizione non siamo soli. Tutti ne sono coinvolti

4. Mixare speranza e fantasia

«Per immaginare il futuro quindi, come faccio nella stesura nei romanzi, suggerisco di metterci un po’ di verosimiglianza, un po’ di fantasia un po’ di speranza. Ci penserà la memoria a filtrare nel mazzo delle esperienze di queste settimane quello che dobbiamo trattenere e quello che dobbiamo lasciare andare. D’accordo con la scrittrice Annie Ernaux credo che dobbiamo sottoporci ad estenuanti sedute di memoria per trarre il senso personale degli accadimenti di queste settimane.

5. Ricordarwe

«Quel che è sicuro è che resteranno nella memoria di tutti, come si è fissata in quella mia e della mia generazione il trauma del terremoto dell’irpinia (e di Napoli) del 1980.  Per dieci anni abbiamo continuato a raccontarci il giorno delle scosse, e con ogni nuova persona conosciuta, il discorso cadeva subito lì: dove eravamo quel giorno e di come abbiamo affrontato quella situazione».

6. Lasciare ai figli bei ricordi

«Eppure ne abbiamo un ricordo dolce amaro, almeno io e quelli come me che allora erano bambini e sono stati protetti dalla sorte e dalla rete familiare. Ed è quella generazione, dei 40-50 enni di oggi, quella che ha una responsabilità enorme oggi: lasciare ai propri figli un ricordo di questa emergenza che contenga dei tratti di dolcezza. Ogni volta che ne sia possibile». 

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