Le relazioni difettose – Ragione e sentimento, perché sono sempre in disaccordo?

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Cara Ester,


scrivo a te come scriverei ad un’amica, a una confidente. Leggo da tempo la tua rubrica ed ho sempre cercato di interiorizzare i tuoi insegnamenti, forse convinta che questo modus operandi mi avrebbe fatto ottenere l’assoluzione davanti alle cosiddette “relazioni difettose”, sotto qualsiasi veste si fossero presentate.
Il piano è fallito, ovviamente.
Questa storia in realtà ha inizio quattro anni fa: io 20 anni, lui 27. Fasi diverse della vita: io sto iniziando l’università, lui si sta affacciando al mondo del lavoro. Entrambi uscivamo da storie importanti. Mi scrive su Instagram, io dapprima lo ignoro come da prassi poi per via dell’insistenza brillante e simpatica (anche per questioni estetiche, diciamoci la verità) cedo e decido di rispondere.
Scopro una bella persona, il tipo di persona adatta a me insomma. Stessi obiettivi, stessi valori, stessi interessi. Iniziamo questa sorta di frequentazione. Cinque mesi dopo la sua presenza inizia a diradarsi, i messaggi pure, le chiamate anche e presa dallo sconforto
decido di chiuderla e sparire. Senza strappi, senza drammi. Mesi dopo ricompare, un bel mazzo di scuse in mano, mi racconta il motivo per il quale si era spento in quel modo senza dare spiegazioni (ex fidanzata, logicamente) e iniziamo nuovamente a frequentarci.
Tutto bene, dirai tu. E invece trovo una persona completamente diversa, forse semplicemente cambiata. Il tipo di persona che le attenzioni te le dedica con il contagocce ma quando decide di farlo ti fa sentire in paradiso. Peccato che questa situazione appunto presupponga dei saltelli, degli up and down, delle montagne russe (almeno per me, abituata ad uno standard di relazione di coppia attestato sul “normale”). Cerco di parlarne, di capire (lui in tutto questo è consapevole delle sue mancanze, vuole stare con me e sostiene sia da imputare al suo carattere più conseguenze di esperienze passate), io aggiungo la colpa al lavoro, al tipo di carriera insomma mi faccio nuovamente prendere dallo sconforto e sparisco. Questa volta giuro per sempre. Altri mesi e ricompare, solita intesa mentale e fisica alle stelle, ci riprovo. Lui è sempre lo stesso di prima, non so ancora cosa mi aspettassi di diverso. Sai già come è andata a finire.
Il punto è: sono una persona estremamente razionale ma quando si tratta di lui mi ritrovo a dare vita a questi teatrini insensati. Mi è rimasto il dubbio che potesse davvero funzionare tra noi? Sicuramente. Mi è rimasto un bel ricordo di lui e della nostra intesa? Ovvio che sì. Lo faccio perché sono innamorata? Non penso, almeno non nel senso in cui lo intendo io. Mai elemosinato attenzioni? Mai. E allora perché lui continua a tornare? E perché io mi aspetto comportamenti che non gli appartengono? E infine perché io mi comporto in maniera irrazionale? Non riesco a darmi pace e mi colpevolizzo per non riuscire ad essere ferrea nelle mie decisioni. Forse la soluzione è semplice ed io non riesco a vederla.
Attendo una tua risposta, speranzosa.
V.

La risposta

Cara V.,
grazie, prima di tutto. Fino a stanotte solo lettere di panico sentimentale da virus – mi manca, non ci sopportiamo più, non mi sta chiamando nella quarantena, mi rivorrà a giugno? – sei una bella boccata di problemi vecchi in questo mondo nuovo. La considererò l’inversione della tendenza, speriamo bene.
È lunedì e non ho mai avuto tanta voglia di andare in ufficio. Non so tu, io non riesco a combinare granché, lavoro per costrizione, ogni tanto penso a chi ha i bambini piccoli così perdo la voglia di lamentarmi. Intanto aspetto il bollettino della protezione civile. Ormai s’aspettano le 18 come i messaggi di quelli che non ci vogliono.

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La soluzione del tuo caso l’hai trovata. Quelle del cuore non sono ragioni sono forze, diceva il filosofo, e quindi niente si può fare, solo subire. I migliori al massimo riescono a non scrivere, a non pensare invece non ci riesce nessuno. Le alternative – che tu abbia la forza di volontà di una stalattite o una fragilità da paguro bernardo – sono sempre le solite due.

Presa la solita, frequentissima, necessario corredo dei vent’anni, relazione disfunzionale, il disamato avrà due possibilità, come dicemmo infinite volte.

1) Restare.

La filosofia e la massa dei poeti hanno lavorato tanto senza chiarire se a restare sono i forti o i deboli, fatto sta che negli amori non corrisposti immancabile c’è uno che si fissa e orgogliosamente emana l’editto sentimentale “non me ne vado”. E non se ne va.

E così rimane lì, a volte anni, sotto mentite spoglie di amico o amante a saltello e disinteressato. È muto sotto le intemperie, il nostro, nemmeno una ceratina per la tempesta, ma indomito. Si fregia del proprio spreco di resistenza. Gli anni che passano manco li sente. Affina tutte le tecniche, potrebbe riscrivere il Sun Tzu meglio di com’è scritto, ha pensieri da Churchill, se Churchill si fosse mai cimentato in grandi recuperi di ex.

E devo dire che li ho visti spesso premiati, alla fine, quelli così. Nel senso che se mantengono equilibrio mentale e posizione da conoscente gradevole, dopo uno, cinque, dieci anni ci riescono. Nessuna città resiste per sempre a un assedio, la fortezza cade, i muri si sciolgono. Chi non amò adesso ama.

Sembra bello? Non è bello. Prendi qualcuno che è partito per quella crociata (io), e ti racconterà qualcosa che ai sognatori amorosi non è dato sapere. Quello che succede quando arrivi al trionfo di stendardi dove termina il dolore.

Tutto si stringe a imbuto attorno a una domanda: “e mo che faccio con questo?”. Il grande amore s’ammoscia come verdura vecchia, e di verdura vecchia ha pure il sapore. E così finiscono le grandi rincorse, e qui giace quello che pensavi fosse grande amore.

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I grandi desideri sono indistinguibili dalle grandi fesserie, questa è l’umana condizione. Bel modo di essere vivi.

2) Andarsene.

Pure qua, all’inizio non capisci se sei un vigliacco o uno a cui funziona ancora la testa.

Sei il più intelligente, ecco cosa sei, quando decidi che basta. Se non fosse che sparire non è una parola come le altre, è infida, fasulla. Non è atto di volontà, è categoria miracoli. Perché gli assenti torturano i presenti. E la nostalgia non è certo meglio del disamore. Si muore uguale, ma almeno nel disamore muori provandoci, non è poco.

Conosco gente che parla degli amori che ha lasciato indietro come avessero ancora le stesse confezioni dei vent’anni e le pile ancora funzionanti. Rimpianti di cose non successe trattati come rimpianti di cose non fatte. E allora ho paura, degli amori inesplosi della gente, e così ho deciso che nel dubbio consiglio le folli cazzate. Meglio perdere tempo che rovinarselo tutto, per sempre.


Insomma per quello che ne so io, è più facile dimenticare da dentro, ma si paga. “Quanti anni voglio buttare?” è questo fare il punto della vita, ogni volta.

Una terza possibilità ci sarebbe, certo. Si tratta di andare oltre l’amore. Si richiede aver qualcosa da sognare, cercare e saper riconoscere che cosa in mezzo a mille cose del mondo per te pesa esattamente quanto pesa tutto l’amore del mondo. E che poi ripaga con una di quelle felicità da solista che niente hanno da invidiare alla felicità divisa per due.

Ci vuole fatica a trovarla e pazienza per farla. Vuoi mettere l’amore, allegria comoda che capita, sta lì, ci inciampi dentro. In fondo si innamorano anche i porcellini d’india. Che ci vuole, a innamorarsi.

Pensavo. Non sarebbe male se uno dei controeffetti di questa rivoluzione muta del virus fosse la fine dei problemi che avevamo prima. Prendi l’amore: quando mai è stato così secondo? Così inutile a ogni scopo? Quando mai ha sfigurato così tanto davanti alla libertà?

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