Cate Blanchett: «Così fermo i pensieri nei giorni di lockdown»

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Nel 2016 il 53 per cento delle americane ha votato per Donald Trump, rifiutando l’idea di una donna (Hillary Clinton) alla guida del Paese. Eppure, contraddizione delle contraddizioni, è proprio negli Stati Uniti che negli anni ’70 è esploso il femminismo militante di Betty Friedan, Gloria Steinem, Bella Abzug: diverse generazioni hanno manifestato con entusiasmo, pubblicato libri epocali, influenzato i giovani di ogni nazione. Per andare alla radice di questo enigma, arriva con tempismo – alla vigilia di un’altra elezione presidenziale – la nuova miniserie della FX, Mrs. America (creata dal Dahvi Waller di Mad Men), di cui Cate Blanchett è protagonista e produttrice esecutiva: getta luce sulla storia attuale (e quella dell’ultimo mezzo secolo) degli Usa e esamina conflitti decennali come gli scontri tra il “conservatorismo bianco” e le forze femminili più progressiste.

La lotta per la parità

In nove episodi lo show racconta la lotta per la ratifica dell’Equal Rights Amendment (ERA), l’emendamento sulla parità dei diritti che ancora oggi non è stato approvato (hanno detto sì 35 Stati federali, ma ne sarebbero serviti 38 su 50). Nella serie l’attrice australiana è Phillys Schlafly, “madrina” del movimento anti-femminista moderno, di cui traccia il profilo con ironia smagliante e tecnica sottile: tutta tailleurini e completi color pastello, mai un capello fuori posto, rossetto senza sbavature e sorriso indelebile anche quando viene pubblicamente umiliata o si prende torte di panna in faccia. Ad affiancarla, un gruppo di interpreti altrettanto formidabili: Sarah Paulson, Tracy Ullman, Margo Martindale, Jeanne Tripplehorn, Uzo Aduba e Rose Byrne.

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Mrs. America descrive la parabola lineare di una débâcle femminista, e a questa sovrappone l’acuto studio psicologico di Phyllis, colta casalinga della media borghesia dell’Illinois, convinta che il ruolo della donna debba rimanere quello di moglie e madre, l’autentico fondamento della società americana. Una visione ancora oggi fortemente radicata in tanta parte degli States, che ha senza dubbio contribuito al successo di un personaggio come Trump.

Presidente a Venezia

La Blanchett – due volte premio Oscar e futura presidente della giuria alla Mostra del cinema di Venezia (2-12 settembre) – ha da poco terminato un altro progetto socialmente importante (Stateless, serie tv sul dramma dei rifugiati distribuita da Netflix), ma Mrs. America le sta particolarmente a cuore. Ci appare in video da casa sua, nella campagna inglese, dove sta trascorrendo il periodo del Coronavirus con marito e figli, tre ragazzi e una bimba, Edith, adottata cinque anni fa. 

La maggior parte di noi donne cresciute in Europa non aveva mai sentito nominare Phillis Schlafly. E lei?


Cate Blanchett

Cate Blanchett in Mrs. America

Ne sapevo poco o niente. L’avevo notata, ormai novantenne, apparire alla campagna presidenziale di Trump, riverita dal Partito Repubblicano che l’accoglieva sempre con una standing ovation. Vidi poi le immagini di Trump al suo funerale e cominciai a chiedermi chi mai fosse quella signora. Quando mi proposero questo progetto ne approfittai per studiarla e capire soprattutto la ragione per cui lei e il suo movimento trovassero così oltraggiosa la nozione di uguaglianza tra uomini e donne.

E l’ha individuata?
L’Equal Rights Amendment rappresentava per tante casalinghe, che non tolleravano né l’aborto né le unioni gay, una critica implicita alle loro scelte di vita.

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Già, ma si parla del 1972. Le cose sono cambiate.
Non così tanto. Lo si riscontra chiaramente nelle mia serie tv: la discussione, il tema, così come le esperienze raccontate sono molto attuali. Sa quante volte, mentre eravamo sul set, sbottavo coi miei colleghi : «Oh mio Dio, non abbiamo avuto le stesse discussioni in questi ultimi tempi a casa?».

Una famiglia di donne forti

Cate Blanchett ai Golden Globe di quest’anno

Lei è da sempre in prima linea nella battaglia per i diritti delle donne. È cresciuta in una famiglia femminista?
Sono cresciuta con una madre single, che ha dovuto lavorare sempre, e con una nonna forte e energica. Le dico di più: mia mamma non si è mai sentita a suo agio con il termine “femminista”, perché a quei tempi esserlo significava essere contro la famiglia e anti-americana. Era cresciuta con quel tipo di sensibilità. Io solo più tardi ho capito lo stigma che tale definizione portava con sé.

Quali voci hanno influenzato maggiormente la sua formazione femminista?
Germaine Greer, perché sono australiana come lei e la seguivo con ammirazione. Mi piaceva la sua audacia: buttò all’aria il tranquillo e educato paesaggio suburbano del mio Paese.

E oggi, chi ammira per audacia?
La mia collega Evan Rachel Wood, perché con il suo impegno ha saputo comunicare con tante donne, anche più giovani, vittime di violenza domestica. È una continua fonte di ispirazione: usa le proprie esperienze personali per denunciare la condizione e il dramma di chi al mondo è più vulnerabile.

Dal cinema alla tv

Con il suo ultimo progetto, Stateless, affronta di nuovo un soggetto politico scottante, l’immigrazione. Coincidenza?
Il problema di chi cerca asilo politico non è una questione politica ma umanitaria. Anzi, trovo doloroso che queste nozioni di giustizia e uguaglianza vengano soprattutto politicizzate. Stateless, comunque, è un atto d’amore cui ho dedicato sei anni, e che avevo iniziato prima dell’avvento di Trump.

Stiamo attraversando un periodo straniante, tutti rinchiusi in casa. Come vive questa esperienza?
Sono in campagna, con mio marito (il regista Andrew Upton, ndr) e i miei figli, in autoisolamento, ed è duro perché mia mamma invece è lontana, sola in Australia. Questi virus non conoscono confini, il concetto di nazionalità suona quasi fasullo in fase di pandemia. Emerge chiaro che il sistema in cui viviamo è veramente fragile: dobbiamo lavorare tutti insieme coi governi per essere sicuri che una calamità di questa portata non si ripeta in futuro. Provo un’ammirazione senza limiti per chi è in prima linea, infermieri e dottori: è orribile sapere che rischiano ogni giorno la vita e quella delle loro famiglie.

Oltre a produrla, vede un po’ di tv?
Sì, stiamo riguardando una sfilza di serie esemplari, a partire dai Sopranos. Col figlio più grande ho rivisto il Decalogo di Kieslowski. Invece che proiettarmi verso il futuro vado indietro nel tempo… (ride)

Riesce anche a leggere?
Ci provo… Avevo iniziato La terra inabitabile di David Wallace-Wells e ora sono passata a Strange Tools di Alva Noë, che analizza il concetto di arte. In questo periodo sarei più incline a leggere saggistica, ma alla fine sono lì a ritagliare unicorni di stagnola con mia figlia, e a cucinare di continuo. Oggi è stata la giornata dell’aspirapolvere, e mi è parsa una conquista… (sorride)

Mrs. America

Cate Blanchett Mrs America

Cate Blanchett in Mrs.America

Una curiosità: alla fin fine, qual è la sua percezione di Phillys?
Mrs. America è una serie vivace, ricca di humor ma, al fondo, triste: tutti parlano lingue diverse e lottano per il diritto di esistere come individui senza mai raggiungere un proprio traguardo. Un senso di malinconia pervade l’intera vicenda, e Phillys non ne è certo immune.

Le giovani di oggi, come sua figlia Edith, avranno un futuro profondamente diverso dal nostro?
Dobbiamo vivere tutte armate sempre di speranza. Quello che veramente mi preoccupa è la condizione del pianeta: le nuove generazioni si troveranno ad affrontare problemi e difficoltà enormi, e mi dà grande dispiacere. Gli esseri umani, tuttavia, sono creature piene d’inventiva, e è auspicabile che questa esperienza non li porti alla disperazione ma verso nuove espressioni creative.

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