Alla fine la firma è arrivata. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha firmato il decreto che prevede l’isolamento della Lombardia e di altre 14 province, con una forte limitazione degli spostamenti, per evitare un’ulteriore diffusione del nuovo coronavirus. Una decisione tutt’altro che inaspettata, visto che sui giornali la notizia della chiusura ha iniziato a girare parecchie ore prima della sua ufficialità, avvenuta nella notte tra 7 e 8 marzo, creando nei cittadini sconcerto, confusione e in alcuni casi panico, con la fuga di persone che non volevano restare bloccate nelle aree colpite.
Nella foga di pubblicare e attirare lettori spaventati sulle proprie pagine, da contare in quello che sarà un ottimo mese di marzo, tutti i principali quotidiani italiani hanno riportato la bozza di decreto fuoriuscita (ovviamente) da fonti interne allo stesso governo. Questo impone una riflessione sulla nostra professione di giornalisti: non c’è dubbio che la bozza fosse una notizia. Si tratta di un evento straordinario, nuovo e importante: su questo non c’è alcun dubbio. E forse non si tratta neanche di avere l’onere di dare una notizia che crea panico: questo purtroppo rischiamo di farlo tutti i giorni, per questo dovremmo pesare le parole, attenerci ai fatti e presentarli nel modo più comprensibile.
In questo caso si tratta invece di prendersi la responsabilità di divulgare una notizia che è provvisoria. Quella bozza era ancora in lavorazione, un’informazione che all’inizio non era neanche ben segnalata dai giornali e che dai lettori è stata presa come notizia certa e chiara: Milano e la Lombardia sono in quarantena. E chi aveva paura di rimanere bloccato (per ragioni più o meno valide) ha deciso di partire in tutta fretta, rendendo meno efficace quel principio di precauzione sugli spostamenti su cui si basa il decreto stesso. Meno ci si sposta, meno si diffonde il coronavirus. Più che pensare al bene comune, si è pensato al bene personale. E dire che nella versione definitiva del decreto non si parla di un divieto assoluto, ma piuttosto di esigenze comprovate legate al lavoro, situazioni di emergenza o motivi di salute validi per allontanarsi dalla Regione. Con tutta la confusione che questo comporta, ma questa è un’altra storia.
Che fare dunque? Nell’era della velocità e dei social network, sarebbe bastato aspettare. Attendere una firma stranamente avvenuta nel cuore della notte, da parte di un governo (o della Regione Lombardia, dice la Cnn) che ha lasciato che una bozza integrale di decreto arrivasse assurdamente ai giornalisti, i quali a loro volta hanno irresponsabilmente pubblicato la notizia di un documento non definitivo. Una fretta che non ha giovato davvero a nessuno, se non ai clic accumulati in una notte di ordinaria follia.
The post Perché i giornali avrebbero dovuto aspettare a pubblicare la notizia del decreto sul coronavirus appeared first on Wired.