La scienziata Raffaella Tonini: «La serotonina ci aiuterà a ripartire»

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Due mesi chiusi in casa, da soli o con la famiglia, e l’appuntamento fisso con il bollettino della Protezione Civile alle 18. Una tensione fortissima, alla quale ciascuno di noi ha reagito in modo diverso. E adesso che, pian piano, il lockdown comincia ad allentarsi, ci sarà un nuovo carico di stress. Chi saprà adattarsi, cioè chi avrà più flessibilità comportamentale, sopporterà meglio il cambiamento, che non sarà un semplice ritorno alla vita di prima. Ma un nuovo inizio.

Foto Duilio Farina


A occuparsi di flessibilità comportamentale (la capacità di adeguarsi dal punto di vista emotivo e motorio ai cambiamenti dell’ambiente) è la neuroscienziata Raffaella Tonini, a capo della ricerca Neuromodulation of Cortical e Subcortical Circuits dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. Dopo aver lavorato per anni all’University College London, la ricercatrice è tornata in Italia per questo progetto, che è in corso: l’obiettivo è studiare i meccanismi molecolari e cellulari con cui la serotonina funziona nel cervello. Sappiamo già che la serotonina, considerata “la molecola della felicità”, è un neuromodulatore che regola l’umore e le emozioni. Ma il filone più innovativo di studi è proprio quello che ci interessa ora, perché cerca di scoprire il suo ruolo nel regolare i meccanismi della flessibilità comportamentale: come la sua trasmissione può renderci in grado di adattarci ai cambiamenti esterni e a sopportare meglio la fatica di queste settimane. Abbiamo intervistato Raffaella Tonini per capirne qualcosa in più. Anche lei sta lavorando da remoto e aspetta di poter tornare in laboratorio dove, spiega, non sarà difficile organizzarsi in sicurezza. Per ora, a casa, fa analisi dei dati, studia e scrive.

Partiamo dall’8 marzo, dal drammatico “tutti a casa”. Che cosa è successo?
Per affrontare l’emergenza ci è stato chiesto di cambiare al volo la nostra routine. Una prova ardua per persone normalmente abituate a uscire. La capacità di modificare le nostre abitudini passando a questa nuova realtà, ma anche – speriamo – da questa quotidianità alla Fase 2, richiede flessibilità comportamentale.

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Essere più flessibili significa essere più felici?
Sicuramente significa essere meno sensibili allo stress cronico. Con l’emergenza coronavirus ci siamo dovuti adattare in modo rapido al cambiamento e la serotonina potrebbe avere avuto un ruolo. Noi italiani siamo stati bravi a rispettare l’isolamento, ci è stato riconosciuto anche da altri Paesi. Forse perché ne abbiamo avuto ben chiaro lo scopo: non ammalarsi, non contagiare. Alcuni studi sostengono che ci sia una forte correlazione tra la motivazione e la flessibilità comportamentale.

Di questa capacità o incapacità di adattamento, così attuale, si occupa la sua ricerca. In che modo?
Noi studiamo la serotonina nel nucleo striato, la regione del cervello che seleziona le azioni che servono a raggiungere un obiettivo. Lo striato integra informazioni che arrivano da parti diverse del cervello, tra le quali la corteccia cerebrale – che ci indica il contesto, se è il solito o se è nuovo, come il lockdown – ma anche da regioni di controllo delle emozioni come l’amigdala. La serotonina contribuisce a mixare stimoli sensoriali e motori con funzioni emotive. La flessibilità ci aiuta a valutare meglio costi e benefici, ed è quello che facciamo sempre per vivere: selezioniamo le azioni più efficienti per arrivare a un obiettivo.

Foto Duilio Farina

Quando avviene un cambiamento nell’ambiente, che cosa succede nel funzionamento della serotonina?
La nostra ipotesi è che variazioni nella dinamica spazio temporale della serotonina potrebbero renderci meno flessibili, e quindi meno capaci di adattarci. In questo periodo siamo esposti a fonti di stress cronico che sappiamo variare l’attività della serotonina e ridurre quindi la flessibilità comportamentale. Da qui, si potrebbe pensare che lo stress cronico influenzi la flessibilità comportamentale modulando l’attività della serotonina, ma la relazione tra questi tre elementi è ancora da chiarire.

Però non reagiamo tutti allo stesso modo. Perché?
Ci sono reazioni individuali all’isolamento, chi è meno esposto allo stress cronico si adatta meglio. Ma rimanere in casa h24 da due mesi, magari con l’incertezza del futuro lavorativo, può essere di per sé una fonte di ansia.

Chi ha più serotonina è più felice?
Il funzionamento non è così semplice. Quel che conta è come e dove viene rilasciata la serotonina durante un processo cognitivo specifico. Non è che chi ha meno serotonina è depresso. Se i recettori non funzionano bene, la serotonina non viene rilasciata correttamente. Da studi che stiamo facendo, sappiamo che interferire con il funzionamento di un certo recettore, il 5-HT4, influisce sulla flessibilità. Ci sono patologie come la depressione dove questo recettore è alterato. Ma è un recettore, e ce ne sono 14 ancora da studiare.

Che cosa succederà con la tanto attesa ripartenza?
La Fase 2 richiederà altrettanta flessibilità. Per prepararci, perché sarà graduale, dovremmo intanto cercare di ridurre lo stress cronico. Alcuni studi suggeriscono che attività come la meditazione hanno un impatto diretto sulla produzione di serotonina. Inoltre dormire in modo regolare, rispettare il normale alternarsi dei ritmi circadiani, socializzare con parenti e amici lontani attraverso internet e fare esercizio fisico in casa aiutano ad abbassare il livello di stress cronico. La serotonina ci consentirà di mettere in atto una strategia di resilienza utile anche in questa fase, ci aiuterà a riadattarci, a fare nuovi progetti di vita. E, perché no, a ritrovare la felicità perduta.

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