Alcuni dicono che quando i più grandi se ne vanno lascino un vuoto incolmabile.
Io penso esattamente il contrario.
Personalità e professionalità come quella di Clerici sono otri pieni di acqua fresca che non ha bisogno di essere messa in frigorifero.
Disseterà sempre.
Lo ha fatto nel passato nella loro esposizione, oggi nella rilettura, domani nella sconcertante attualità.
Chi disegna la giusta parola, la descrizione stupefacente, non scrive la fine di un periodo ma sigilla un nuovo inizio, si pone allo stesso livello di chi ha compiuto il gesto raccontato.
Perché semplicemente lo ha reso memorabile ad in alcuni casi addirittura immortale.
Lo Sport da 80 anni ha nella narrazione e descrizione il vestito necessario per essere goduto, accettato, compreso e criticato.
Amato.
Chi omericamente riesce a farlo vivere prima, durante e dopo si fa esempio e lezione, quella che in un’epoca ormai lontana, quella di mio padre, in cui i ragazzi uscivano di casa con il desiderio di leggere i giornali dove Clerici, Mura, Brera raccontavano le azioni di Campioni più simboli che Figurine.
In un’epoca, la mia, in cui si correva a casa ad accendere la TV, in un preciso giorno, in una precisa ora, per vedere Galeazzi incrociare il microfono con uomini da figurina che diventavano Idoli.
Clerici ha seguito l’evoluzione del tennis lasciando immutato il linguaggio, era ciò che non cambiava in un mondo che iniziava a cambiare faccia.
Lui e gli altri (ne ho citati solo alcuni…) lasciano un assist da cogliere, da sfruttare.
Ci lasciano l’arte della parola e la loro importanza applicata allo Sport.
In questo sistema complesso in cui lo Sport è l’immagine e le parole sono il suono, Gianni Clerici e i suoi colleghi ci hanno fatto capire che una vittoria può essere descritta ma per restare nel tempo deve essere vissuta.
Se ne deve sentire il rumore, se ne deve avvertire l’odore.
Lunga vita a chi come lui ha saputo scrivere la prima nota di una musica che vogliamo continuare ad ascoltare.
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