L’apicoltura è sempre più rosa. In Lombardia, un’impresa su quattro del settore apistico a fine 2019 era a guida femminile (secondo Coldiretti regionale e Camera di Commercio di Milano, Monza e Brianza e Lodi).
Pur non essendoci un dato nazionale sul genere – in totale gli apicoltori italiani sono circa 63mila – è evidente che sono finiti i tempi in cui le donne si limitavano a mettere il miele nei vasetti e a venderlo, mentre il marito seguiva le api. Oggi le ragazze si occupano di tutto.
«Sollevare un alveare di 40 chili richiede forza sica», osserva Lucia Piana, biologa e titolare di Piana Ricerca e Consulenza, che offre servizi nel settore. «Ma basta ricorrere alla meccanizzazione, o a un aiuto».
E poi, gli alveari si spostano solo due o tre volte all’anno per cambiare “pascolo” e produrre mieli diversi. La quotidianità richiede attenzione e delicatezza, qualità che alle donne non mancano.
«Si lavora con passione, affascinate dal super organismo che è un alveare, una comunità con 40mila individui che non conosciamo fino in fondo», spiega Barbara Bonomi Romagnoli, apicoltrice entusiasta e autrice dell’interessante libro Bee Happy (edito da DeriveApprodi).
«Le api insegnano la pazienza, l’accuratezza che devi avere quando apri un’arnia, il rispetto». Chi si avvicina al mestiere oggi si documenta e studia.
Sono numerose le iscritte all’Albo nazionale esperti in analisi sensoriale del miele, un’eccellenza italiana nata nel 1999, della quale Lucia Piana figura fra gli ideatori ed è insegnante.
Prendersi cura delle api è un impegno costante: il lavoro non finisce mai, ma la poesia di questo mondo è infinita. Certo, vivere di sola apicoltura non è facile, e quest’anno la situazione è complicata dal coronavirus. Tuttavia, molte imprenditrici hanno trovato un equilibrio, affiancando al miele attività didattica, agrituristica o agricola.
“C’è un’intesa tra me e loro, ma restano selvatiche”
Ilaria Rilievo, 36 anni, Apicoltura Ilaria Rilievo, Santorso (Vicenza)
«“Ti va di andare dalle api?”. Mi trovavo in Liguria a fare un tirocinio botanico dopo la laurea in Scienze Naturali, quando mi è stato chiesto se volevo dare una mano con gli alveari. È stata una folgorazione. Al rientro, volevo sperimentare di persona: ho iniziato con due alveari, ho fatto pratica con un apicoltore, poi ho lavorato in una cooperativa. In 12 anni sono arrivata ad avere 80 alveari, collocati nella Valle del Pasubio, ma anche in Trentino, a Cavallino vicino a Iesolo e sull’Appennino Tosco Emiliano. Mi piace ottenere mieli differenti, realizzati dalle api in pascoli sani. Gestisco tutto da sola, dalla cura quotidiana alla vendita e ai corsi che tengo. L’unico momento in cui serve essere in due è quando gli alveari vanno spostati. Verso metà giugno, per esempio, per portare le api in montagna, di solito mi danno una mano amici o colleghi. La gentilezza è ciò che caratterizza il mio modo di fare l’apicoltrice. È un’intesa fra me e le api, che restano comunque animali selvatici. Io sono l’alveare, l’alveare è me, ci rispecchiamo. È un approccio molto femminile. Da loro ho imparato a muovermi dolcemente e senza tensioni, perché sentono gli odori del corpo e ogni variazione è percepita come una minaccia. Seguo le regole dell’allevamento biologico e offro pascoli buoni, per rafforzare il loro sistema immunitario e avere sciami forti».
“Le api ti insegnano a non avere paura”
Nicole Scudeletti, 41 anni, azienda agricola BZZZ, Casazza (Bergamo)
«Ricordo bene il primo incontro con le api: correvo a perdifiato con il mio cane, inseguiti da un nugolo che ci voleva pungere! Era il 2011 e con il mio compagno avevamo deciso di trasferirci in Val Cavallina, in una casa a 600 metri di altitudine, in mezzo al bosco. Siamo entrambi architetti, e ho svolto per dieci anni questa professione prima di innamorarmi dell’apicoltura. Avevamo pensato di mettere un paio di alveari per il nostro consumo, di cui si sarebbe occupato Fabio. Poi è accaduto un imprevisto: maneggiando le arnie, si è reso conto di essere allergico. All’epoca ero incinta, ma ho deciso che avrei accudito io le api, dopo il parto. Ho iniziato con una piccola produzione di miele per parenti e amici, oggi ho circa 50 alveari e seguo tutto il processo. Il mestiere l’ho imparato con l’aiuto di un apicoltore, ma non smetto mai di aggiornarmi. Non sposto le arnie: ho scelto di proporre miele locale, a chilometro zero. Da architetto cercavo di modellare il territorio con il mio lavoro, ora lo faccio con le api. La loro presenza crea bellezza e rende più ricche le fioriture. L’epidemia ha rallentato il lavoro, ma consegno il miele a domicilio e curo le api. Loro mi hanno insegnato a non aver paura di ciò che non si conosce».
“Ho cambiato vita e non tornerei mai indietro”
Beatrice Monacelli, 48 anni, azienda agricola La Casa Nettarina, Poggio Mirteto (Rieti)
«Tutto è iniziato 15 anni fa, quando io e mio marito abbiamo deciso di lasciare Roma e le nostre professioni – ero responsabile editoriale di una casa editrice – per trasferirci in campagna. Abbiamo iniziato con due arnie e siamo rimasti letteralmente folgorati dal mondo delle api. Non sapendo nulla, abbiamo frequentato corsi, fatto da manovalanza presso apicoltori e oggi abbiamo circa 50 alveari, oltre a un frutteto, ulivi e un agriturismo. Quando ho iniziato a conoscere questo mondo, mi è subito venuta voglia di comunicarlo. Una parte importante del mio lavoro è costituita dai laboratori didattici per bambini dai 3 ai 10 anni sui temi delle api, e per adulti. Sono assaggiatrice iscritta all’albo e tengo minicorsi di avvicinamento al miele. Grazie alla biodiversità e alla ricchezza botanica e climatica, in Italia abbiamo una cinquantina di mieli uni orali diversi e innumerevoli mille ori, un patrimonio unico. Mi affascina anche l’apiterapia, che è la riscoperta dei prodotti dell’alveare come aiuto per il benessere. Vendiamo il polline fresco congelato: è fonte proteica e stimola le difese immunitarie. Avere un’azienda agricola è faticoso, non solo fisicamente. Non ci sono certezze economiche e il lavoro è ogni giorno al centro dei tuoi pensieri. Ma non tornerei mai indietro».
“Papà è stato ed è ancora il mio maestro”
Serena Baschirotto, 30 anni, Apicoltura Baschirotto, Vanzaghello (Milano)
«Amo le api da quando ero bambina. Mio padre, come mio nonno, era apicoltore e mi ha trasmesso la sua passione. Ho sempre dato una mano, ma non pensavo che potesse diventare il mio lavoro, tant’è che all’università ho studiato Scienze linguistiche. Una volta laureata, però, mi sono resa conto che, se non avessi preso in mano l’attività di famiglia, rischiava di chiudere. Non potevo accettarlo. Così, da sette anni, sono alla guida dell’apicoltura con mio papà – che è da sempre il mio maestro e che mi affianca – e due dipendenti. Sono riuscita a passare dai 300 alveari che gestiva mio padre quando è andato in pensione ai circa 600 attuali. In primavera le api si trovano nel Parco del Ticino, nel Pavese. Poi, a giugno le portiamo per lo più in montagna, in Piemonte, dove restano fino a fine agosto. Mi occupo anche del laboratorio, dove si smiela e si mette il miele nei vasetti. Abbiamo il nostro punto vendita, ma siamo presenti anche nei mercatini. È gratificante quando le persone che hanno provato il mio miele tornano entusiaste per comprarne altro. In quel momento dimentico tutte le difficoltà e mi sento spronata ad andare avanti. Anche le api mi danno soddisfazione: il lavoro è tanto, soprattutto in primavera, ma loro sanno ripagare l’attenzione che ricevono».
La Giornata Mondiale delle Api
Mele, pere, agrumi, ma anche pomodori, zucchine, cipolle. La lista degli alimenti che mettiamo sulla nostra tavola che rischierebbero di sparire senza l’opera di impollinazione delle api è lunga.
Proteggere le api – quelle che alleviamo per il miele, le Apis mellifera, ma anche quelle selvatiche – significa salvaguardare la biodiversità e riconoscere la nostra dipendenza da questi piccoli esseri viventi, sentinelle della salute dell’ambiente.
Dal 2017, le Nazioni Unite hanno istituito la Giornata Mondiale delle Api, che si celebra il 20 maggio. L’uso di pesticidi in agricoltura, l’inquinamento e il riscaldamento globale mettono a serio rischio la sopravvivenza delle api.
Il 2019 è stato un anno drammatico: il clima impazzito ha danneggiato le fioriture e ha ridotto gli alveari alla fame, danneggiando pesantemente gli apicoltori.
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