Le morti fantasma per il Covid–19

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Le morti fantasma per il Covid–19
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Ad oggi, in Italia, le persone decedute a causa della pandemia di Covid–19, hanno superato le 80.000 unità. Una cifra impressionante, ma, purtroppo, destinata a salire nei prossimi giorni, settimane, mesi. La campagna di vaccinazione è partita, fra alti e bassi, con tutte le speranze ed i dubbi che fatalmente si trascina. Questa pandemia, purtroppo, non ha lasciato, non lascia, e non lascerà sul campo soltanto i morti ufficiali, ovvero tutti coloro che sono morti perché hanno contratto il virus. Un’altra marea di vittime a causa del Covid–19, infatti, rimarrà nell’ombra, non sarà inserita in quel tristissimo ed ufficiale elenco, perché si tratta di morti deceduti per cause non riconducibili direttamente al virus. Non erano persone malate, non erano in quarantena o, peggio, ricoverate in terapia intensiva, erano soltanto lavoratori che avevano perso il lavoro.

Adriano Urso…


La cronaca, in questi mesi terribili, ci ha offerto millanta esempi di persone che muoiono dopo aver perso il lavoro. L’ultimo, ma soltanto dal punto di vista cronologico, riguarda Adriano Urso, professione: pianista jazz. Adriano aveva quarant’anni e con i locali chiusi a causa della pandemia, non aveva più occasioni di esibirsi e lavorare. Per cercare di superare le difficoltà del momento era stato assunto come rider, effettuava consegne di pasti a domicilio. Sperava, come tanti, che questa maledetta pandemia finisse presto, per tornare a fare il suo lavoro, il lavoro che amava, che lo portava in giro per i locali di tutta Italia a regalare momenti di gioia e svago a tante persone. Tra una consegna e l’altra, la sua auto ha iniziato a fare i capricci e nel tentativo di riavviarla, spingendola, è stato colto da infarto. Di tragedie come quella di Adriano ce ne sono state, ce ne sono e ce ne saranno ed allora, chiedo, come saranno catalogate? Tragedie pure e semplici, oppure potranno essere definite le morti fantasma per il Covid–19?

…e gli altri

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Adriano è morto d’infarto perché spingeva la sua auto che non si ravviava, mentre si adattava ad un lavoro che non era il suo, altri si sono suicidati perché hanno visto le certezze costruite in anni di lavoro sgretolarsi sotto i loro piedi. Tanti altri sono morti a causa di una profonda depressione, causa molto più subdola e non facilmente riscontrabile.
Cosa hanno in comune queste morti? la perdita del lavoro. Alla fine di questo periodo così difficile, queste morti saranno, probabilmente, in numero pari, o addirittura maggiore, rispetto a quelle ufficialmente riconosciute come morti direttamente riconducibili al virus. 

Ma oltre al danno, che non sarà in alcun modo risarcibile, perché non si può ridare la vita a chi l’ha perduta, vi sarà la beffa di essere considerati, al massimo, vittime marginali della pandemia. Il virus attacca non soltanto il corpo, gli organi respiratori; attacca in maniera violentissima soprattutto la nostra mente. Il brusco passaggio da una vita normale ad una pseudo – esistenza, dove una mascherina nasconde tutti i tuoi dubbi e le tue paure, perché non riesci a vedere come e quando finirà tutto questo, dove la distanza di uno o due metri dall’altra persona, per motivi di sicurezza e prevenzione, fa perdere il naturale istinto alla socializzazione, crea situazioni umanamente e socialmente pericolose, difficilmente gestibili e prevedibili. 

Ci si auto–isola ed auto–isolandosi, aumenta il rischio di crolli psicologici che portano, poi, a conseguenze tragiche. Prevenire è meglio che curare. Per il virus della pandemia sono arrivati i vaccini, per quello più nascosto, e più pericoloso, che riguarda il senso d’inutilità della vita quando si è perso tutto, l’unica cura è la solidarietà. Qui deve venire fuori lo Stato, che deve far sentire la sua vicinanza a chi è in difficoltà. Non solo e non tanto con i ristori, fondamentali per le naturali esigenze materiali, ma anche, soprattutto, far sentire una presenza che divenga conforto psicologico. Ascoltare una voce forte che ti dica “Sono con te, non sei solo”.

Insieme si combattono le avversità legate all’emergenze, di qualsivoglia natura esse siano, insieme si superano, insieme si ritrova la voglia di vivere e di ricominciare. Insieme. Sempre.

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