Se, in passato, il ruolo rivestito dalle donne nella scienza o – più in generale – nella società, era completamente offuscato dalle loro controparti maschili, oggi, fortunatamente, si stanno facendo passi da gigante per evitare che ciò accada. Sono tanti, infatti, i nomi delle donne che, con impegno, intelligenza e, perchè no, spirito d’inventiva, stanno fornendo un aiuto concreto durante la corrente emergenza sanitaria. Scopriamo chi sono, cos’hanno fatto, ma, soprattutto, facciamo in modo che i loro sforzi non vengano dimenticati nel tempo.
Lupe Hernández: colei che ha inventato il gel antibatterico
Mai ci saremmo immaginati che nella lista dei desideri per il 2020 potesse figurare il gel antibatterico. Se gli anni scorsi, infatti, bramavamo l’ultimo modello di scarpe piuttosto che il biglietto per il concerto del nostro idolo, quest’anno abbiamo dovuto rivedere le nostre priorità. La pandemia ha fatto sì che, nel giro di pochi giorni, i – spesso ignorati – gel igienizzanti diventassero merce rara e preziosa e che, in men che non si dica, finissero sold-out. Sebbene, allora, la popolarità di questo prodotto sia notevolmente accresciuta, quanti di voi possono affermare di conoscere la storia e, in particolar modo, la persona che si cela dietro la sua invenzione?
Dobbiamo fare un passo indietro nel tempo e tornare nel lontano 1966, quando Lupe Hernández, un’infermiera americana di origine latina, fa una scoperta che avrebbe significativamente migliorato la qualità di vita delle persone. Preoccupata dalla scarsa disponibilità di acqua e sapone per i suoi concittadini, specialmente per i medici e gli infermieri, Lupe, all’epoca ancora una studentessa a Bakersfield, California, realizza presto che un gel a base alcolica avrebbe potuto offrire la soluzione definitiva al problema. La ragazza, infatti, dopo un periodo di ricerca e sperimentazione, scopre che una sostanza contenente tra il 60 e il 65 % di alcol sarebbe stata in grado di eliminare il 99,9 % dei germi in solo 30 secondi, senza l’uso di acqua e sapone. In questo modo, sarebbe stato molto più semplice proteggersi dalle malattie e mantenere uno standard elevato di condizioni igienico-sanitarie. Un giorno, mentre Lupe guarda distrattamente la televisione, la sua attenzione viene immediatamente rapita da un annuncio pubblicitario. Durante lo spot, appare in sovraimpressione un numero telefonico, chiamando il quale era possibile brevettare la propria invenzione. L’infermiera non esita un secondo a chiamare e chi di dovere realizza ben presto la portata benefica che un prodotto simile avrebbe recato alle vite delle persone. Il gel disinfettante di Lupe diventa, allora, il successo commerciale a fin di bene di cui oggi non possiamo fare a meno.
Le studentesse afghane che hanno creato un ventilarore sfruttando i pezzi di una Toyota Corolla
Somaya Faruqi, Ellaham Mansori, Nahid Rahimi, Folernace Poya e Dyana Wahbzadeh. Teniamo bene a mente questi cinque nomi perché appartengono alle ragazze afghane che, con il loro progetto, stanno contribuendo attivamente alla battaglia – o, forse, sarebbe più opportuno chiamarla guerra – contro il Coronavirus. Queste adolescenti, di età compresa tra i 14 e i 17 anni, hanno realizzato un modello economico di ventilatore ospedaliero attraverso i pezzi ricavati da una Toyota Corolla.
Le ragazze fanno parte di Afghan Dreamers, un programma di formazione scientifica rivolto esclusivamente alle donne, grazie al quale queste ultime possono apprendere nozioni di robotica. L’istituzione accademica, fondata dall’imprenditrice Roya Mahboob, si trova a Herat, una tra le zone maggiormente colpite dal virus in Afghanistan. È stato questo dato allarmante a spingere il governatore ad appellarsi ai propri concittadini per unire le forze e trovare il modo di produrre più ventilatori possibili, fondamentali nel trattamento dei pazienti più gravi. La richiesta non è rimasta inascoltata e le cinque ragazze si sono messe immediatamente all’opera, arrivando a creare due prototipi, entrambi facilmente replicabili ed economici da realizzare. Uno si basa su un progetto del MIT, una tra i più importanti istituti di ricerca nel mondo, e l’altro, appunto, sulla conversione del motore e di altre parti automobilistiche. La loro iniziativa va celebrata e resa nota nel mondo come monito a incentivare l’istruzione femminile anche nei paesi più svantaggiati come l’Afghanistan, dove la percentuale delle donne che hanno ricevuto una formazione scolastica è ancora molto (troppo) bassa.
Sofia di Svezia: una principessa in reparto
L’ultimo grande esempio di women empowerment consacrato alla lotta contro il COVID-19 si distingue da tutti gli altri. Questa ragazza non ha inventato nulla, ma, con il proprio agire, ha rivoluzionato il ruolo prestigioso da lei rivestito. Stiamo parlando di Sofia di Svezia, moglie del principe Carlo Filippo, quarto in linea di successione al trono svedese. Ma cos’ha fatto di così straordinario questa principessa? Ve lo diciamo subito: si è tolta la corona e gli abiti di lusso per vestire i panni da volontaria, dopo aver frequentato un corso intensivo di tre giorni presso la Sophiahemmet University di Stoccolma. Nel paese scandinavo, infatti, molti cittadini comuni si sono attivati per alleggerire il lavoro sfiancante da cui il personale sanitario è oberato negli ospedali durante questa emergenza. Sofia, come il resto dei volontari, si occuperà di disinfettare gli strumenti ospedalieri, contribuirà alla gestione dell’amministrazione e sarà sua premura, inoltre, tenersi in contatto con i parenti dei pazienti ricoverati. La ragazza, che ha origini umili e di lavoro faceva la modella, prima di incontrare il suo principe azzurro, aveva persino partecipato a un reality-show. Nonostante tutto, con grande eleganza e modestia, come in tutte le fiabe che si rispettino, Sofia è riuscita a superare i pregiudizi iniziali e a conquistare i cuori dei suoi sudditi, con i quali – in più occasioni – ha annullato le distanze. Un grande esempio di nobiltà…d’animo, s’intende!