Quarantena: Levante, Geppi Cucciari, Nicoletta Manni, Stefania Auci, Laura Marinoni e Paola Viganò

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Trovare ostinatamente un lato positivo e far un tesoro di una lezione tragica come quella dell’emergenza? Si puòlo confermano i racconti di Stefania Auci, Geppi Cucciari, Levante,  Laura Marinoni, Nicoletta Manni e Paola Viganò. Che si apprestano ad affrontare il futuro con risorse rinnovate. E resilienza, che però non ha quell’accezione “zuccherosa” che va di moda…

Stefania Auci: «Fiducia nello Yin e nello Yang»

Stefania Auci (foto Yuma Martellanz).

Stefania Auci, scrittrice e insegnante
Un po’ è merito del fatalismo («da brava siciliana»), un po’ della fiducia nel concetto di Yin e Yang («Non esistono esperienze assolutamente positive o negative: esistono esperienze da cui si impara»): Stefania 

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Auci, insegnante di sostegno e autrice del bestseller I leoni di Sicilia (ed. Nord), si sforza di vedere il buono dell’emergenza. «Avevo bisogno di recuperare energia dopo un anno speso nella promozione del libro, di dedicarmi al seguito della saga dei Florio, e di ristabilire un nuovo equilibrio in famiglia: mio marito e i miei due ragazzi non erano abituati alle assenze» spiega la scrittrice, grata del successo e al tempo stesso distaccata («Sono consapevole, come si dice da noi, che “Bon tempu e malu tempu nun duranu tuttu u tempu!»).


«Oggi sono più lucida, ho capito quali erano i rapporti autentici e quali “funzionali”. A me mancano gli abbracci, e ci si renderà tutti conto dell’importanza del contatto umano, pur senza esagerare con certi afflati poetici tipo: gli adolescenti torneranno a guardarsi negli occhi… No, continueranno a usare i social, che li aiutano a maneggiare l’incandescente “materiale emotivo” della loro età. Mi dispiace però per mia figlia: avrebbe dovuto sostenere l’esame di terza media – un rito di passaggio importante, la prima assunzione di responsabilità – e invece…». 

Levante: «Andrà tutto bene»

Levante, cantautrice
Andrà tutto bene, si intitolava il suo successo del 2019, diventato l’hashtag dei primi giorni dell’emergenza. Pare stonato, adesso? «No. Nonostante il lutto, nonostante il brutto, ognuno di noi ha bisogno di sentirsi dire che andrà tutto bene. E andrà bene davvero». Claudia Lagona, in arte Levante, ha fatto tesoro dell’occasione, concretamente («Ho suonato, ho scritto, ho cucinato piatti favolosi e fatto la pasta fresca ripiena, ho dipinto, ho letto, ho guardato una marea di film e serie tv, ho realizzato una copertina di lana») e non solo…

Levante a Sanremo (foto Matteo Rasero/LaPresse).

«Io lo sapevo già quanto importante fosse il tempo con gli altri. L’ho sempre saputo, me lo ha insegnato la vita a nove anni quando mio padre ci ha lasciati, però… in questo momento ho capito chi mi manca davvero. Ho messo a fuoco le persone attorno a me» spiega dal suo apartamento a Torino. «Dal Festival di Sanremo (dove era in gara con Tikibombom, il singolo per settimane più trasmesso dalle radio, ndr) mi muovevo come una palla impazzita, senza tregua. L’arresto improvviso mi è parso una boccata d’aria… Paradossale, a pensarci. Giorno dopo giorno, con la paura e il dispiacere nel cuore per quello che il nostro Paese stava subendo, pur tra qualche crollo emotivo, ho risposto con grande voglia di vivere e di agire». Si sente diversa? «Sono onesta: il continuo mutamento è la mia condizione di sempre. Forse, la ragazza che incontro allo specchio da qualche settimana è più serena. Si guarda intorno e lascia scorrere. Davanti a episodi per cui mi sarei arrabbiata, tiro su le spalle, scrollo la testa, passo oltre. Brucerò soltanto per le cose importanti».

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Nicoletta Manni: «La gioia di emozionarci»

Nicoletta Manni (Foto Brescia & Armisano, Teatro alla Scala).

Nicoletta Manni, ballerina
«Abbiamo comprato un pezzo di linoleum per avere un pavimento più liscio, usiamo tavolo e sedie al posto della sbarra. Ma rimanere in piedi è una sfida: o ci scontriamo per il poco spazio o andiamo a sbattere su qualcosa…». Nicoletta Manni, prima ballerina della Scala, oltre allo sgomento e al dolore, racconta il buffo della situazione, chiusa nel suo appartamento milanese di 50 metri quadrati con il compagno, Timofej Andrijashenko primo ballerino dello stesso teatro.

«Essere in due è un enorme punto di forza, essere in due con le identiche esigenze di allenamento è incomparabile: ci si incoraggia a vicenda. Ammetto però, sprono di più io. Questione di carattere: sono molto determinata, razionale; mi piace essere organizzata, avere obiettivi. Timofej è più istintivo, vive al momento, il che di solito è un bene: mi distrae dal nostro lavoro così intenso… Adesso tengo duro anche per lui. L’importante è non avere mai momenti di vuoto: lezione on line su YouTube la mattina, pranzo, stretching, addominali, potenziamento muscolare, un salto nel piccolo giardino, angolo di paradiso nella giornata.

«Ci siamo inventati di tutto, persino i puzzle. Di sicuro il lockdown mi ha fatto riflettere su quel che ho, sulla fortuna di vivere una vita così piena d’arte, di girare il mondo… Ha aumentato in me la gratitudine: basta lamentele. Stare ferma in questo momento – sia per l’età (ho 28 anni) sia per il percorso professionale – è un grande sacrificio, però andavamo troppo di fretta: partivamo all’alba per uno spettacolo la sera dall’altra parte del mondo… Follia. Però, alla continua ricerca della perfezione – o, comunque, di qualcosa in più – da sola non mi sarei concessa uno stop. Ho iniziato a tre anni, sono arrivata dalla Puglia all’Accademia della Scala a 12, da allora non mi sono fermata, al massimo due settimane in estate… Il corpo ogni tanto ha necessità di riposo. E quando finalmente ci ritroveremo davanti a una platea piena, ci emozioneremo – e faremo emozionare – ancora di più».

Geppi Cucciari: «La gentilezza, atto politico»

Geppi Cucciari (Getty Images).

Geppi Cucciari, conduttrice e attrice
«L’emergenza ha scattato una foto alla nostra vita e l’ha bloccata, dandoci il modo di guardarla bene, di intraprendere un viaggio nel condominio interiore, visitando gli anfratti…». Geppi Cucciari ha cercato di “usare, non subire” questo tempo. La ripresa di Rai Pipol – Lo spettacolo siete noi su Rai 3 è stata rimandata, ma ha continuato ad andare in onda ogni giorno con Un giorno da pecora su Rai Radio 1, si è inventata dirette Instagram la sera («Quando più ci si immalinconisce e così, siccome ho scelto questo mestiere per il piacere di fare compagnia, è nata “La comunità dei cugini disagiati”, di cui sono la capostipite»), si è tenuta in forma con crossfit, yoga e meditazione, si è inventata pasticcera («Mai preparata una torta in vita mia, ora sono specializzata in crostate»), ha scoperto che “vicino” da sostantivo può diventare aggettivo («I miei dirimpettai sono meravigliosi»).

«Il ruolo di familiari e amici, l’importanza degli abbracci, del rispetto, sono cose che a una certa età dovremmo già aver messo nell’agenda del cuore, però c’è sempre margine per le “pulizie emotive”: ho capito con chi posso attraversare le tempeste e con chi no». La sua ambizione, adesso, non è tornare alla “normalità”. «È stata la “normalità” – dal piano relazionale a quello ambientale – che ci ha portato qui. La speranza? Vedere d’ora in poi la gentilezza al potere. C’è una frase che dico nel monologo teatrale Perfetta, scritto da Mattia Torre: “La gentilezza è l’ultimo atto politico che ci è rimasto”. Speriamo! Purtroppo abbiamo la memoria corta, solo le donne ce l’hanno lunga e, di solito, con gli ex fidanzati… Prendiamo esempio da loro!». 

Paola Viganò: «Così vivremo insieme»

Paola Viganò (foto Fabrizio Stipari).

Paola Viganò, architetto e urbanista
How will we live together? Come vivremo insieme? Il tema della Biennale Architettura 2020 (prevista dal 29 agosto al 29 novembre) non poteva essere di maggior attualità. «Negli ultimi vent’anni è stato indicato un unico modello di città sostenibile, quella “compatta”, che concentra tutto negli stessi luoghi, mentre si sono giudicate negativamente le “metropoli orizzontali”. Questa emergenza offre l’occasione di ripensare alla questione: si tocca con mano – per esempio – che si sta meglio in una casetta con giardino piuttosto che stipati in un appartamento, a meno che la città non offra spazi pubblici molto generosi» osserva Paola Viganò, che porterà alla Biennale un suo progetto (ancora top secret). Architetto e urbanista, in moto perpetuo tra gli studi di Milano e Bruxelles, tra le cattedre di Venezia e Losanna, ha scelto il semi-confinamento in Svizzera perché può passeggiare.

«Ho scoperto che non è tempo perso, anzi. Ma il ritrovare un rapporto con se stessi è piccola cosa rispetto al tema epocale che si pone: come reagire alle catastrofi? Il mito della sicurezza è andato in frantumi, noi siamo i responsabili dei livelli sempre più elevati di rischio (come quelli legati al cambiamento climatico). Che fare, allora? Primo punto, ricorrere alla resilienza, che non è un concetto morbido: è durissimo integrarla al nostro stile di vita, significa essere attrezzati – dal punto di vista spaziale, economico e psicologico – a convivere con i fenomeni, non a resistere. Secondo, obbedire al concetto di One Health, promosso dall’Oms: o siamo tutti in salute – umani e non – o non lo sarà nessuno. Infine, riflettere nuovamente sul vecchio tema della “giusta distanza”».

Laura Marinoni: «Un radar per ripartire»

Laura Marinoni (foto Fabio Lovino).

Laura Marinoni, attrice
«Casualità (per quanto alla casualità non creda): a gennaio mi sono diplomata istruttrice di yoga. Tutti scuotevano la testa: a cosa ti serve? Ecco: l’8 marzo ho iniziato a regalare lezioni su Zoom, oggi ho 18 allievi». Laura Marinoni ha dovuto interrompere la tournée di “I promessi sposi” alla prova di Giovanni Testori ma passando dalla reclusione della Monaca di Monza (casualità?) a quella domestica non ha ceduto alla negatività («Mi sono protetta dalla pioggia di bollettini di guerra – intollerabili a livello psicofisico – spegnendo la tv, ed evito di pensare alla situazione catastrofica del lavoro: attori e musicisti sono i pochi senza il minimo paracadute sociale»). Come è riuscita a non lasciarsi abbattere? «Primo: si accetta la realtà, solo dopo si cercano – più che le vie d’uscite – le vie d’entrata… Il richiamo più importante che ci arriva dalla Storia è di rivolgerci all’interno di noi stessi. Uno non può mentirsi: stai chiuso in casa, di che hai voglia veramente? Cosa ti fa star bene? Come diceva il maestro Yogananda: quando entri in una stanza e c’è il buio, non metterti a prendere a bastonate il buio, accendi la luce! Non si agisce contro qualcosa, ma sempre per qualcosa…

«Divido la giornata tra yoga, pulizie, telefonate, lezioni di disegno (mai disegnato!); ho ripreso la chitarra dei 12 anni e ho scoperto il Qi Gong… E, sorprendente, ho cominciato ad amare profondamente Milano, la mia città, dove non riuscivo a restare più di venti giorni. Tiravo le tende, ora le apro: mi piace che sappiano che ci sono, come mi piace vedere gli altri sui balconi. Mi sono scoperta più forte (sto prendendo in mano la mia vita) e con una fiducia oltre ogni immaginazione: perché – sostanzialmente – ho fiducia in me stessa. Sono tutto tranne che depressa: c’è adrenalina, la volontà di esserci. E di esserci al meglio. Ci sentiamo così vicini alla morte che abbiamo un radar per captare solo le persone vere. Ce l’abbiamo e non dobbiamo buttarlo via: è quello che ci consentirà di ricominciare. Ho provato addirittura attimi di intensa felicità, come quando il mio vicino cantava a squarciagola: «Il mondooo/ Non si è fermato mai un momento/ La notte insegue sempre il giorno/ Ed il giorno verrà».

E voi come state vivendo la quarantena? Raccontatecelo!

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