Liberarsi dalla dipendenza affettiva

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Uscire dalla dipendenza affettiva

Ci aggrappiamo ad una storia alimentandoci del rifiuto, negando noi stesse, imprigionate nell’assurda convinzione di farsi amare da chi non vuole sapere di noi. Diventiamo “drogate” di relazioni tossiche, dipendenti affettivamente, nonostante ci facciano stare male e aggiungano solo dolore alla nostra vita. La psicologa ci spiega i retroscena di questo modo di amare “eccessivo”. E poi vi aiuta capire se ne siete affette con un test

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Adele H. è un film del regista Francois Truffaut tratto dai diari della figlia di Victor Hugo. Una storia d’amore, come recita il sottotitolo. Racconta del sentimento travolgente di questa giovane donna per un uomo del tutto indifferente a lei. Che la porterà ad umiliarsi, sottomettersi, perdersi progressivamente.
La vita della geniale scultrice francese Camille Claudel, allieva e amante per oltre quindici anni del grande Auguste Rodin, ci ripropone un amore appassionato, burrascoso e logorante che la porterà a morire in manicomio dopo un terribile internamento durato trenta anni.
Sono due storie di passione intensa, totalizzante, ossessiva. Viaggi nella sofferenza femminile alla ricerca disperata di affetto dove desiderio e follia si combinano pericolosamente. Ci sono anche tante storie comuni che, per certi versi, somigliano a queste. Che poggiano su sentimenti intensi, tormentosi, ambivalenti, distruttivi. Che fanno soffrire. Che vengono identificate come “amore”.È vero: l’amore ci rende sempre dipendenti. È il bello di questa esperienza travolgente e straordinaria. Diventiamo un po’ esagerati e morbosi, perché senza l’altro non possiamo stare, non sopravviviamo, ci manca qualcosa. Entriamo l’uno nell’altro, ci riempiamo, ci facciamo sommergere. A volte ci incastriamo. Del resto avere un legame significa “essere legato” a qualcuno. Quando siamo strappati da rapporti importanti, inevitabilmente soffriamo. In questo senso siamo sempre dipendenti nell’amore.
Sono proprio i legami a definire chi siamo. Solo attraverso le dipendenze più forti diamo un senso a noi stessi, ci strutturiamo. Dalle prime esperienze precoci con le figure significative che si prendono cura di noi, in genere la madre, sperimentiamo un modello di attaccamento che tendiamo a ripercorrere nelle relazioni intime adulte. È attraverso una soddisfacente e felice dipendenza precoce che possiamo diventare, crescendo, autonomi e saper ricreare una “dipendenza libera” con un partner, che non ci minacci nel profondo.
Ma spesso le cose si complicano. Non siamo mai così privi di difese, come nel momento in cui amiamo rifletteva Freud, perché nell’amore mettiamo le parti più fragili di noi. Che possono non essere abbastanza organizzate e quindi renderci estremamente vulnerabili, alla ricerca disperata di un riconoscimento affettivo, di un amore incondizionato, quello che non abbiamo mai avuto. Tentiamo di saldare crediti emotivi che appartengono ad esperienze che affondano nel passato. Qualcuno non ci ha amato abbastanza, ci ha detto che non valiamo, che dobbiamo fare di tutto per meritarci l’affetto. Abbandono, rifiuto, svalutazione, li abbiamo già conosciuti.E allora ci tormentiamo nell’illusione di poter cambiare le cose e la persona. Siamo portate a subire e sopportare inutilmente per troppo tempo. Ci aggrappiamo ad una storia alimentandoci del rifiuto, negando noi stesse, imprigionate nell’assurda convinzione di farsi amare da chi non vuole sapere di noi, non può o non è in grado. Da chi ha difficoltà, problemi, disagi eppure noi crediamo di salvare. Da chi è irraggiungibile ma noi vogliamo avvicinare. Oppure saltiamo da una relazione all’altra senza realizzare mai un vero “incontro”. Diventiamo “drogate” di relazioni tossiche, dipendenti affettivamente, nonostante ci facciano stare male e aggiungano solo dolore alla nostra vita. Affondiamo in una condizione di disperazione, paura, incertezza dalla quale non riusciamo a sottrarci, pur riconoscendola insoddisfacente: non possiamo farne a meno. Un amore autodistruttivo. Love addiction è il termine inglese che identifica questa condizione.Certo, il mito dell’amore romantico, tanto caro alla nostra cultura, non ci aiuta. Perché propone rapporti distruttivi e annullanti, come relazioni da sogno. Propina “leggi” falsificate sull’amore. Che la ricerca dell’amore è alla base della felicità, ad esempio, che il sentimento è per sempre e sopra tutto, che esiste una persona precisa per noi che può completarci, che se resistiamo e ci impegniamo allora l’altro cambierà, che per amore si sopporta. Mito a sfavore soprattutto delle donne, chiamate sempre in causa per sostenere, capire, reggere. Aggravato da archetipi femminili svantaggiosi, come i primi modelli femminili propinati alle bambine, le principesse, che devono essere solo belle, aspettare di essere scelte e amare incondizionatamente il loro principe.
Il cammino per sottrarsi ad un destino sentimentale che ci sembra avverso è un percorso interiore nelle paure, assenze, mancanze. Per scoprire energie vitali di cui siamo sempre provviste, anche se non sembra. Disdire l’abbonamento a quell’idea di fragilità di noi stesse, di non poter stare sole, di non essere nessuno senza il partner. Mettere da parte l’altra persona nella riflessione e prendere consapevolezza del nostro modo di porci e delle cose che ripetiamo nei nostri rapporti. Cerchiamo di vedere la nostra dipendenza come un aspetto che può essere cambiato. E prendiamo tempo per riconoscere le persone che ci trattano bene e ci fanno sentire amate. Bisogna fare un lavoro attivo su noi stesse per imparare a stare da sole e scoprire modi liberi di vivere le relazioni, non per completarci o salvarci ma espanderci, dare di più a noi stesse.
Loris Old
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