La prima ginecologa della storia: Trotula da Salerno

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Nella sua Historia ecclesiastica il monaco e storiografo Orderico Vitale, classe 1075, racconta un gossip molto interessante. Ci dice che un nobile normanno, un certo Rodolfo “cognominato” Malacorona (e dagli con ’sta corona…), capitò a Salerno nel 1059 per fare visita a suo nipote ed essendo un uomo di grande cultura medica voleva farne sfoggio con i magistri della famosissima scuola salernitana. Invece non trovò alcuno che potesse «stargli al paragone» tranne una «sapiente matrona». Così brava che perfino l’autoreferenziale e borioso Rodolfo dovette dargliene atto. Ohibò, una donna più sapiente dei sapienti, che sa di medicina meglio dei medici, che disserta con un forestiero, e tutto questo nell’anno del Signore 1059? Sì, e la «sapiente matrona» ha un nome e un cognome: Trotula de Ruggiero.


Trotula de Ruggiero in un’incisione oggi al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano.

Protagonista di un libro

A riportarci questo succulento aneddoto è Pietro Greco, giornalista scientifico e autore del libro Trotula, appena edito da L’Asino d’Oro, che si propone di restituire all’illustre salernitana «il posto che le spetta nella storia della scienza e farla conoscere anche al grande pubblico». E ci riesce benissimo, cercando di distinguere verità e leggenda. Ne esce il ritratto a tutto tondo di una donna speciale, citata da più fonti, adorata dai concittadini, diventata famosa fino in Inghilterra, tanto da essere nominata da Geoffrey Chaucer in I racconti di Canterbury.

Un nome all’epoca diffuso

Trota o Trotula (l’autore ci dice che «Il suo nome può sembrare strano» a noi moderni, ma era molto diffuso all’epoca nel meridione d’Italia) viene al mondo da una illustre e agiata famiglia che addirittura contribuisce munificamente all’edificazione del duomo. «Trotula vive in una condizione ideale, o quasi. Poiché appartiene alla nobiltà, può studiare. E poiché la Salerno longobarda e poi normanna è città laica e di mentalità aperta, può studiare anche se è donna». In breve, si distingue come una delle principali esponenti di quelle mulieres salernitanae che gravitano intorno alla scuola di medicina: il campo che interessa a lei è quello della salute femminile.

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Trotula (al centro) in una miniatura del “Codex Vindobonensis 93”, alla Biblioteca Nazionale di Vienna.

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L’opera più nota: De passionibus mulierum

Secondo alcuni storici, diventa proprio magistra. Secondo altri no, «perché anche nella Salerno dell’XI secolo a una donna è consentito sì di frequentare la Scuola medica e salire lungo la scala gerarchica, ma non di raggiungere l’ultimo piolo» e cioè, come diremmo oggi, “laurearsi e abilitarsi”.
Sposa un medico, Giovanni Plateario, lui sì di sicuro magister, e ha da lui per certo due figli, forse tre. «I primi due, Giovanni il Giovane e Matteo, saranno entrambi medici e maestri della Scuola salernitana». Il terzo, Ruggiero, diventerà probabilmente signore del castello di Montuori.

Croci e delizie

Quindi Trotula vive sulla sua pelle le croci e delizie della gravidanza, del parto, del puerperio, e proprio a queste tematiche – allargate a tutta la vita sessuale – dedica la sua opera più famosa, il libro conosciuto come De passionibus mulierum, meritandosi la palma di prima ginecologa della storia.
Non ha remore a parlare del corpo delle donne come di una cosa bella e buona, senza considerarlo peccaminoso o impuro; le mestruazioni, per lei, non sono il segno del peccato originale, ma qualcosa di naturale di cui non ci si deve vergognare. Parla anche di puericoltura: è tra le prime a dire che la sterilità non è affatto un problema solo femminile, checché ne dicano i maschi. Il suo libro resterà in gran voga per secoli. La sua estrema modernità si basa sul fatto che tratta della «ricerca del benessere complessivo delle donne – fisico, psichico e (dunque) anche sessuale» ci spiega Greco.

Uno “spot” per l’unguento antirughe

Questa non è l’unica opera rimasta della “forse magistra” salernitana. Nel De curis mulierum per i malanni femminili vengono suggeriti rimedi naturali a base di erbe, vino e aromi. Si fanno incursioni scientifiche anche sui problemi dell’apparato genitale maschile. Ma il tema più interessante e ancora una volta modernissimo è quello del desiderio femminile. «Il paragrafo che riguarda la salvaguardia della salute delle donne nubili e vedove è di particolare interesse, perché vi è riaffermata la teoria secondo cui «queste donne, quando abbiano desiderio di congiungersi e non possano farlo, incorrono in gravi malattie». Perché i rapporti sessuali desiderati fanno bene alle donne, nel fisico e nello spirito: e siamo nell’XI secolo.

Bagni di vapore e massaggi

Trotula si occupa anche di bellezza in un terzo titolo, il De ornatu mulierum, nel quale «intende insegnare direttamente alle donne come conservare e migliorare la propria bellezza, sia coltivando l’igiene personale sia utilizzando una serie di rimedi, tecniche, unguenti e profumi». Si va dalle rughe alle occhiaie, dalla depilazione alle macchie sulla pelle, dall’alitosi alle labbra screpolate, con molti consigli per sentirsi meglio grazie all’uso dei bagni, del vapore e dei massaggi. Anche in questo caso c’è una modernità sorprendente: «Un unguento per nobili donne che rimuove i peli, raffina la pelle e toglie via le macchie» esordisce Trotula. Sembra uno spot ante litteram: segue ricetta.

C’è chi dice che quei testi, in latino, non sono stati scritti direttamente da lei, ma dettati, e forse frutto della collaborazione con altre mulieres. Ci va bene anche così: tutto questo ha saputo fare Trotula, che visse mille anni fa, gettando le basi di una solida medicina delle donne e per le donne.
Dopo i primi secoli di indiscussa popolarità – culminati nel Cinquecento con la pubblicazione della sua opera omnia – anche la memoria di Trotula avrà dei problemi.

Trotula secondo Milo Manara.

In anticipo di un millennio

C’è chi comincia a negare la sua esistenza. Non si riesce, per la mentalità della Controriforma, ad ammettere che una donna possa avere tanta scienza. Ma i libri ci sono e allora cosa si fa? Semplice. Si trasforma Trotula in Trotulo. Si attribuiscono i suoi scritti a un liberto della figlia dell’imperatore Augusto. E la negazione dell’identità di Trotula continua «fino al XX secolo, quando il tedesco Konrad Hiersemann, allievo dello storico Karl Sudhoff, sostiene che alcune abbreviazioni del testo più antico – come Tt’ e Trott’ – devono essere intese come abbreviazioni di Trottus». Figurarsi.
Il mito di Trotulo è stato definitivamente spazzato via di recente da Monica H. Green, la quale ha dimostrato che «né a Salerno né altrove ai tempi di Trotula viene usata la versione maschile del nome Trota. Trottus non esiste, taglia corto la storica americana».
Ma ci pensiamo? Trotula curava le donne come solo una donna sa fare intorno all’anno 1050. Bisognerà aspettare quasi un altro millennio per tornare a riappropriarci del nostro corpo, per avere dottoresse femmine che si occupino di noi, per ottenere, almeno sulla carta, la parità vera nel campo accademico della medicina: pochi decenni fa, praticamente ieri, nel lungo corso della Storia.
Grande Trotula.

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