Giovani nel Deserto

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E’ facile colpevolizzare i Giovani.

Per mancata attenzione, per scarsa responsabilità, per lassismo e menefreghismo.

E’ molto più complicato capire dove sono le responsabilità ma soprattutto dove può esserci il cambiamento, dove devono essere scovate le mosse per cambiare una rotta culturale che ci appare sbagliata e pericolosa.

Torniamo allo Sport e per una volta (a Nati Sportivi piace poco) alla cronaca.

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Ha fatto scalpore l’immagine di 3 ragazzi del Genoa, in tribuna, che allegramente si dilettano allo smartphone non curanti del difficile momento della squadra.

Con il sorriso beffardo di chi sa che tanto alla fine nulla è importante, nulla conta veramente.

Che messaggio è arrivato? Il declino valoristico di una generazione che ha sostituito il reale con il virtuale, che ha messo l’obiettivo fuori dal campo e dallo sport vissuto praticamente.

Andiamo per gradi però.

Lo faremo rispondendo a semplici domande: Perché, Cosa, Quando, Come.

Perché? Perché la deriva culturale si è fusa con il messaggio comunicativo, la tecnologia ci ha avvicinato e ci ha allontanato, i social ci aiutano a condividere di più ma a vivere di meno, si è scombinata la classifica di ciò che è importante nel quotidiano da quando ci svegliamo a quando andiamo a dormire.

E se si cambiano le abitudini, si cambiano i costumi, si cambia l’Uomo.

Solo colpa della Tecnologia? Assolutamente no, responsabilità di chi ha sottovalutato il problema e di chi crede che il virtuale possa sostituire il reale nella formazione dell’individuo.

E se torniamo allo Sport, al Calcio come visuale più esposta, se consideriamo la sua espressione migliore, quella dentro il campo anche lì si è trasportato un modello che si fa fatica a accettare.

Cosa? I Giovani sono sempre stati reazionari e pigri per natura.


Dal dopo guerra ad oggi nella dimensione che conosciamo i più piccoli devono imparare, gli adolescenti sono irrequieti, i liceali sanno tutto e non vogliono sapere nulla, gli universitari sanno solo perdere tempo ma vogliono cambiare il mondo.

Una continua contraddizione tra ciò che serve e ciò che non si fa, il marchio di fabbrica di chi poi costruirà il futuro.

Ma questa non è una novità.

La novità è stata nella fruizione senza istruzioni di nuovi strumenti di comunicazione non compensata da una formazione all’insegna del rispetto delle autorità.

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Al tempo stesso le autorità, quelle sportive perché di questo parliamo, hanno iniziato a perdere autorevolezza, la caratteristica che conquista il giovane, che lo fa ispirare, cambiare e potenzialmente crescere.

Perché un ragazzo, una ragazza non ha solo necessità di una guida ma ha bisogno di una persona che sappia farlo nei tempi in cui si vive, con gli strumenti adeguati e l’attenzione verso il nuovo.

Il passato che si mette al servizio del futuro e non il contrario.

Quando? Tutto è avvenuto quando si è strutturata l’idea del “Vale tutto.”, cioè della consapevolezza che ogni azione, ogni comportamento sia figlio di una condotta lecita seppur disinserita nel sistema, seppur eccentrica e stravagante.

Già sistema, insieme, squadra, società.

Parole e sinonimi che sono stati messi sotto assedio da una concezione negativa dei termini nella quale si debba necessariamente perdere la propria identità e se stessi.

Questo ha minato la possibilità di riconoscere un’identità diversa da se stessi alla quale porre riferimento.

L’IO nell’INSIEME e non l’IO per l’INSIEME.

Probabilmente l’errore più grande.

Ma l’Uomo tra gli istinti primari ha necessità di credere in qualcosa, di seguire e di identificarsi, di rappresentare.

Se si smette di farlo inizia a navigare su singole barche che segnano ognuna la sua strada ma senza mappa, si brancola con l’utopia della libera espressione ma non ci accorge che in questo modo ci si omologa in modo più veloce.

Come? Qui entra in gioco il futuro. Se la condotta delle nuove generazioni nel mondo dello sport, soprattutto quello di squadra, sia fuori fase vuol dire che in quella precedente qualcosa è andato storto, sia nell’educazione sia nella visione.

Lo Sport ci insegna il rispetto.

Delle regole del campo e di quelle del gruppo, dell’avversario e del compagno, della diversità che tuteli il sistema e non di quella fine a se stessa. Insegna il rispetto della preparazione al risultato e all’accettazione dello stesso, rispetto della fatica e dei ruoli.

E questo non è ne passato ne futuro, non è una lista nostalgica del bravo giocatore ma la tavola della legge che vige su chi decide di vivere una squadra, una società.

E in una squadra tutti sono uguali nel rispetto delle regole, tutti devono fare la propria parte per raggiungere il risultato, ognuno ha una parte diversa collegata e responsabile dell’altro.

Ma al Giovane non va dato per scontato, va insegnato, comunicato, va fatto respirare come fattore positivo e valore aggiunto per se stesso e per il suo futuro nello Sport. Non va dogmatizzato il rispetto va trasferito come plus ultra.

Se vogliamo che lo Sport venga guidato da valori che lo reggano, che ci siano delle leve comportamentali, come il rispetto dei ruoli, l’appartenenza e la responsabilità, sulle quali poggiare il futuro, il sistema deve essere il primo a generarle e rispettarle e non demandare ai giovani la soluzione al problema.

Allora i ragazzi del Genoa li vedremo a bordo campo partecipare e spingere, magari con il loro smartphone e qualche storia divertente, ma con lo scopo di sentire propria quella sconfitta, di riuscire a sentirsi parte di qualcosa.

 

L’articolo Giovani nel Deserto proviene da Nati Sportivi.

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Redazione MusaNews
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