La verità è che mi sta piacendo così tanto questo nuovo modo di vivere che non voglio più che finisca. Certo, mi vergogno a dirlo. Tra contagi, vittime, con ospedali pieni, e persone che lottano per la loro vita, o per salvare la vita degli altri. Ma è possibile che servisse una pandemia per farci cambiare prospettiva?
Perché nonostante ciò che accade fuori, nella mia casa, io sto iniziando a stare bene. Non vi nego che è stato graduale. Ma d’altronde tutto lo è nella vita. Un po’ come una tragedia greca.
All’inizio non sappiamo ancora a cosa andiamo incontro, chi saremo nella storia, cosa ci attende, che percorso faremo o dove andrà a finire. L’inizio è il prologo: si introducono i personaggi, si scopre l’ambientazione, si detta il tempo e si attende di scoprire lo sviluppo della trama. In mezzo, si inizia a vivere.
E al giorno 14 di questa quarantena, a me questo vivere piace. Forse è colpa dei ritmi più lenti. O forse per la sensazione di liberazione da impegni che di colpo non devi più rispettare. Forse è la rilassatezza che nasce dal non avere nessun posto dove andare, nessuno da vedere.
Semplicemente stare a casa. A casa con le persone con le quali abbiamo scelto di condividerla, ma delle quali spesso ci dimentichiamo, rivolgendo un saluto di sfuggita tra un impegno e un altro, tra un appuntamento e una cena, tra un ritardo e un anticipo.
In realtà, mi è sempre piaciuto stare a casa. Sono stata cresciuta da una mamma che reputava la noia la migliore terapia per lo sviluppo della creatività. E ricordo estati trascorse in giardino, al caldo, con mia sorella, a inventarci qualsiasi cosa per intrattenerci.
Ecco, in questi giorni a casa sono tornata al passato, come catapultata da una capsula del tempo che mi ha permesso di rivivere quelle sensazioni che negli anni non avevo più provato. Una forma di quiete.
Superata l’irrequietezza iniziale, e svuotando la mente da domande, programmi, e dubbi, in questi giorni, ho imparato a lasciarmi andare. Ho scoperto che non tutto va come volevi ma che è bello anche così.
Che i programmi che facciamo, le proiezioni, e i grandi progetti contano poco perché non sappiamo veramente ciò che il futuro ha in servo per noi.
Ho scoperto che non è necessario essere al mare, in campagna, in una villa maestosa o su un’isola esotica per stare bene. Si può trovare pace anche in un appartamento di pochi metri quadrati nel centro di Milano. Anzi, non averla abbandonata nel momento di bisogno, conta ancora di più.
Ho scoperto il potere curativo di accendere candele, alzare la musica, spegnere il telefono, svegliarsi la mattina con un the caldo e una pratica di yoga per dimenticare tutto il male.
Ho scoperto l’importanza di coltivare i propri spazi, ma anche i propri ritmi, e di trovare i propri tempi. Sono sempre stata amante della lentezza.
E ho scoperto che anche accovacciati nei 50 centimetri di un balcone con vista sul cortile interno, il sole ti scalderà sempre.
Ho scoperto che in realtà, per essere sereni, basta volersi bene. E nel silenzio della città, nelle nostre case, ho imparato a riposare.
Perché questo è tutto questo. Un riposo. Un riposo del corpo e della mente dal troppo fare – un riposo che è la cura per l’anima. Mi rendo conto che fuori siamo in guerra.
Ma nel grande piano di mobilizzazione, a noi è chiesto di fare il nostro dovere: stare a casa. E se è questo che dobbiamo fare, perché non farlo al meglio?
Perché non fare la nostra parte con il sorriso, orgogliosi che in qualche modo stiamo contribuendo alla lotta senza lamentarci e senza essere un peso, anzi alleviandolo.
Dal rifugio delle nostre abitazioni, pensiamo poi a chi una casa non ce l’ha, che vaga per le strade della città in questi stessi giorni chiedendosi dove passerà la notte, se si troverà al caldo o al sicuro. E siamo riconoscenti. Perché in questo grande schema, il nostro dovere è quello semplicemente di stare a casa. E dobbiamo farlo bene.
Perché stare a casa, non vuol dire fermarsi. Mentre si chiudono aziende, negozi, ristoranti, l’economia, e gli appuntamenti in tutto il Paese, dobbiamo ricordarci che non si ferma la vita. Lo diceva anche il vecchio detto, chi si ferma è perduto. Ma come si fa ad andare avanti stando immobili? Cambiando prospettiva.
Muovendoci anche da fermi, con la mente, con l’immaginazione, con la creatività.
Il movimento è ciò che ci rende vivi, e noi dobbiamo imparare a vivere anche così, cercando di creare nuovi equilibri. Scoprire quanto può essere potente un movimento se fatto con il pensiero.
Forse da questo, impareremo a creare molto di più di quanto abbiamo saputo fare fino ad ora, correndo troppo.
Carolina Nizza
E voi come state vivendo la quarantena? Raccontatecelo!
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