Erano giorni come questi…

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Il ricordo di un’emozione

Erano giorni come questi. Era giugno come adesso. Era qualche decennio fa. Non erano certo anni facili, ma non avevamo nemmeno la guerra fuori dalle nostre finestre. In questi giorni di giugno di quarant’anni fa, in Spagna si era già dato il calcio d’inizio al Campionato Mondiale di calcio.

L’Italia c’era, come quasi sempre. Ricordarlo oggi fa particolarmente male dopo due mancate qualificazioni mondiali consecutive. Era la solita nazionale italiana che parte per giocarsi un mondiale con i soliti mugugni e rumorosi borbottii. Addetti ai lavori e tifosi non erano pienamente convinti di quella formazione. Esattamente come avviene sempre, o quasi sempre.

Erano giorni come questi

Il Comandante

Alla guida di quel gruppo vi era un uomo, un friulano di nome Enzo Bearzot, uno delle personalità più sottovalutate, e presto dimenticate, del fatuo ed effimero mondo del calcio. Lo stesso commissario tecnico che l’aveva guidata quattro anni prima al Mondiale di Argentina, quello che ci aveva fatto scoprire Paolo Rossi ed Antonio Cabrini.

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In quel mondiale sudamericano la nazionale italiana si classificò al quarto posto, anche tra molti rimpianti. È stata la più bella nazionale degli ultimi cinquant’anni, a giudizio, assai opinabile, di chi scrive. Ancora più bella di quelle che avrebbero poi vinto, negli anni e nei decenni successivi, campionati del mondo e campionato europeo.

Gli anni ‘80

In una sua nota canzone il cantautore Raf si domandava: Cosa resterà di questi anni ’80? Tanto dolore e rabbia, se si pensa soltanto alla strage alla stazione di Bologna, 1 agosto 1980, costata la vita a 85 persone innocenti, oppure all’omicidio di matrice mafiosa, 3 settembre 1982, del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di sua moglie, Emanuela Setti Carraro e dell’agente Domenico Russo. Quella vittoria si inseriva nel mezzo, quasi a volerci regalare un sorriso dopo aver pianto vittime innocenti e prima di versarne altre.

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Nell’esultanza incontenibile ed iconica del nostro presidente della Repubblica, Sandro Pertini, vi era tutta la voglia di un paese di uscire da anni bui e di mostrare al mondo il nostro volto migliore. Ed il volto migliore del nostro paese era simboleggiato, non a caso, da due friulani: Enzo Bearzot e Dino Zoff. I due comandanti, uno in panchina, l’altro in campo.

La decisione di non parlare più

Umiltà, lavoro e poche parole, questo era il loro credo. E poi un orgoglio smisurato. Dopo le 3 prime partite, decisamente incolori, con 3 sbiaditi pareggi contro Polonia, Perù e Camerun, la stampa ha iniziato ad attaccare squadra e singoli giocatori. Sono iniziate a circolare voci incontrollate ed inammissibili. La decisione di adottare il silenzio stampa è stata soltanto una naturale conseguenza di attacchi che andarono ben oltre il puro e semplice aspetto tecnico.

Il portavoce della squadra era il suo capitano, Dino Zoff. Il miglior portavoce possibile durante un silenzio stampa, lui che ha sempre preferito far parlare…i fatti. Quel silenzio è stato davvero il primo mattone che ha edificato quel successo E lo immaginiamo, il grande Dino, all’interno dello spogliatoio, lui che a 40 anni stava giocando il suo ultimo grande torneo della carriera, che parla ai suoi compagni come un novello John Belushi, quello di Animal House, recitando la famosa frase: Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare.


Erano giorni come questi e l’inizio del sogno

Erano giorni come questi. Da quel momento sono iniziati eventi, sportivamente parlando, che chi ha avuto la fortuna di viverli non potrà mai dimenticare. Come quel pomeriggio del 5 luglio 1982 allo Stadio Sarrià di Barcellona…

Ma questa è un’altra, indimenticabile storia.

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