In tempi normali, i disabili sono parte integrante di questa piccola città della legalità e del lavoro che si trova nel cuore di Napoli: la Fondazione Foqus Quartieri spagnoli, 10mila mq nell’ex istituto di suore Montecalvario, aperta nel 2013. Uno straordinario luogo di rigenerazione urbana e prevenzione dell’emarginazione dove ogni giorno 1500 persone di ogni età entrano per lavorare, studiare, crescere, formarsi, socializzare: ci sono scuole dal nido alle medie, l’Accademia di Belle Arti, studi fotografici, start up, un giornale online, l’Istituto di Formazione Musicoterapeutica, una palestra, bar, scuola di danza ecc… (ne avevamo parlato noi di Io Donna con un reportage nel 2014).
I disabili cognitivi – una cinquantina circa – dal 2016 sono seguiti dal centro di abilitazione Argo, «dove si lavora sull’autonomia e sulla socializzazione», spiega Renato Quaglia, direttore di Foqus. «Ora, in tempi di coronavirus, l’importante è non spezzare questo filo, e aiutarli a mantenere i ritmi della quotidianità di prima». Se l’isolamento è un problema per tutti, per i disabili lo è ancora di più. Il ritrovarsi chiusi in casa, senza sapere cosa fare, rischia di vanificare il percorso portato avanti negli anni. Per questo a Foqus hanno deciso di continuare a seguirli anche a distanza.
Ma cosa facevano gli “argonauti” a Foqus fino a prima dell’epidemia? «Normalmente i bambini la mattina vanno a scuola, seguiti in classe dai nostri operatori, che restano con loro anche un paio di pomeriggi a settimana. I ragazzi,e i giovani, stanno con noi tutto il giorno, e si integrano nelle nostre attività. Argo è un centro non medicalizzato di “abilitazione” perchè si punta sulle abilità che ciascuno di loro – Down, con problemi di autismo, sindromi psicotiche – ha o può sviluppare. C’è chi mette a posto l’archivio fotografico, chi lavora in segreteria, nell’orto, chi cucina o serve nella mensa scolastica. Si mescolano con gli altri, pranzano con gli studenti». Tutto ciò però si è interrotto. C’è chi è tornato nel suo basso, in condizioni di estrema povertà, chi invece ha una situazione sociale non così disagiata.
Dialogo a distanza contro l’isolamento
Il piano di Argo in tempi di pandemia è partito subito e sta andando avanti su tre livelli: «Prima di tutto», spiega Quaglia, «abbiamo preparato un vademecum per le famiglie, dove spieghiamo come comportarsi in tempi di restrizioni, come mantenere i ritmi quotidiani, e anche aiutare i ragazzi nelle loro emozioni messe a dura prova dall’isolamento. Secondo: abbiamo aperto con i ragazzi un dialogo a distanza. Abbiamo portato un computer a chi non l’aveva, spiegato le nozioni base per il funzionamento ai genitori, quindi attivato delle chat in piccoli gruppi di 3/4 ragazzi, che cambiamo ogni settimana in modo che ognuno si ritrovi a interagire prima o poi con tutti. Così abbiamo il modo di proporre lavoretti, spesso ricette, come fare torte o quiche. La cucina è utile e molto gratificante; naturalmente i “compiti” dipendono dal grado di autonomia, e cerchiamo sempre di coinvolgere i genitori. Terzo punto: la restituzione. Loro raccontano e mostrano il lavoretto fatto, così da essere stimolo agli altri. Si cerca di mantenere lil più possibile le relazioni com’erano prima del lockdown. Il nostro sforzo è continuo, ma ci rendiamo conto che i disabili usciranno molto provati da questo lungo periodo di costrizione, e ne subiranno a lungo le conseguenze».
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