Coronavirus: come difendere la didattica a distanza dagli attacchi cyber

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Ormai non ci sono più dubbi: le scuole restano chiuse e la didattica a distanza è diventata obbligatoria. Otto milioni e passa di studenti (o almeno quelli che in casa hanno  computer e wifi) tutti i giorni si collegano in rete con i loro insegnanti, circa 800mila. Una mole enorme di connessioni, dati personali, video che circolano e che riguardano soprattutto minorenni. Come stare tranquilli che non finiscano nelle mani sbagliate e che la privacy delle famiglie non venga violata? Ne abbiamo parlato con Gastone Nencini, country manager di Trend Micro Italia, azienda leader nella cybersecurity. Che ci ha rassicurato: il rischio c’è, perché questa gran massa di dati è interessante e si può monetizzare, ma basta fare attenzione. E stare vicini ai bambini.

Getty Images

La didattica a distanza ha immesso in rete in un colpo solo una enorme quantità di informazioni. Le scuole usano piattaforme diverse, didattiche e commerciali, e gli insegnanti qualche volta non hanno il modo e il tempo di imparare a navigare in scioltezza. Il problema è che «i  software possono avere falle di sicurezza conosciute o no. Per le prime, ci sono gli aggiornamenti, che è indispensabile fare. Ma ci sono anche gli 0day, cioè le falle non ancora scoperte dal produttore, che possono essere utilizzate dai cyber criminali. Quello che interessa ai criminali è acquisire informazioni su chi è in linea per poi fare phishing, cioè truffe commerciali, diffondere materiale pedopornografico o addirittura prendere il controllo del computer e chiedere un riscatto in bitcoin al proprietario per poterlo riutilizzare». Ecco quindi qualche consiglio, per i genitori e gli insegnanti.

 

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Attenzione ai video

– fare tutti gli aggiornamenti richiesti (mentre spesso tendiamo a rimandare)  sia del sistema operativo, sia dei programmi utilizzati


– per i genitori: limitare l’uso del computer alla didattica, mettere filtri famiglia, o filtri orari, il Parenting Control, bloccare l’accesso a internet, insomma tutto ciò che si può per non lasciare campo libero a bambini in rete

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– installare software antivirus commerciali

– per i docenti: scegliere piattaforme commerciali che offrano un servizio di prova, per settare i parametri di sicurezza

– durante le sessioni in collegamento con gli studenti, all’inizio fare l’appello e controllare i partecipanti (che non aumentino, perché magari qualche studente aggiunge un estraneo)

– disattivare o limitare le chat private durante le lezioni, lasciando attiva solo quella pubblica

– utilizzare il meno possibile i video. Può succedere che ci si impadronisca del video di un professore ai suoi alunni e li si spinga ad aprire un link dal quale si può arrivare a materiale pedopornografico. Ma può succedere anche questo: a un bambino arriva il video di un amico che lo invita a visitare un sito dove c’è un gioco bellissimo; il gioco c’è, ma mentre lo scarica, scarica anche un software malevolo, o malware, con una telecamera che riprende il bambino mentre gioca, e rivende le immagini. Gli hacker possono utilizzare anche una tecnica pericolosissima detta deep fake: si intercetta un video, si mantiene la voce di chi parla ma gli si cambia il testo: difficile capire che sia un falso. Insomma, meno video e meno dati personali si fanno girare, e meglio è.

 

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