Il suicidio è una realtà di cui nessuno vuole parlare. È un argomento che ci fa sentire a disagio. Tuttavia, mentre neghiamo la sua esistenza guardando dall’altra parte, facendone un tabù, ogni giorno tra le 8 e le 10mila persone cercano di uccidersi. Di queste, circa 1.000 vi riescono.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità indica che il suicidio è la decima causa di morte. In realtà, parlare di suicidio con una persona a rischio di commetterlo non la incoraggerà a togliersi la vita, anzi, la farà sentire compresa e saprà di non essere sola. Pertanto, se una persona invia segnali del tipo “non voglio vivere“, parlargli di suicidio ridurrà il rischio che lo commetta.
Cos’è la sindrome pre-suicidaria?
Lo psichiatra austriaco Erwin Ringel iniziò a riferirsi alla sindrome pre-suicidaria a seguito di uno studio condotto nel 1949 con 745 persone che tentarono il suicidio. Lo descrisse come lo stato mentale che la persona sperimenta prima di suicidarsi. Pertanto, è una condizione psicologica che massimizza il rischio suicidario poiché l’atto è considerato imminente.
Imparare a rilevarla è importante perché molti tentativi di suicidio potrebbero prevenirsi. Infatti, le statistiche sul suicidio rivelano che tra l’1-2% delle persone che tentano di togliersi la vita riesce a farlo prima del primo anno, tra il 15-30% delle persone ripetono il tentativo prima dell’anno e circa un 10-20% diventano grandi ripetitori di comportamenti suicidari fino a quando non raggiungono il loro obiettivo. Sottoporsi a un trattamento psicologico può interrompere questo ciclo.
I principali segni della sindrome pre-suicidaria sono:
1. Costrizione di sentimenti e relazioni. La persona sperimenta una diminuzione dell’energia emotiva e delle funzioni cognitive. Sprofonda in uno stato di anedonia e di appiattimento affettivo. Vive un restringimento della sua vita psichica. Inoltre limita al minimo possibile i suoi rapporti con gli altri e si isola. Infine, non riesce a pensare con chiarezza e cade in uno stato di ritiro quasi completo.
2. Inibizione dell’aggressività. La persona che pensa al suicidio di solito accumula molti rimproveri e risentimenti contro gli altri o contro il mondo, sia a causa di eventi negativi specifici che ha vissuto, sia per mancanza di opportunità. Ma gli impulsi aggressivi che normalmente si rivolgerebbero agli altri si trasformano in aggressività verso se stessi, che è ciò che alla fine porta al suicidio.
3. Fantasie suicide. Nella sindrome pre-suicidaria sono presenti pensieri e fantasie sulla propria morte. In effetti, c’è una sorta di restringimento della coscienza in cui c’è spazio solo per le idee suicide. Queste immagini autodistruttive diventano più intense e ricorrenti, al punto che la persona le accetta come la soluzione definitiva ai suoi problemi.
Le fasi che precedono la sindrome pre-suicidaria
Prima che una persona tenti il suicidio, passa attraverso una serie di fasi che sono generalmente ben differenziate per l’occhio esperto:
1. Apparizione dell’idea suicida
In questa prima fase fa la sua comparsa l’idea di porre fine alla sua vita. Il suicidio si presenta come una possibilità per porre fine alla sofferenza o allo stato di profonda anedonia. Comincia a essere visto come un’opzione per risolvere problemi reali o immaginari. È una fase relativamente breve perché una volta sorta l’idea, di solito non ci vuole molto perché la persona la accetti come valida alternativa.
2. Conflitto ambivalente
La seconda fase è caratterizzata da una profonda ambivalenza. La persona vive una lotta interna tra tendenze autodistruttive e voglia di sopravvivere. Pensa cose come “non voglio più vivere, ma ho paura di morire” o “non voglio morire, ma non voglio nemmeno continuare a vivere così”. In questa fase, solitamente piuttosto lunga, prova una enorme angoscia e spesso invia ripetuti segnali di allarme che passano inosservati. In un certo senso, è l’SOS dell’”io” che cerca di sopravvivere.
3. Sinistra tranquillità
Nell’ultima fase, la decisione è già presa. La persona smette di lottare tra questi conflitti interni, il che è di solito accompagnato da un’insolita tranquillità o addirittura da un “miglioramento” dell’umore. La persona sente finalmente di essersi liberata del proprio carico perché ha preso la decisione fatale. A questo punto si disinteressa di tutto e si disconnette anche dalla propria sofferenza perché si dedica esclusivamente alla preparazione del suicidio. È in quest’ultima fase che si manifesta la sindrome pre-suicidaria.
Vale la pena chiarire che nelle personalità immature o impulsive, così come negli stati di ubriachezza o nelle esplosioni psicotiche, queste fasi si verificano quasi simultaneamente perché la persona può passare dall’idea all’atto quasi senza ambivalenza. In questi casi, è molto difficile prevenire l’atto del suicidio.
Invece, le idee suicide nate da processi nevrotici attraversano di solito periodi di dibattito interiore più larghi prima di agire, il che lascia spazio per ascoltare le richieste di aiuto e aiutare la persona.
È importante tenere presente che il desiderio principale della persona che pensa al suicidio non è morire, ma solo porre fine al proprio dolore, angoscia e sofferenza. In altri casi, non sono nemmeno questi sentimenti negativi che portano al suicidio ma l’apatia e l’ottusità emotiva, la sensazione di essere vuoti dentro e che nulla ha senso. Pertanto, il suicidio è visto come un atto di liberazione quando tutte le altre possibilità sono state escluse.
Pertanto, la terapia anti-suicidio si concentra sull’eliminazione del sentimento di alienazione dalla persona, promuovendo le sue relazioni interpersonali in modo che sviluppi una solida rete di supporto, consentendole di sfogare verbalmente la propria rabbia e aiutandola a fissare nuovi obiettivi nella vita che gli permettano di trovare un senso e una ragione per vivere.
Fonti:
Lekarski, P. (2005) The assessment of suicidal risk in the concept of the presuicidal syndrome, and the possibilities it provides for suicide prevention and therapy—review. Przegl Lek; 62(6): 399-402.
Mingote, J. C. et. Al. (2004) Suicido: Asistencia clínica. Guía práctica de Psiquiatría Médica. Madrid: Ediciones Díaz de Santos.
Ringel, E. (1973) The pre-suicidal syndrome. Psychiatria Fennica; 209–211.
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