Silvia Romano è finalmente libera ed è tornata in Italia

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Silvia Romano è libera. Finalmente. La cooperante italiana rapita nella notte del 20 novembre 2018 a Chakama, Kenya, dove prestava servizio presso la Onlus Africa Milele, è tornata in Italia dopo 18 mesi di prigionia. Grazie a un’operazione magistrale frutto della collaborazione tra l’intelligence italiana e i servizi segreti turchi, Silvia è stata liberata dai suoi carcerieri e alle ore 14 di domenica 10 maggio, è atterrata a Ciampino. Indosso una tunica che ricorda le vesti tradizionali somale, guanti in lattice e mascherina. La Silvia che scende dall’aereo appare calma e mostra il sorriso di chi ce l’ha fatta e sta per riabbracciare i genitori. Mamma, papà e la sorella Giulia sono lì ad aspettarla trepidanti. La tensione è palpabile e si libera nella potenza di un abbraccio. Un abbraccio che occupa il tempo di qualche minuto, ma sembra durare in eterno. Papà Enzo si inchina due volte e le dà il benvenuto in Italia. Mamma Francesca si abbassa la mascherina e, in barba al distanziamento sociale, bacia la figlia che temeva di aver perso. Lo scatto fa il giro del mondo e diventa l’immagine simbolo della Festa della Mamma 2020.

“Sto bene, fisicamente e mentalmente”: le sue dichiarazioni fino a ora

Silvia sembra serena, ma è impossibile dedurre il turbinio di emozioni che sta provando da alcune semplici immagini. È ancora troppo presto. Probabilmente la ragazza si porterà dentro un trauma che, per chi non l’ha vissuto sulla propria pelle, è difficile da concepire. Silvia tranquillizza tutti dichiarando di stare bene, “sono felicissima dopo tanto tempo di essere tornata” e, durante le quattro ore di interrogatorio davanti al pm antiterrorismo Sergio Colaiocco, racconta di non aver subito alcuna violenza. “Non mi hanno mai picchiata né costretta a sposarmi. Mi nutrivano regolarmente e mi hanno fin da subito promesso che non mi avrebbero uccisa”. Così come non è mai stata forzata a convertirsi all’Islam, religione di cui è oggi credente. “È stata una mia libera scelta”, sostiene fermamente la ragazza e spiega che “è accaduto a metà della prigionia. Ho chiesto di leggere il Corano, me ne hanno portato uno che aveva il testo italiano a fronte, questo mi ha permesso di capire meglio e alla fine scegliere la religione”. Una scelta legittima su cui sarebbe opportuno evitare speculazioni. Non eravamo lì con lei, non sappiamo ancora come sono andate veramente le cose, nessuno, allora, si arroghi il diritto di sparare sentenze comodamente seduto dietro il proprio computer.

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“Ero sola e disperata”

All’inizio è stata dura. Silvia era sola e spaventata. “Ero disperata, piangevo sempre. Il primo mese è stato terribile. Stavo sempre in una stanza da sola, dormivo per terra su alcuni teli”. In questi giorni emergeranno via via sempre più dettagli di quella che è stata una prigionia durata un anno e mezzo, tra Kenya e Somalia. Per il momento, perchè non evitare congetture e illazioni – che, si sa, lasciano il tempo che trovano – e, semplicemente, gioire? Goire per una libertà ritrovata, per un successo dello Stato italiano e per il ritorno a casa di una nostra connazionale che, prima ancora di essere islamica, prima ancora di chiamarsi Aysha, prima ancora di indossare vesti “non occidentali”, è una giovane donna distintasi per il coraggio di lasciare i privilegi e partire, spinta dal desiderio di aiutare gli ultimi, a casa loro.


Chi è Silvia Romano e perchè è partita per l’Africa

Silvia Romano è una ragazza di 23 anni che, dopo essersi laureata presso una scuola per mediatori linguistici per la sicurezza e la difesa sociale con un elaborato sulla tratta di esseri umani, parte per il Kenya. La prima volta che mette piede sul suolo africano è il 22 luglio 2018 e vi rimane per un mese. In questo periodo trascorso in Africa collabora con la Onlus Orphan’s dreams, un orfanotrofio situato a Likoni, in Keya. Dopo un breve periodo in Italia, il 5 novembre 2018 Silvia atterra nuovamente in Kenya, questa volta a Chakama, un villaggio a 80 km da Malindi. La ragazza parte insieme a un’altra onlus, la onlus Africa Milele, dedita all’accoglienza e l’istruzione dei bambini emarginati dalla società. Il 20 novembre 2018 la cooperante italiana viene sequestrata da un gruppo di 5 uomini armati che, poco prima, avevano aperto il fuoco nel mercato della città, ferendo cinque persone.

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