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La pissaladière è uno di quei piatti che piace a noi. Intrisa di storie e di leggende, legata alla pesca e ai pescatori del Mediterraneo, con una varietà incredibile di nomi che cambiano anche da un chilometro all’altro. Insomma, una di quelle preparazioni affascinanti, che, oltre a essere squisite di per sé, ci fanno viaggiare, nel tempo e nei luoghi. In questo caso, infatti, dobbiamo risalire fino al 1300, andando dal Ponente ligure e dalle sue valli dell’entroterra fino ai piccoli paesini della Costa Azzurra e della Provenza, seguendo il profumo di acciughe e cipolle che esce dai forni. Dunque, non ci resta che andare alla scoperta della pissaladière, antica focaccia mediterranea.
Storia e origine della Pissaladière: le due teorie
Quel che è certo della pissaladière è che si tratta di una focaccia con un impasto a base di farina, acqua, sale, olio e lievito, farcita con filetti di acciughe sotto sale dissalati (o sott’olio), cipolle, aglio e olive. Questa è la sua caratteristica principale: un gioco continuo in bocca di sapori tra il salato delle alici e il dolce della cipolla.
Oggi è ritenuta una specialità di Nizza, per tutti la patria della pissaladière. Non a caso è una città di confine, perfettamente a metà strada tra i due luoghi da cui sembra avere origine: il Ponente e la Provenza. Sulla sua storia, infatti, ci sono principalmente due teorie, una francese e l’altra italiana; ma tanto ormai siete abituati, visto che non è di certo la prima volta che questi due paesi si contendono qualcosa, non solo in cucina! Vediamo quali sono le due ipotesi e le differenze tra l’una e l’altra versione.
L’ipotesi italiana: la variante rossa ligure del Ponente
Secondo l’ipotesi “italiana”, la pissaladière deriverebbe da “pizza di Andrea” (io anche la chiamo così in onore di Andrea Esposito, il bambino franco-italiano che ho battezzato e che ne va ghiotto) e sarebbe stata preparata per la prima volta in Liguria, nel Trecento, per l’ammiraglio Andrea Doria, che ai tempi lavorava per la Repubblica di Genova. Da qui si sarebbe poi diffusa in Francia durante il trasferimento del papato da Roma ad Avignone dal 1309 al 1377. Ma in seguito alla scoperta dell’America e alla conseguente introduzione di vari prodotti in Europa come i pomodori, la versione italiana, o meglio, ligure, è diventata rossa. Infatti, in Liguria la pissaladière si prepara quasi sempre anche con il pomodoro, a differenza di quella francese che rimane rigorosamente “bianca”.
La troviamo in vari paesi del Ponente, sia sulla costa, da Imperia a Ventimiglia, che nell’entroterra, tra la Valle Argentina e la Val Nervia, in quelle zone meravigliose al confine con la Francia, di cui vi avevamo già parlato a proposito del caviale di limone. Qui, viene chiamata in tantissimi modi differenti, per un totale di circa quindici nomi diversi. Quasi sempre, però, indica la stessa preparazione, cioè una focaccia con ingredienti variabili tra alici (o sardine), pomodoro, aglio, cipolla, olive (taggiasche), capperi, basilico, origano e a volte anche il formaggio; spesso si utilizza un battuto già pronto di cipolla, salsa di pomodoro e acciughe, che in dialetto ligure si chiama macchettu. Ecco i nomi che abbiamo incontrato noi, in modo da essere preparati quando vi troverete di fronte a questo prodotto.
- Pissalandrea nella zona di Imperia;
- Pizza all’Andrea;
- Piscialandrea;
- Pizzalandrea;
- Pissadella;
- Figassa in particolare a Taggia;
- Sardenaira nella zona di Sanremo, dove ha le sardine al posto delle acciughe e ha ottenuto la De.Co (denominazione comunale d’origine);
- Pisciarada, soprattutto a Buggio;
- Figassun ad Apricale, vicino a Dolceacqua, di cui vi avevamo parlato a proposito della sua michetta;
- Machetusa o Macchettusa, sempre in Val Nervia;
- Pissadala a Bordighera;
- Pisciarà a Vallecrosia;
- Piscarada a Pigna;
- Vojun nell’Alta Val Nervia;
- Pisciadela sul confine con la Francia, a Ventimiglia, dove anche qui viene indicato come “prodotto tradizionale ventimigliese a denominazione comunale”.
L’ipotesi francese: pissalat e pissaladière da Reboul a Escudier
Secondo la tesi “francese”, invece, il termine “pissaladière” avrebbe origine da peis salat, pesce salato, o da pissalat (o lou pissalat), un’antica preparazione diffusa tra i pescatori della costa mediterranea da Cannes a Mentone, di cui ci parla il grande scrittore gastronomo Jean-Baptiste Reboul. Questa ipotesi ci convince particolarmente, anche perché in Francia “pissalat” indica una ricetta ben precisa, presente nel testo di Reboul La cuisinière provençale, il primo ricettario popolare di fine Ottocento. Lui non scrive nulla della pissaladière, ma solo della pissalat: “è una conserva di pesce salato in un barile, che infatti deriva dall’occitano ‘peis salat’, pesce salato. Questi pescetti vengono depositati in dei barili a strati alternati con sale semi fino, proprio come le acciughe nelle botti di legno e lasciate con un peso sopra per circa 8 giorni. In seguito questi pesci vengono passati al setaccio e si usano per la creazione di una purea con qualche cucchiaio della loro salamoia e chiodi di garofano, poi messi in vasetti di vetro, ricoperti con carta pergamena e conservati in luogo fresco”.
Per questo si tratta di un prodotto molto legato ai pescatori, tant’è che in Francia la pissaladière viene anche chiamata la focaccia dei pescatori. Ma trovare il pissalat in barile oggi è quasi impossibile, essendo scomparso dal commercio; se ne può in caso preparare un sostituto con sardine, acciughe e sale, come scrive Jean-Noël Escudier. È stato lui il primo a parlare di pissaladière, in un altro libro fondamentale per conoscere (e preparare) la cucina provenzale: La véritable cuisine provençale et niçoise (1953), dove la pissaladiere compare tra gli antipasti, proprio come si usa oggi. Io avuto la fortuna di prepararla a casa insieme a una signora provenzale doc, e vi assicuro che si tratta di una ricetta facile, semplicissima e veloce, ottima per improvvisare un aperitivo all’ultimo! In alternativa la trovate in tutte le gastronomie o panetterie di Nizza e dintorni.
Pissaladière: la ricetta storica
Dunque, abbiamo scelto di darvi la ricetta bianca francese, poiché ci è parsa la più originale e di certo la più antica, vista l’assenza di pomodoro. E poi perché abbiamo avuto la fortuna di prepararla in una casa in Provenza, insieme a Monique di Saint Victor, vicino Avignone, grande appassionata di cucina e cultura locale, di cui vi avevamo già parlato a proposito della soupe au pistou. Monique prepara la pissaladière autentica, come la fanno da anni nella sua famiglia, farcita solo con cipolle, aglio, acciughe sott’olio, olive ed erbe aromatiche. Poi ci sono tantissime varianti: c’è chi mette poche acciughe, chi più cipolla e così via. In ogni caso, il suo consiglio è quello di utilizzare le cipolle bianche, che hanno la giusta consistenza per questa specialità, a differenza ad esempio di quelle gialle. E poi, un’altra sua avvertenza è quella di portarsi avanti il giorno prima, preparando l’impasto e le cipolle: in questo modo, al momento della preparazione, dovrete solo stendere la pasta, farcirla e infornarla.
Ingredienti per 6 persone
Per la pasta:
- 500 g farina
- 1/2 litro d’acqua tiepida
- 4 g lievito
- 15 g olio d’oliva
- 5 g sale fine
Per la farcitura:
- 3 kg cipolle (meglio se bianche)
- 2 teste d’aglio
- 50 g olive
- q.b. di filetti di acciughe
- 1 bouquet garni o varie erbe aromatiche a disposizione o a piacimento
- q.b. di sale fine
- q.b. di pepe grigio
- q.b. di olio d’oliva
Procedimento
- Per la base (c’è anche chi utilizza pasta brisée o sfoglia) impastate acqua, lievito, farina, poi aggiungete sale, olio extravergine e lavorate finché l’impasto è liscio e omogeneo. Ponete l’impasto a lievitare in un contenitore leggermente unto, in un luogo tiepido, per circa 2 ore, e aspettate che raddoppi di volume.
- Nel frattempo, fate rinvenire le cipolle tritate nell’olio, con un pizzico di zucchero, sale e pepe, senza farle imbiondire, fino a formare una purea.
- Se non utilizzate acciughe sott’olio ma sotto sale come prevede la ricetta originale, dissalate le acciughe sotto l’acqua corrente, privatele della lisca e ponete i filetti ottenuti su un foglio di carta assorbente.
- Stendete la pasta col mattarello di circa mezzo centimetro di spessore, meglio se direttamente su una teglia unta d’olio.
- A questo punto, a seconda del tipo di impasto, ci sono due opzioni. C’è chi inforna solo la pasta per 10 minuti e poi dispone il condimento dopo questa prima cottura e cuoce per altri 15-20 minuti. Se invece cuocete tutto insieme, versate il condimento di cipolle in modo uniforme sull’impasto che avete steso, lasciando un centimetro e mezzo di bordo. Poi, decorate con i filetti di acciuga a losanghe in obliquo, cioè partendo da un angolo e formando una serie di rombi. Al centro di ogni rombo, tra una striscia e l’altra, disponete un’oliva. Continuate formando le losanghe partendo dall’angolo opposto a quello da cui avete iniziato, fino a completare la superficie. Come sempre ognuno ha la sua ricetta, quindi c’è anche chi dispone gli ingredienti in modo differente.
- Fondamentale che il forno sia preriscaldato a 210°-220°, quindi cuocete in forno statico per circa una mezz’oretta, finché la pizza non sarà dorata e i bordi croccanti.
- All’uscita decorate con erbe quali timo, pepe o altre erbe aromatiche. Potete gustarla calda, tiepida o fredda.
In abbinamento, si consiglia un calice di Côtes de Provence AOC, l’appellazione del Sud della Francia, dove non mancano di certo grandi vini. Ad esempio, che ne dite di un bel rosé, un’ottima via di mezzo per una focaccia che può essere bianca o rossa?
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