Giorgio Armani, come deve cambiare la moda dopo il coronavirus

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Se c’è uno stilista che mette d’accordo tutti, è Giorgio Armani. Forte di una carriera di oltre mezzo secolo nel mondo della moda, il designer 85enne è famoso per le sue collezioni classiche e per questo, oggigiorno, controcorrente. Lo dichiara da sempre re Giorgio: sono gli abiti i veri protagonisti, non la sfilata. E oggi che il coronavirus ha colpito da vicino gli spettacoli (e le spettacolarizzazioni) della moda, lo stilista dice la sua su quello che sta succedendo nel settore, prospettando un nuovo, più intimo scenario per la moda post Coronavirus.

Giorgio Armani alla fine della sua sfilata Giorgio Armani Privé, il 21 gennaio 2020 a Parigi.

Prima le azioni concrete, poi le parole

Dopo aver sfilato a porte chiuse alla ultima MFW in seguito all’aumento dei casi di contagio in Italia, aver donato in totale 2 milioni di euro per sostenere gli ospedali in prima linea nella ricerca e aver convertito tutti i suoi stabilimenti produttivi della Penisola nella produzione di camici monouso destinati alla protezione individuale degli operatori sanitari impegnati a fronteggiare la Covid-19, il designer è passato alle parole. «Credo che lo stato attuale delle cose, con la sovrapproduzione di capi e il disallineamento tra il tempo delle collezioni e quello della stagione commerciale, sia davvero assurdo» ha dichiarato in risposta a un articolo pubblicato su WWD il 2 aprile, una riflessione su un doveroso – oltre che necessario – “rallentamento” del settore.

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Un ritmo troppo rapido, a tratti insostenibile

Giorgio Armani concorda con altri illustri colleghi, da Donatella Versace a Rick Owens: il ritmo della moda è diventato troppo rapido, a tratti insostenibile. E la quarantena da coronavirus rappresenta un’opportunità per ripensare molte cose: a partire dalla stagionalità delle collezioni. «Vedo questa crisi come un’opportunità per rallentare e riallineare tutto; per definire un nuovo e più significativo panorama per la moda. Ho lavorato con il mio team per tre settimane in modo che, dopo il blocco, le collezioni estive rimarranno nelle boutique almeno fino all’inizio di settembre, com’è giusto che sia. E così faremo d’ora in poi», ha continuato il designer, intervistato dal magazine americano in seguito alla sua lettera aperta. E se ce ne sarà bisogno, una volta che la pandemia sarà passata, fa sapere che valuterà la possibilità di acquisire alcuni fornitori «in modo da rivalutare e valorizzare la filiera, importantissima nel nostro modello di business».

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Il cliente è il vero protagonista

Un cambiamento importante, che riporta al centro la figura del cliente. «Le esigenze e le aspettative dei consumatori dovrebbero davvero guidare il programma moda, senza per questo rinunciare alla strutturalità e alla brand identity. Limitando l’offerta e abbinando i tempi delle nostre collezioni alle esigenze stagionali dei nostri clienti, potremmo evitare o limitare drasticamente gli sconti»E i grossisti, ovvero i negozi, i department stores e gli shop online? «Non mi aspetto che tutti siano allineati, ma mi aspetto di essere ascoltato da coloro che comprendono i problemi che la moda ha dovuto affrontare ultimamente. Spero che anche i grandi magazzini, i principali attori nel sistema retail, riflettano attentamente su questa possibilità, poiché tutti dovremo lavorare insieme per trovare soluzioni migliori» (i retailer Usa da sempre puntano molto sulle pre-collezioni, ndr)

La moda non è un circo

Collezioni allineate con le stagioni e non più create mesi prima di essere vendute nei negozi solo al fine della loro spettacolarizzazione. Un concetto che lo stilista difende da tempo: la moda non è un circo. No quindi alle costosissime sfilate Cruise intorno al mondo (cancellate, peraltro, dall’epidemia). «Voglio vedere i vestiti, non dove vengono mostrati» aveva dichiarato alla fine del suo fashion show uomo primavera estate 2020 a giugno 2019. E oggi, che la crisi sanitaria e quella finanziaria vanno a braccetto, ribadisce il concetto: «C’è decisamente troppa offerta rispetto al reale bisogno. Meglio puntare su collezioni più piccole e show più intimi».

Co-ed e pre-collezioni

Le sfilate unificate uomo e donna rappresentano una soluzione per rallentare il panorama moda? Giorgio Armani, che è stato tra i pionieri di questa tipologia di fashion show, pensa che le sfilate co-ed a settembre e febbraio siano un’opzione da valutare. Ma la soluzione sul lungo termine potrebbe essere un’altra: il salto o la riduzione al minimo delle pre-collezioni, quelle che normalmente anticipano le linee vere e proprie. «Penso che sia sufficiente mostrare una sola collezione, che includa anche le pre-collezioni, per ottimizzare le date di consegna della produzione».

La moda più desiderata? Quella senza tempo

Infine, re Giorgio regala una riflessione sui consumi della moda. Cosa, secondo lui, i clienti desidereranno indossare dopo una quarantena perlopiù passata in pigiama e in tuta? Punteranno su capi estrosi o continueranno sull’ondata leisurewear? Giorgio Armani non ha dubbi: «Penso che le persone vorranno ancora vestiti che durano». E superano il tempo, le mode e persino le pandemie. Insomma: i suoi.

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