Fase 2 in bicicletta: come cambia la mobilità nell’era del distanziamento sociale

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Traffico di auto, metro ingolfate e tram pieni.

In un mondo in cui il principio cardine per ricominciare a vivere è il distanziamento sociale, il modello di trasporto che utilizziamo non è decisamente più adeguato.

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Anzi, si trasforma semmai nel primo incubo degli amministratori che devono far ripartire le loro città applicando rigorosamente tutte le indicazioni per combattere la pandemia.

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Parola d’ordine: mobilità sostenibile

La parola d’ordine post-quarantena da coronavirus è già mobilità sostenibile. E i primi giorni di ripartenza sono decisamente all’insegna della febbre per la bicicletta in tutto il mondo. Due ruote che, oltretutto, godono della benedizione della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il cui vademecum le consiglia come mezzo ideale per chi si debba muovere nelle città per recarsi al posto di lavoro.

C’è poco da fare: è la realtà dei fatti a imporre la svolta verso bici, scooter o monopattino elettrico. Del resto il rispetto delle norme di sicurezza anti-coronavirus sul distanziamento, riduce drasticamente la capienza dei mezzi pubblici. E utilizzare tutti le auto sarebbe un inferno sia per il traffico che per l’aria irrespirabile.

“Pop up bike lanes”

Ecco quindi il motivo della nascita post quarantena di quelle che nel Regno Unito chiamano già “pop up bike lanes”, ovvero piste ciclabili realizzate in emergenza.

Milano è stata tra le prime disegnarle, integrandole in un progetto molto più ampio, proposto alla città lo scorso 30 aprile con il titolo Strade aperte, in cui si prevede il limite di velocità a 30 km all’ora nei controviali per “proteggere” i ciclisti, l’allargamento dei marciapiedi lungo alcune arterie per accogliere i dehor dei locali pubblici e il maggiore traffico pedonale, la realizzazione di 35 chilometri di nuove ciclabili entro l’estate.



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Modello olandese

Il modello più virtuoso al quale si ispirano sindaci ed esperti di mobilità è comunque, al momento, quello olandese. Ad Amsterdam, città di circa 850 mila persone, le auto sono soltanto 250 mila auto, mentre si contano 1,1 milioni di biciclette che viaggiano lungo gli oltre 400 chilometri di piste ciclabili.

Un modello assolutamente realizzabile nelle maggiori capitali europee, che sia Berlino, Barcellona, Parigi o Milano, dove la maggior parte degli spostamenti casa-lavoro non supera in media i cinque chilometri, a differenza di quanto accade in molte città americane, dove i tragitti sono molto più lunghi.

In Francia e in Belgio

Anche a Bruxelles il governo ha deciso di trasformare quaranta chilometri di strade in piste ciclabili, comprese le centrali avenue Louise e la Rue de la Loi. La stessa ministra dei Trasporti belga, Elke Van den Brandt, membro dei Verdi Fiamminghi, ha pregato i cittadini di andare a piedi o in bici nonostante i mezzi pubblici funzionino alla perfezione.

Quanto alla ministra francese dell’ecologia Elisabeth Borne, martedì scorso ha annunciato un piano del governo per sviluppare l’uso della bici che prevede una spesa iniziale di 20 milioni di euro. 

Bisogna fare presto

La rivoluzione olandese ha impiegato anni per far trionfare le due ruote. Per questo sindaci e governi devono sbrigarsi ad approvare le giuste riforme, perché il concetto da realizzare è molto più ampio.

Si tratta, infatti, di ripensare tutta la mobilità urbana, approfittando di questa emergenza per rendere più sostenibile il traffico urbano. E quindi rafforzando la sharing mobility con incentivi alla rottamazione dell’auto e alla mobilità sostenibile, sgravi fiscali e quant’altro.

Segnali positivi

Un segnale positivo c’è già e viene fornito dal White Paper “La mobilità sostenibile e veicoli elettrici”, realizzato Repower poco prima dell’emergenza: l’offerta di sharing in Italia coinvolge oltre 5 milioni di cittadini (1 milione in più in 2 anni) e i servizi tra car sharing, scooter sharing, car pooling, bike sharing, superano le 360 unità, per ben 33 milioni di spostamenti, una media di 60 al minuto. 

Il documento, inoltre, evidenzia come la mobilità elettrica continui ad avanzare in tutto il mondo a discapito delle altre tecnologie per cui si registra una diminuzione delle immatricolazioni a doppia cifra sia del diesel che delle vetture a benzina.

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