Fase 2: cani e gatti, come riabituarci alla distanza dai nostri pet

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Noi e gli animali. un legame tutto da scoprire

Quando avevo due anni sono stata morsa da un cane. Non lo ricordo con precisione, ma quella paura si è saldata nella mia memoria, insieme all’imperativo: «Se c’è un cane, scappa!». Per proprietà transitiva, ho esteso questo automatismo di fronte a ogni essere con una coda. Ora ho qualche ruga in più e un rapporto più onesto con tutti gli animali: non corro più a gambe levate, non salgo sul tavolo. Ce ne stiamo a due metri di distanza e ci ignoriamo. Eppure sento che in questo nostro rapporto tiepido, che è la fotografia del perfetto distanziamento sociale tanto essenziale oggi, io mi sto perdendo qualcosa. 

Gli animali parlano di noi

Perché in fondo gli animali non sono (solo) coloro che ci accolgono quando torniamo a casa, e riconoscono la geografia delle nostre abitudini e delle nostre relazioni, ma sono anche, forse soprattutto, simboli e segni capaci di rivelare e stimolare eccezionali e insolite conoscenze, e riflessioni che riguardano sia il mondo circostante che l’uomo.

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Perché i gattini sono star del web

«Attraverso il loro linguaggio non verbale e il loro particolare modo di muoversi e interagire con il mondo, gli animali ci sfidano, ci parlano e ci interrogano» spiega Sabrina Tonutti, antropologa e autrice, insieme all’etologo Roberto Marchesini, del libro Animali magici, (di cui è appena uscita un’edizione rivisitata). «Sono come specchi che riflettono non solo le proprie peculiarità, ma anche i nostri desideri, le nostre paure, i nostri vizi e le nostre virtù». E così, mentre l’uomo osserva gli animali e attribuisce furbizia alla volpe, coraggio al leone, operosità alla formica, in realtà quello che sta osservando e descrivendo è proprio se stesso.

Negli ultimi anni, sottolinea l’antropologa, «la tendenza dell’uomo di considerarsi come fuoco, misura e metro di tutte le cose lo ha portato ad antropomorfizzare, umanizzare gli animali, fino a cancellare, azzerare, quegli elementi di alterità e differenza caratteristici di ogni specie». Ne sono un esempio non solo le fotografie di gattini con colorati occhiali da sole e quelle dei cagnolini con pigiamini per la notte, ma anche i tentativi di proiettare su di loro una serie di esigenze e bisogni non rilevanti per la loro specie. Tipo: essere inseriti nello stato di famiglia e nell’eredità e ricevere a domicilio prelibatezze culinarie, in stile Deliveroo. 

E ci piace trasformare casa in uno zoo

Così facendo, però, evidenzia l’esperta, «l’uomo ha finito per non riconoscere loro necessità e bisogni etologici che sono, invece, di primaria importanza», tra cui quello di vivere in habitat consoni alla specie. È stato in questo modo che in modesti spazi domestici sono entrati non solo cani e gatti (da poco considerati animali domestici anche in Cina, dove non potranno più essere mangiati), ma anche pappagallini, pesciolini, tartarughe e coniglietti. Alla base di questo comportamento, secondo Tonutti, ci sarebbero tuttavia anche questioni primordiali. «L’adozione da parte dell’uomo di cuccioli di altre specie (che è un fenomeno che appartiene a tutte le culture e le società) nasce dalla profonda gratificazione che l’essere umano prova quando riesce a estendere le cure parentali dai “propri cuccioli” a quelli delle altre specie». 

L’effetto cucciolo funziona davvero

Questo simile appagamento spiegherebbe perché il cervello delle madri reagisca in maniera molto simile quando osserva un’immagine del proprio figlio o quella del proprio animale (come dimostrato da uno studio del 2014 del Massachusetts General Hospital) e chiarirebbe perché, per esempio, i cani che fanno espressioni da cucciolo hanno più probabilità di essere adottati nei canili.



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Ma non sono figli

Tuttavia, avverte l’antropologa, «anche se la relazione con un animale-compagno può avere ricadute ed esiti benefici sulle persone, l’animale non è né uno strumento terapeutico, né un figlio, un fratello o un genitore. È un membro della famiglia, ma con un proprio ruolo e una propria preziosa e distinta identità». 


Identità che è in larga parte (se non del tutto) differente da quella dell’uomo. Come sostiene anche il filosofo Leonardo Caffo, che ha appena pubblicato il libro Il cane e il filosofo (Mondadori), «gli animali sono ontologicamente, strutturalmente, altro da noi». E noi dovremmo accontentarci di intuire e mai di possedere il loro comportamento, che resta una grande incognita, malgrado romantici tentativi di immedesimazione». Del resto, si domanda Caffo, «come potremmo mai sapere cosa si prova a essere ciò che non siamo, ciò che non saremo?».

Il mistero che li circonda

Perché in fondo, se ci pensiamo, anche se noi li abbiamo studiati, amati, anche se i loro versi sono stati i primi suoni che abbiamo imparato (come fa il cane? Bau. E il gatto?), anche se le loro fotografie invadono il web e le pagine dei giornali, noi degli animali sappiamo poco, anche se immaginiamo molto. 

Sotto questo aspetto, la relazione tra l’uomo e l’animale somiglia a un qualsiasi rapporto d’amore o di amicizia, in cui ognuno costruisce nella propria testa e nel proprio cuore la propria personale versione dell’altro. 

Non ci sarebbe niente di male nel godersi questa immagine idealizzata, a patto di non confonderla e sovrapporla alla realtà. Perché, anche se noi pensiamo che loro ci capiscano e condividano i nostri stati d’animo e le nostre emozioni (un tema controverso intorno a cui gli scienziati non hanno raggiunto pareri unanimi), loro, gli animali, restano un grande e affascinante mistero. 

E forse quello che io mi sto perdendo è proprio questa occasione unica di osservare ed esplorare altri modi (e mondi) possibili di vivere l’ambiente, le esperienze e le relazioni.

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