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Le nonne, si sa, hanno tutte qualche segreto in cucina: “la ricetta della nonna” è infatti ormai proverbiale, e ciascuno di noi può vantare un’eredità familiare di questo tipo.
E Barbara Ketcham Wheaton, ottantanovenne originaria di Philadelphia, non fa eccezione. L’unica, minuscola, differenza che la distingue dalle sue coetanee è che lei non ne ha una sola, ma oltre 130 mila, tutte perfettamente catalogate in un archivio di ricette antiche da lei personalmente digitalizzato. Questa è la storia di come una nota scrittrice e storica del cibo – con una certa tendenza per la bibliofilia – abbia dato vita alla più grande collezione di preparazioni americane ed europee realizzate tra il 1300 e i primi del Novecento.
Barbara Ketcham Wheaton e il suo archivio
Per venticinque anni, Barbara Ketcham Wheaton ha curato la sezione culinaria della Schlesinger Library presso il Radcliffe Institute for Advanced Studies a Cambridge, Massachusetts. Inoltre, per circa cinquanta ha raccolto e conservato i ricettari, manoscritti o a stampa, dal Medioevo all’età contemporanea con un solo obiettivo: farne un archivio consultabile da tutti e a cui tutti potessero contribuire. Anche se, finora, la maggior parte del lavoro lo ha fatto proprio lei, da sola, e come hobby personale.
Dopo aver sperimentato diversi metodi cartacei, purtroppo tutti poco funzionali, dagli anni Ottanta Barbara ha deciso di adottare Microsoft Access per tenere traccia di tutto il materiale collezionato: il database, al momento disponibile su richiesta, è quindi perfettamente navigabile per argomento e tipologia e, a differenza dei precedenti analogici, tiene conto di differenze lessicali ma non sostanziali (in inglese, ad esempio, le zucchine sono chiamate variamente “courgettes” o “zucchini” a seconda della sponda dell’Oceano in cui ci si trova).
La passione di Barbara per la cucina non è recente: dopo gli studi in Storia dell’Arte, tra il 1964 e il 1965 si trasferisce a Parigi, dove segue i corsi di Simone Beck, Louisette Bertholle e Julia Child (autrici a loro volta di una monumentale raccolta di ricette francesi) presso l’École des Trois Gourmandes (La scuola delle tre allegre mangione). Qualche anno dopo, nel 1989, viene dato alle stampe il suo “Savoring the Past: The French Kitchen and Table from 1300 to 1789” (“Assaggiando il passato: la cucina e tavola francese da 1300 al 1789”), volume che la consacra come autrice e storica della materia.
Se questo riassume a grandi linee i suoi meriti accademici, non meno degna di nota è l’attività che Barbara Ketcham Wheaton ha portato avanti fin dal 1962 con l’intento ultimo di capire di più del cibo e dell’uso che gli uomini ne hanno fatto nel corso dei secoli. “Quando guardi un libro di cucina e vedi tutti quei piccoli pezzetti di informazione, tutte le misure, i materiali, gli ingredienti, le azioni” ha dichiarato alla BBC non molto tempo fa, “non puoi davvero farti un’idea del loro significato, finché non le avrai paragonate con altre ricette, provenienti anche da altri luoghi”. Un paragone che si può fare benissimo se, invece, ne hai altre centinaia da guardare.
“L’Oracolo del Cuoco”: l’archivio di ricette antiche dal Trecento al Novecento
“The Cook’s Oracle”, ovvero “L’Oracolo del Cuoco”: così si chiama l’archivio di ricette storiche realizzato da Barbara Ketcham Wheaton, le cui preparazioni più antiche risalgono al XIV secolo e le più recenti agli esordi del XX. Delle prime fanno parte, ad esempio, i manoscritti inglesi intitolati “The Forme of Cury” redatti su pergamena dai cuochi del Re Riccardo II d’Inghilterra, che erano soliti sfamare le regali bocche con pietanze tipiche come la zuppa di zucca con zafferano. Tra i piatti più vicini alla nostra epoca spicca invece la “Salsiccia potenziata” di Mrs. Clara Ware, che suggeriva di insaporire la carne con l’aggiunta di un cucchiaino colmo di chiodi di garofano macinati.
Ma non mancano ricette bizzarre o dimenticate: come i waffle al caffè, molto in voga nel XVIII secolo, o il “pulpatoon” che, a dispetto dell’assonanza con il nostro polpettone, aveva l’aspetto di una torta fatta di svariati ingredienti tra cui piccione, funghi e pistacchi.
O ancora come quella del “pavone arrosto” che Barbara – in una specie di esperimento di archeologia gastronomica – ha voluto proporre per i suoi 150 studenti di Harvard al termine del corso sull’impero dei Burgundi del XV secolo. Secondo quanto da lei stessa dichiarato, i passaggi sarebbero piuttosto semplici: basta procurarsi un pavone morto con ancora la pelle attaccata, rimuovere la pelle prestando molta attenzione a non frammentarla troppo e conservando tutte le piume, estrarre quindi la parte che si intende cucinare, arrostirla, e rimetterla dentro alla pelle con le piume per comporre il piatto, allestendolo come fosse un animale ancora vivo. Non stupisce che gli ospiti non si siano propriamente leccati le dita alla vista del povero animale… “Non è qualcosa che rispecchia il nostro gusto moderno, sembra alquanto grottesco e selvaggio. Però, è un piatto molto economico da fare” e questo, al di là del gusto, ci dice qualcosa.
Come si viveva: la Storia attraverso la cucina
Il pavone arrosto non è l’unica ricetta che, nonostante le apparenze, costava relativamente poco. Secondo il giornalista del New York Times che lo ha esplorato, l’archivio di Barbara Ketcham Wheaton è ricco di ricette che si basano proprio su questo principio: ingredienti “poveri” o usati con parsimonia, secondo un più generale risparmio di risorse economiche e di tempo. Questo è particolarmente vero per le ricette “femminili”. Un aspetto decisamente interessante è infatti l’apparente differenza (e discriminazione) di genere che si percepisce tra le preparazioni firmate dagli uomini e quelle invece suggerite dalle donne. Sì, perché la cucina scritta non racconta solo di come e quanto si mangiava in un determinato periodo, ma anche di come si viveva. E se agli uomini era garantito lo status di cuoco professionale, il cui unico cruccio era quello di soddisfare i raffinati palati dei signori presso cui erano a servizio, per le donne era tutta un’altra storia e molto spesso il cibo era solo una delle altre faccende domestiche a cui dovevano dedicarsi, insieme alla cura della casa e all’educazione della prole. Non stupisce, quindi, che le ricette di stampo femminile abbiano un piglio pragmatico piuttosto marcato.
“Quando la cucina cambia anche il nostro gusto cambia, e non possiamo tornare indietro nel tempo” ha affermato la Wheaton. Però, grazie alla lettura di contenuti apparentemente limitati come i ricettari, possiamo conoscere meglio le società del passato, rivivendolo persino. Basta pensare alle unità di misura, o agli utensili – alcuni dei quali oggi non più esistenti – utilizzati per cucinare, o persino ai metodi empirici di verificare la cottura di certi alimenti (“finché le ossa non sono pronte a cadere”, “fino a che il latte non sa di spezie”: così si legge in alcune pagine dei manuali più attempati). Può far sorridere trovare l’indicazione di alcune ricette di, semplicemente, “mungere il latte della vacca nel liquore”, come fosse cosa normale disporre di una mucca pronta all’occorrenza; così come individuare, tra una portata e l’altra, dei preparati intesi per la cura di certi malesseri (come una specie di proto-farmacia); e può far riflettere, infine, scoprire che certe preparazioni erano una volta patrimonio comune e diffuso, mentre oggi sono distintive solo di un territorio, o viceversa.
“Ma quello che si coglie è che dietro al cibo ci sono tantissime possibilità” e l’oracolo del cuoco può essere uno strumento per cogliere tutto il “complesso caleidoscopio” di significati che l’alimentazione ha assunto per le persone nel corso della Storia.
Sue Jimenez e la sua collezione da Guinness dei primati
Evidentemente però, Barbara Ketcham Wheaton non è l’unica studiosa con il pallino per le ricette e ha almeno una collega sul campo. Sue Jimenez, antropologa dalle origini miste tra Stati Uniti e Canada (oggi residente in New Mexico), nel 2013 è stata insignita del Guinness dei primati per la sua collezione di libri di cucina che, allora, contava quasi tremila pezzi. Oggi, a quanto si dice (ma il conto preciso pare non lo abbia fatto nemmeno lei), la sua raccolta si aggirerebbe intorno ai settemila volumi: un numero straordinario, nonostante ogni anno vengano pubblicati nel mondo circa 24 mila nuovi titoli (categoria a sé stante dei libri sul cibo). La grossa differenza tra il lavoro di Barbara e quello di Sue, oltre all’età dei ricettari in questione (antichi i primi, vintage perlopiù i secondi), risiede nell’uso che le due accademiche hanno deciso di farne o non farne: Sue, oltre a comprarli e sistemarli nelle sue due stanze dedicate, li sfoglia e li adopera per i suoi esperimenti culinari quotidiani, testando con mano ciò che essi contengono. Barbara, al contrario, tranne qualche rara eccezione, preferisce analizzarli come corpus – ancora in evoluzione – di fonti storiche, utili più all’appetito intellettuale che a quello fisico.
Nessuno dei due modi è giusto o sbagliato, e la possibilità di adottare un approccio così diverso rispetto a una materia abbastanza simile è l’ennesima conferma dell’estrema versatilità e universalità del cibo, compreso quello codificato e scritto.
E voi conoscevate il progetto di Barbara Ketcham Wheaton? Siete voi stessi collezionisti di libri di cucina? Fatecelo sapere nei commenti.
L’articolo Dal 1300 a oggi: l’archivio di ricette antiche più grande del mondo sembra essere il primo su Giornale del cibo.