«L’inferno sono gli altri, diceva Sartre. Ecco, oggi ci rendiamo conto che, in definitiva, non sono tutto questo inferno. Che è assai peggio stare chiusi in casa». Dario Brunori – in arte Brunori Sas, un omaggio alla vecchia ditta di famiglia – guarda agli aspetti positivi (sì, qualcuno in fondo in fondo c’è) del dramma dei nostri giorni. In attesa di poter partire con un tour nei palazzetti, il primo in 11 anni di carriera, rivela un volto inedito, perfettamente “fotografato” dal nuovo album: Cip!, più che un titolo, è uno svolazzo…
Il timore del successo
«Con questo disco intendevo celebrare la bellezza dell’aggregazione. Certo, in questo momento sembra paradossale credere che le persone abbiano desiderio di aggregarsi, però è l’occasione per ribadirne l’importanza». Pare tranquillo, Brunori. Nel 2017 con A casa tutto bene cantava le ansie contemporanee, individuali e sociali. E, dopo l’apprezzamento dei suoi brani, se ne era persino inventata un’ennesima: la nikefobia, il timore del successo… Ora, invece: «Sto vivendo con tranquillità e leggerezza, un grande risultato per me».
Sorpresa! Come l’ha raggiunto?
Per fortuna l’autoironia non mi ha mai abbandonato: è il mio modo per stemperare sia i miei slanci tragici sia quelli eccessivamente spirituali… Dopo A casa tutto bene sono stato invitato a varie manifestazioni, sono andato a dialogare in giro per l’Italia (e in tv con la trasmissione del 2018 Brunori Sa, ndr) e mi sono accorto che su qualche dinamica potevo non avere un approccio drammatico. Bisogna fare una distinzione…
Accettazione, non rassegnazione
Tra cosa?
Le sofferenze inevitabili che l’esistenza ti presenta e quelle “autoindotte”, inutili, come capitava per esempio a me con le rimuginazioni negative (Sei il solito, non ti evolvi…). Un po’ lo stesso vale per le paure: alcune servono per metterci in guardia dal pericolo, altre ti imprigionano e basta. Un passaggio importante è l’accettazione.
In che senso?
Accettazione non significa rassegnazione, significa guardare alle situazioni per come sono. E chiedersi: questa cosa posso cambiarla? Sì, no… Se posso, ci provo.
Tommaso Moro pregava: «Signore dammi la forza di cambiare quel che posso modificare, la pazienza di accettare quel che non posso cambiare e la saggezza per distinguere le une dalle altre».
E, comunque, ci sono cose immodificabili, dolori grandi che provocano uno slancio, innescano una reazione sana.
Io e la scomparsa di mio padre
In Capita così c’è il tema della morte («Quando tuo padre scompare senza neanche avvisare/ senza darti un minuto per dire che gli hai voluto bene»).
Non è riferito al mio ma, inevitabilmente, ho pensato a lui e alla nostra situazione “non risolta”: ancora oggi parecchio di quel che faccio e il modo in cui lo faccio deriva dal suo essere mancato quando ero in una fase poco definita, studente universitario con aspirazioni musicali…Non offrivo troppe garanzie! (sorride) Eppure non sono rimasto “congelato” nella recriminazione. Anzi, mi sono sbloccato.
Per quale meccanismo?
Non è facile da spiegare… Ho avvertito un’energia nuova. All’inizio questo flusso di vitalità mi ha generato un senso di colpa, cui alludo nel verso «La felicità non è una colpa». È ovvio che non fossi felice per la perdita di mio padre, però è altrettanto vero che quello shock mi ha spinto a buttarmi, è stato un motore. Ora dentro di me rimane questo bambino che vorrebbe urlare: «Babbo guarda, ce l’ho fatta!».
New age da autogrill
Le nonne avrebbero sentenziato: «Non tutto il male viene per nuocere». E lei stesso definisce le sue convinzioni “new age da autogrill”. Ma, alla fin fine, le verità esistenziali non sono di una semplicità estrema?
Infatti non mi sono curato della “new age da autogrill” e ho proseguito dritto, con una Rustichella in mano (ride). Ogni volta che scrivo c’è un altro Dario dentro – o di fianco o dietro – che mi prende in giro e io cerco di dargli voce: spesso ha ragione e mi aiuta a far emergere meglio quel che voglio esprimere, senza retorica e senza “autointortarmi”. Non ci tengo a passare per un guru, crea un sacco di problemi…
Tipo?
Un ragazzo mi ha fermato: «Grazie alle tue canzoni mi sono guardato dentro e, dopo 22 anni, ho lasciato il lavoro!». Eh no, non mi attribuite ’ste responsabilità, sennò mi troverò gente sotto casa che pretende i danni… (ride)
L’identificazione con il pettirosso
Nella copertina di Cip! c’è un pettirosso. Si identifica?
È il mio uccellino preferito! Viene visto come tenero, in realtà è tosto: “pettirosso da combattimento” lo definiva De André. Magari non lo sono, ma mi piace che ci sia dolcezza nella forma e forza nel contenuto. E, in parte, è legato a un ricordo d’infanzia: mia madre, che ci ha educato a un cattolicesimo permeato di poesia, raccontava che si sarebbe insanguinato il petto per liberare dalla corona di spine Gesù crocefisso…
A proposito: Jung e Freud – che cita in Per due che come noi – in che modo interpreterebbero: «Ci sono i giorni in cui vorrei strozzare anche mia mamma»?
(ride) Non saprei, li ho citati senza conoscerne praticamente niente, tutta la mia formazione è basata sulla saggezza orientale, dalla Bhagavad Gita a Krishnamurti… Posso solo dire come l’ha interpretato mia madre: non benissimo. (ride) Non le è stato sufficiente che abbia usato “anche”, a testimoniare che per me sarebbe il massimo della cattiveria. Per giunta ho aggravato la mia posizione sottolineando che il disco è dedicato a Simona (Simona Marrazzo, compagna ultraventennale che suona nella sua band, ndr).
In effetti, Per due che come noi è un inno alle relazioni di lunga tenuta. La “ricetta?
Forse… l’inconsapevolezza. Non c’è bisogno di analizzare sempre tutto, in particolar modo quello su cui non abbiamo il controllo. Magari è un paradigma che nasconde fragilità… Leggevo la spiegazione di Leonardo da Vinci sul funzionamento di un arco: è formato da due semicerchi, ognuno delicatissimo di per sé, ma poggiato all’altro crea una forza unica.
Alterna citazioni da Leonardo ad Alberoni. La differenza tra innamoramento e amore l’ha rubata al suo bestseller…
Non lo conosco, giuro. E comunque non credo sia particolarmente brillante: mi sono liberato dalla necessità di affermazioni “definitive”…
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