Basta perdite di tempo della squadra in vantaggio dal sessantesimo minuto, basta giocatori che si rotolano per terra fingendosi infortunati nei finali di partita, basta rinvii del portiere pensati per 30 secondi.
E basta anche raccattapalle che se la prendono comoda o corrono come disperati, basta allenatori che indicano l’orologio chiedendo ulteriore recupero (sempre troppo o troppo poco), basta risse per recuperare il pallone dalla porta dopo il gol dell’1-2.
È il calcio del mondo ideale? No, è solamente il calcio con l’applicazione di una semplice regola: il tempo effettivo.
Tutti gli sport di squadra in cui bisogna buttare qualcosa dentro una porta utilizzano il tempo effettivo (pallamano, pallanuoto, hockey…). Il tempo effettivo è un concetto semplice: quando la palla è in gioco il tempo scorre, quando il gioco è fermo anche il tempo si ferma, in questo modo ci si assicura che ogni partita abbia la stessa durata e di conseguenza si dà uniformità ed equità alle partite.
Fa eccezione il caro vecchio calcio dove il tempo è regolare, quindi scorre sempre e comunque, anche a gioco fermo. Se al 25’ buttiamo degli spaghetti con cottura di 11 minuti possiamo essere certi che dovremo scolare la pasta al 36’.
Ma a parte il vantaggio di non dover usare un timer durante una partita, il tempo regolare sfavorisce il calcio in tantissimi aspetti e lo rende in definitiva meno godibile.
Ci sono situazioni in cui è proprio controintuitivo che il tempo continui a scorrere, come quando si va a vedere un’azione al VAR, si effettua una sostituzione o si fa un cooling-break (moda/necessità dei mondiali brasiliani del 2014).
Perché far continuare a scorrere il tempo quando ci si è fermati intenzionalmente? Ma a queste situazioni si aggiungono tutte le altre più strettamente di gioco in cui il tempo regolare si rivela limitante se non controproducente.
Nelle fasi ad eliminazione diretta ormai la partita di ritorno diventa una continua battaglia fra la squadra che rallenta la ripresa del gioco (perché in vantaggio) e quella che la velocizza (perché deve recuperare) aumentando così la tensione già alta con un ulteriore elemento che spesso fa scattare scontri fra giocatori e allenatori.
In partita secca la situazione peggiora ulteriormente, con lo spettacolo delle finali a farne le spese. Far scorrere il tempo senza giocare è un’opportunità troppo grande per chi è in vantaggio nel punteggio ed è molto più semplice di fare un buon possesso palla.
Le perdite di tempo sono un espediente utilizzato da tutti a tutti i livelli, dalla terza categoria alla Champions League e inevitabilmente tutti se ne lamentano quando le subiscono, salvo poi essere i primi a farle quando conviene loro.
Niente è più fastidioso per un tifoso della squadra in svantaggio di vedere il tempo scorrere senza che stia succedendo nulla in campo e il recupero non risolve il problema perché sulla bilancia il tempo perso sarà sempre maggiore di quello recuperato.
Perché allora non introdurre il tempo effettivo per mettere un freno a questa pratica restituendo maggiore dignità e correttezza al gioco? Abbiamo analizzato due opzioni concrete per l’introduzione del tempo effettivo nel calcio.
Opzione 1: tempo effettivo puro (modello basket)
Mediamente una partita di calcio ha un tempo di gioco fra i 50 e i 60 minuti rispetto ai 90 minuti da cronometro. Guardando una partita non ce ne rendiamo conto ma un calcio d’angolo può portare via anche 30 secondi fra quando la palla esce e quando viene battuto se il tiratore è lontano e bisogna aspettare che i difensori centrali salgano in area avversaria.
Allo stesso modo un calcio di punizione dal limite, in cui bisogna magari estrarre un giallo oltre a piazzare la barriera con tanto di spray, può portare via anche un minuto. Alla fine quindi la palla è in gioco solo per poco più della metà dei 90 minuti previsti.
Per abolire qualsiasi perdita di tempo, si potrebbe allora giocare con due tempi effettivi da 30 minuti ciascuno fermando il tempo tutte le volte in cui la palla non è in gioco, per qualsiasi motivo.
A livelli alti potrebbe essere il quarto uomo a fermare il tempo facendo in qualche modo le funzioni del tavolo nel basket se non si vuole prevedere addirittura un addetto solo al cronometro.
A livelli più bassi sarebbe l’arbitro stesso invece a dover fermare il cronometro ogni volta. In ogni caso la gestione del cronometro dovrebbe diventare più attenta e precisa visto che anche pochi secondi potrebbero fare la differenza. Scaduti i 30 minuti di ogni tempo si potrebbe fischiare immediatamente la fine del gioco oppure continuare fintanto che la palla resta in campo (non interrompendo in caso di falli). In cambio del piccolo aggravio nella gestione operativa della partita si otterrebbe così un totale azzeramento delle perdite di tempo oltre ad assicurare 60 minuti di gioco in ogni partita, senza più avere discrepanze.
L’unico rischio di questa soluzione sarebbe quello di spezzettare troppo il gioco non essendoci più l’impellenza di riprendere dettata dal tempo che continua a scorrere, allungando così la durata complessiva di una partita. Inoltre un tempo effettivo puro aprirebbe la porta a ulteriori modifiche di regolamento (time-out, espulsioni a tempo…) tutte da valutare oltre a possibili interruzioni forzate per far contente ancor di più le televisioni con la pubblicità.
Opzione 2: tempo semi-effettivo (modello rugby)
Un’alternativa al tempo completamente effettivo potrebbe essere un tempo semi-effettivo sul modello del rugby con due tempi da 40 minuti ciascuno.
Si potrebbe quindi interrompere lo scorrere del tempo solamente in alcuni casi di interruzione del gioco fra cui sicuramente infortuni, sostituzioni, controlli VAR, pause dettate da fattori esterni tipo meteo (cooling break) o tifosi (invasioni di campo e simili), gol, assegnazione di calci di rigore o di punizioni in zona pericolosa e comunque in ogni caso in cui l’arbitro lo reputi opportuno.
Al contrario in caso di rimesse laterali o dal fondo, calci d’angolo e falli a centrocampo si potrebbe lasciare scorrere il tempo, magari con un atteggiamento più severo nei confronti di eventuali perdite di tempo in queste situazioni. Al termine del quarantesimo minuto di ogni tempo l’azione dovrebbe continuare finché il pallone rimane in gioco (niente più recupero anche in questo caso quindi).
Rispetto all’opzione precedente la gestione del cronometro potrebbe essere meno precisa e il gioco potenzialmente più continuo e più simile alla tradizione ma non si risolverebbe del tutto il tema delle perdite di tempo.
In definitiva ciascuna delle due soluzioni proposte potrebbe portare benefici concreti e immediati per la godibilità del gioco, ma anche la credibilità, senza in fin dei conti minare nessun principio alla base del calcio.
Bisognerebbe solo abituarsi a non parlare più dei “90 minuti”. Perché non provarci?
L’articolo Anche il calcio ha bisogno del tempo effettivo proviene da Nati Sportivi.