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Se ormai abbiamo tutti capito che la cucina giapponese non si limita soltanto a sushi e sashimi, ma che, come tutte le cucine, è molto più varia e complessa, meno nota, invece, è la sua pasticceria. Il mondo dei dolci giapponesi, infatti, è ancora poco conosciuto, ma per fortuna Machiko Okazaki ha aperto la prima pasticceria giapponese in Italia, Hiromi Cake. Così, finalmente anche a Roma e Milano – e non più solo a Londra, Parigi e Berlino – abbiamo la fortuna di poter gustare anche la parte dolce del Sol Levante, con tutti i suoi wagashi e yogashi. Sapete di che cosa si tratta?
La pasticceria giapponese: wagashi e yougashi
La pasticceria giapponese è divisa in due parti: wagashi e yogashi, ognuna con le sue tipologie di dolci. Anche in Giappone, come ci raccontano da Hiromi Cake, è difficile trovare pasticcerie che facciano entrambi: “o sei una pasticceria di wagashi o di yougashi”. Prima di scoprire quali sono le differenze tra queste due, è bene sapere che, in generale, tutti i dessert giapponesi sono caratterizzati dall’essere meno grassi, meno dolci e più leggeri, per assenza di burro e poco zucchero. Inoltre, hanno una consistenza più soffice, quasi gommosa, che è proprio quella a cui non siamo abituati e che può non piacere, come vi avevamo raccontato a proposito della cucina coreana a domicilio di Kim Jinsuk. Ciò che accomuna Wagashi e Yougashi è la maniacale attenzione per il dettaglio, che rende questi dolci delle piccole opere d’arte.
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Wagashi: mochi e dorayaki
Già dal nome si può intuire il contenuto di questa pasticceria, poiché wa significa “Giappone” e gashi “dolci”. Infatti, si tratta di quei dolci propriamente giapponesi e tradizionali, ovvero i mochi e i dorayaki. I primi sono a forma di piccole sfere a base di riso glutinoso, acqua e zucchero proposti in 5 farciture, tutte senza glutine: fagioli rossi azuki; noci, sesamo e fagioli rossi; fagioli bianchi, agrumi e miso, che sarebbe un condimento derivato dai semi della soia gialla, di origine giapponese; yuzu, frutto a metà fra mandarino e la Papeda, anch’esso del Giappone; yuzu bianchi, noci, agrumi e tè matcha. I dorayaki, invece, simili a dei pancake e vengono preparati con un impasto di farina, uova, zucchero, miele e in alcuni casi anche latte; ci sono 9 varianti di dorayaki: fagioli rossi azuki, yuzu, sesamo, arachidi, mascarpone, tè matcha ed earl grey; tra i più interessanti, namelaka, una crema al cioccolato inventata da un famoso pasticcere giapponese, e hojicha, un particolare tè verde tostato con meno teina.
Yogashi: mousse, cheesecake, sacher, brioche e panettoni
Yogashi, invece, sono tutti quei dolci d’ispirazione europea/occidentale, che però sono rivisitati con tocchi e ingredienti giapponesi. Questi dessert hanno iniziato a comparire nei primi anni del Novecento e, oggi, sono ormai diventati patrimonio della migliore gastronomia. In alcuni, quindi, sono presenti i classici ingredienti a cui siamo più abituati, quali burro, latte o cioccolato; in altri, invece, questi vengono sostituiti ad altri più giapponesi, come fagioli rossi azuki, yuzu, sesamo, tè matcha, farina di riso, patate dolci, la soia. Così, ad esempio, troviamo meringhe con yuzu, tiramisù al tè verde, yuzu tarte, mousse al cioccolato con zenzero e nocciole, cheesecake al mango o con matcha, sacher con azuki rossi o, ancora, crepes con marmellata di azuki, e così via. Durante il periodo di Natale, invece, è toccato al dolce meneghino incontrare la pasticceria tradizionale giapponese: un panettone con 36 ore di lievitazione naturale al tè matcha, albicocca e yuzu. Visto il successo, è stato poi proposto anche in altre tre versioni: con cioccolato zenzero candito e gianduia, con arancia uvetta e castagna e, infine, con fagioli azuki e cioccolato al latte. Ma dove possiamo trovare tutte queste delizie?
Hiromi Cake, la prima pasticceria giapponese in Italia
Se oggi della cucina giapponese abbiamo la fortuna di poter assaggiare anche i dolci, è grazie a Machiko Okazaki, sposata con un italiano da 15 anni. L’idea di aprire una pasticceria giapponese nasce da un ricordo d’infanzia: sotto la sua casa di Osaka, c’era una minuscola pasticceria, dove passava ogni giorno, perché un’anziana signora di nome Hiromi – da qui il nome – le regalava sempre un dolcetto.
Così, dopo aver avviato due noti ristoranti di Roma, nell’autunno del 2018 ha aperto la prima pasticceria giapponese in Italia, insieme a Mitsuko Takei e altre tre pastry chef giapponesi. Nel 2019, continuando a coltivare il suo sogno di far conoscere la pasticceria giapponese nel mondo, ha aperto anche a Milano – ma i dolci continuano ad arrivare da Roma – con Lorenzo Ferraboschi e Maiko Takashima, già noti per l’apertura di Sakeya, un ristorante dove si possono degustare più di 100 tipi di sakè. In entrambe le città Hiromi Cake è aperto tutti i giorni, dalla colazione alla merenda, fino alle dieci di sera, con una proposta tutta di monoporzioni (che sembrano immense, ma in realtà sono talmente buone che finiscono subito) sia di wagashi che di yougashi; a breve è in arrivo anche una proposta salata per il pranzo. In ogni caso l’approccio segue la vecchia tradizione: i prodotti vengono tutti lavorati a mano, limitando il più possibile l’intervento delle macchine.
Cosa bere in abbinamento ai dolci giapponesi?
I dolci giapponesi si consumano quasi sempre per colazione, per merenda o come dessert a fine pasto. Anche nel caso delle bevande in abbinamento, esistono due soluzioni: per quanto riguarda la pasticceria wagashi, di solito si usa bere il tè, come il sencha, un classico tè verde o il Hojicha, di cui vi abbiamo già accennato prima. Per la parte yogashi, invece, anche le bevande occidentali si contaminano con ingredienti giapponesi: da Hiromi Cake troviamo, quindi, cappuccino matcha, e presto arriveranno anche vari tipi di caffè particolari.
Voi conoscevate questi dolci della pasticceria giapponese? Speriamo di avervi fatto venire voglia di andare a provarli da Hiromi Cake.
L’articolo Alla scoperta della pasticceria giapponese, tra wagashi e yogashi sembra essere il primo su Giornale del cibo.