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Che in Italia siamo forti con la pasticceria non è un segreto. Infatti, non è nemmeno un caso che il pasticcere migliore al mondo sia proprio lui, il temutissimo Iginio Massari, che l’anno scorso ha ricevuto il premio in occasione del World Pastry Stars 2019, evento internazionale che ogni anno riunisce i fuoriclasse del mondo. A tenere alta la bandiera italiana dolciaria, sono tantissime le creazioni che, anno dopo anno, si sono susseguite nel tempo e hanno ottenuto un successo incredibile, ma solo alcune hanno “lasciato il segno”, cambiando per sempre il volto della pasticceria.
Quello che vi proponiamo oggi, quindi, è un vero e proprio viaggio nel tempo: decade dopo decade, andremo a scoprire quali sono i dolci italiani famosi del Novecento, ossia quelli che hanno fatto la storia e che hanno dettato le mode culinarie negli anni a seguire. Ma non ci fermeremo lì, perché arriveremo anche ai giorni nostri e proveremo a spingerci oltre, nel futuro, cercando di capire cosa ci aspetterà… pronti a seguirci?
Anni ‘10: Torta Paradiso e Monte Bianco
La nascita dei movimenti dei diritti civili femminili, o di quelli artistici come il Futurismo e il Dadaismo, il naufragio del Titanic, la tragedia della Prima Guerra Mondiale: questi sono solo alcuni degli eventi più eclatanti avvenuti tra il 1910 e il 1919. In quest’atmosfera energica e contraddittoria, sono stati due i dolci “cult” del periodo: la Torta Paradiso e il Monte Bianco.
Semplicità e morbidezza: questi i due elementi vincenti della torta Paradiso, grande classico che troviamo ancora oggi, soprattutto servita come torta da colazione. Forse, però, non tutti sanno che si tratta di una torta brevettata ufficialmente nel 1878 da Enrico Vigoni, pasticcere pavese, la cui Pasticceria Vigoni – tuttora aperta – è l’unica a detenere la ricetta originale. Nonostante quindi la ricetta sia stata codificata nel XIX secolo, in realtà questo dolce conosce la sua fortuna a inizio del secolo successivo, diventando un emblema della pasticceria italiana.
Quando le castagne incontrano la cioccolata e la panna montata: ecco il Monte Bianco (anche conosciuto come Mont Blanc), un altro dei dolci più rappresentativi del periodo e che si è diffuso in tutto il Nord Europa. A testimoniarlo, Pellegrino Artusi nel suo trattato gastronomico La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene. Come suggerisce il nome stesso (ma anche la forma), questo dessert si ispira all’omonima montagna: infatti, è proprio in Piemonte che nasce, sotto il ducato di Casa Savoia, al confine tra Italia e Francia. Ma di cosa si tratta? Non è una torta, bensì un dolce al cucchiaio a base di purea di castagne, cacao e panna montata. Se oggi è più difficile trovarlo nei ristoranti o nelle pasticcerie, all’epoca però era decisamente un dolce “cult”…
Anni ‘20: la Torta Caprese
Roaring Twenties, ossia “i ruggenti anni Venti”: la guerra è finita, l’art nouveau cede il passo al preziosismo dell’art déco, negli Stati Uniti inizia l’età del jazz e viene pubblicato Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, mentre in Europa nasce il movimento surrealista grazie ad André Breton, e nel 1927 viene prodotto Il cantante di jazz, il primo film parlato della storia del cinema.
In mezzo a tutto questo, cosa accade nella pasticceria italiana? Al 1920 risale la creazione “involontaria” di un capolavoro dell’arte dolciaria nostrana: la Torta Caprese. A chi va il merito? Pare a Carmine di Fiore, un pasticcerie che un giorno si trovò, solo soletto, nel suo piccolo laboratorio artigianale nell’Isola di Capri, con un arduo compito: progettare e preparare un dolce alle mandorle per tre malavitosi di passaggio sull’isola per conto di Al Capone. Forse per l’ansia, o forse per distrazione, fatto sta che dimenticò di aggiungere la farina all’impasto: per sua fortuna, quando la cottura fu ultimata, il risultato era tutt’altro che disastroso, anzi! Davanti a lui, c’era una torta morbida dentro e croccante fuori! E leggenda vuole che ai tre americani piacque talmente tanto che chiesero la ricetta: questo a dimostrazione che, a volte, dagli errori può nascere qualcosa di buonissimo… Inoltre, avendo come ingredienti soltanto il cioccolato, uova, burro, mandorle, è adatta anche ai celiaci e, in generale, alle persone intolleranti al glutine.
Anni ‘30: la Torta Fedora
Arriviamo agli anni Trenta, quando lo swing s’impone sempre più prepotentemente come componente definitiva del jazz, viene inaugurato l’Empire State Building, ossia il grattacielo più alto del mondo, viene scoperto Plutone, Amelia Earhart è la prima donna a sorvolare l’Atlantico e, qualche mese dopo che la Germania invade la Polonia, ad Atlanta esce Via col vento, vincitore di 10 premi Oscar.
Mentre il mondo è in subbuglio e in Europa arriva la celeberrima Pavlova, a Firenze nasce una torta che porta il nome di una donna: è la Torta Fedora, ormai quasi introvabile perché abbandonata per preparazioni più all’avanguardia. Ma di cosa si tratta? Si dice che il merito della creazione fosse dell’ex Pasticceria Nuti di Firenze, il cui titolare battezzò il dolce col nome della moglie, Fedora appunto. In origine, la torta aveva una forma rotonda, mentre al giorno d’oggi si trova come monoporzione e generalmente in formato quadrato. Questo dessert rientra nella categoria di quei dolci a base di Pan di Spagna inzuppato – in questo caso, nel maraschino – e poi ricoperto da uno strato consistente di panna montata. A concludere, in sommità, una sottile copertura di gianduia, appena spolverizzata con zucchero a velo. Ovviamente, le varianti che si sono susseguite negli anni sono tantissime: c’è chi c’è aggiunge uno strato di pasta sfoglia caramellata a sostenere la base inzuppata, chi l’alchermes per dare alla torta un vivace tocco di rosso, chi unisce le scaglie di cioccolato alla panna, chi usa altri liquori per la bagna… insomma, c’è solo l’imbarazzo della scelta!
Anni ‘40: la Zuppa Inglese
Che gli anni Quaranta del ‘900 non siano stati semplici, lo abbiamo imparato dai libri di scuola, dai film e dai racconti dei nostri nonni: fino a quasi alla fine del ‘45 si stava combattendo la distruttiva Seconda Guerra Mondiale e il mondo intero stava conoscendo gli orrori del nazismo. Eppure, anche se l’invenzione è precedente, è proprio in questo periodo che dalle nostre parti viene proposta sempre di più la zuppa inglese, iniziando così la sua lunga scalata verso il successo!
Anche se il nome può trarre in inganno, in realtà di inglese ha ben poco, perché si tratta di un dessert italiano. Ma le sue origini sono tra le più controverse nella storia della pasticceria! Perché? A contendersi la sua paternità ben tre regioni: Emilia-Romagna, Marche e Toscana (non manca anche un’ipotesi napoletana). Ma partiamo dagli ingredienti. Si tratta di un dolce al cucchiaio composto da diversi strati sovrapposti di Pan di Spagna (o savoiardi) inzuppati in diversi tipi di liquori (il più utilizzato è l’alchermes) alternati alla crema pasticcera. Di varianti ne esistono un’infinità, tante quante sono le città che se la contendono, e sicuramente la versione più famosa è quella con l’aggiunta di uno strato di cioccolato oltre a quello di crema pasticcera, o anche di confettura di frutta, in particolare di albicocche, molto in voga nell’Ottocento.
Tornando alla controversa questione delle origini, tra le diverse ipotesi quella più probabile è che la zuppa inglese sia nata in Emilia-Romagna, alla corte dei duchi d’Este. Si narra che un diplomatico londinese avesse chiesto di poter riassaggiare il trifle, un dolce rinascimentale anglosassone, realizzato con crema e Pan di Spagna inzuppato da bevande alcoliche, tra cui lo Sherry. La cuoca, non avendo a disposizione tutti gli ingredienti necessari, “rielaborò” la ricetta inglese utilizzando ingredienti locali, come la bracciatella (una ciambella di uso comune) poi con gli anni sostituita con il Pan di Spagna, e con il Rosolio e l’Alchermes al posto dello sherry. Il nome “inglese”, quindi, sembrerebbe essere un omaggio al diplomatico, altri invece sostengono che sia dovuto all’uso dei liquori, di cui in Inghilterra erano grandi estimatori.
Anni ‘50: il Tartufo di Pizzo
Mentre nasceva la macchina da scrivere Lettera 22 della Olivetti e Federico Fellini esordiva come regista, o il mondo iniziava la sua corsa verso la conquista dello spazio con il lancio del primo satellite artificiale, lo Sputnik 1 dell’URSS, a Pizzo Calabro, in provincia di Vibo Valentia, si faceva la storia della gelateria italiana. Questa cittadina era già famosa per la qualità del suo gelato, ma diventò ancora più rinomata a partire dal 1952. Tutto accade quando il gelatiere Giuseppe De Maria – detto anche, Don Pippo De Maria – si ritrovò durante un matrimonio (altri dicono la visita di un principe) senza le formine necessarie per il confezionamento del gelato. Deciso a far di necessità virtù, Don Pippo modellò delle palline di gelato artigianale – una al gusto di nocciola, l’altra al cioccolato – con all’interno un cuore di cioccolato fondente liquido, caramello e liquore Strega. Una volta chiuso il tutto e avvolto nella carta pergamena, li mise a raffreddare. Il risultato? Una sorta di “pezzo” duro e irregolare, che nella forma ricorda il tartufo: nasce così il Tartufo di Pizzo Calabro, uno dei gioielli della pasticceria calabrese. Come si dice, il resto è storia…
Anni ‘60/‘70: il Tiramisù e la Panna cotta
Correvano gli anni Sessanta. Quelli dei movimenti dei figli dei fiori, del discorso I have a dream di Martin Luther King, della morte di John Fitzgerald Kennedy, dei Beatles, della guerra del Vietnam e della morte del Che, della strage di Piazza Fontana. Poi, arrivano gli anni Settanta, con l’energia travolgente del rock’n’roll e del punk, del programma spaziale dello Space Shuttle, dell’Italicus, della fine della Guerra del Vietnam, di Bohemian Rhapsody dei Queen.
Alla fine degli anni ‘60 e a cavallo con gli anni ‘70, in Italia, il tiramisù viene riscoperto – o secondo altri, addirittura inventato – diventando così uno dei dessert italiani più conosciuti e apprezzati al mondo. Come per la zuppa inglese, le origini del tiramisù sono a dir poco contese. A quanto sembra, deriverebbe da un’antica preparazione dolce popolare veneta, in particolare della città di Treviso, cioè lo sbatudin: un dolce a base di tuorlo d’uovo montato con lo zucchero, destinato ai bambini, agli anziani o ai novelli sposi proprio perché estremamente nutriente. A fine degli anni ‘60, invece, l’attore, regista e gastronomo Giuseppe Maffioli pubblica un libro, La cucina trevigiana, in cui racconta dell’usanza veneta di consumare lo zabaione assieme alla panna montata e a particolari biscotti secchi, detti baicoli. Secondo un’altra versione della storia, il tiramisù così come lo conosciamo noi nasce soltanto nel 1970: a Treviso, nel ristorante Alle Beccherie, viene proposto per la prima volta il tiramesù, a base di uova, zucchero, mascarpone, caffè, cacao e savoiardi. Secondo altri, sarebbero invece i due comuni di Pieris di San Canzian d’Isonzo (Go) e Tolmezzo (Ud) in Friuli-Venezia Giulia ad aver inventato questo dessert: pare che qui, nel ristorante dell’albergo Roma, la proprietaria Norma Pielli servisse il Dolce Torino di pellegrino Artusi, a base di savoiardi, burro, cioccolata, rosso d’uovo, latte. Ma alla signora venne l’idea di sostituire il mascarpone al burro e di inzuppare i savoiardi nel caffè amaro, mentre il nome sarebbe stato deciso dal marito, perché era un dolce che decisamente “tirava su”. Qualunque sia l’origine, tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70 conquista i cuori e i palati degli italiani, arrivando fino a noi in tantissime varianti!
Insieme al tiramisù, la panna cotta è un altro dei dessert che tutto il mondo ci invidia. Anche qui, le origini si perdono nel tempo e sfumano in leggenda, ma è a partire dagli anni ‘70 che questo dolce comincia a ottenere il riconoscimento che merita. Le origini sembrano essere piemontesi, legate a una signora di origini ungheresi che abitava nelle Langhe. Altri sostengono che la prima versione della panna cotta sia stata realizzata “involontariamente”, perché si stava cercando di ottenere una versione più leggera della famosissima bavarese francese. Altri ancora, invece, dicono che il “padre” di questo dessert sia il Biancomangiare siciliano, un dolce antichissimo risalente alla dominazione araba in cui, quando si diffuse al Nord, si sostituì il latte vaccino a quello di mandorle. Anche in questo caso, di varianti ne esistono a bizzeffe: dalla classica panna cotta con salsa al caramello a quella con la salsa di mirtilli o ai frutti di bosco, fino ad arrivare a versioni più creative!
Anni ‘90: il Salame di Cioccolato
Se sui matti anni ‘80 non abbiamo trovato ricette italiane che hanno lasciato il segno, i Nineties, oltre a Friends, alle Spice Girls e a Twin Peaks, ci hanno regalato senz’altro una delle gioie più grandi di tutte le nostre feste di compleanno e merende: il salame di cioccolato! Le sue origini sono sempre incerte, ma sembra che si tratti di una ricetta siciliana a base di cioccolato e biscotti, la cui forma ricorda appunto quella di un salame. Non tutti forse sanno che viene anche chiamato “salame turco”, non tanto per l’origine geografica del dolce, quanto per il colore scuro del cioccolato fondente, che ricorda appunto la pelle dei Mori. Questo dessert fece la sua prima comparsa negli anni ‘70, quando la ricetta venne pubblicata con il titolo di “salame vichingo” nel famoso ricettario per bambini, il Manuale di Nonna Papera. Ma è in questa decade che raggiunge il suo apice, affermandosi come il dolce preferito dai bambini.
Anni 2000-2010, verso il nuovo millennio
Il mondo non è finito col Millennium Bug, ed è andato avanti, proiettato verso il nuovo millennio! Anche la pasticceria ha saputo reinventarsi, scoprendo nuove tecniche (come l’uso dell’azoto liquido che diventa un elemento fondamentale nella ristorazione) e lasciandosi alle spalle molti degli eccessi e dei fasti tipici degli anni passati, puntando sempre più verso il minimalismo delle forme. Con l’avvento delle tecnologie, poi, il mondo si fa sempre più piccolo e le influenze si mescolano anche nell’ambito del food, come nel caso dei coloratissimi macarons, il dolce che più ha “segnato” la pasticceria di questi anni. Si tratta dei piccoli dolcetti francesi – ma con una parte di storia che inizia proprio in Italia – composti da due dischetti di soffice meringa alla mandorla che racchiudono una ganache cremosa a diversi gusti.
Per scoprire la loro origine, dobbiamo tornare indietro al tempo di Caterina de Medici, sposata al Duca di Orleans Enrico II di Francia nel 1533: quando andò in Francia, portò con sé il nostro amaretto, considerato sia per gusti che per forma l’antenato del macaron. Per quanto riguarda il nome, invece, all’inizio macaron era quello attribuito a un dolcetto alla mandorla, formato però da un solo dischetto senza ganache (per il macaron così come lo conosciamo noi bisogna aspettare il 1930). Sull’origine del termine, ci sono varie versioni: si dice che i francesi faticassero a pronunciare la parola amaretto e quindi sarebbe una storpiatura del termine, per altri deriva invece da macaronì, il nomignolo dato agli italiani, per altri ancora, infine, dall’italiano dialettale “maccarone” (ossia, maccherone). Perché tanto successo? Perché sono piccoli, carini e perfetti per essere fotografati e condivisi sui social network! Se prima era possibile trovarli soltanto nelle pasticcerie francesi, adesso si trovano un po’ ovunque anche nelle nostre città. A voi piacciono?
Anni 2020… e poi?
Alla fine del primo film di Ritorno al futuro, Marty e Doc si apprestano a compiere un nuovo viaggio nel tempo sulla loro DeLorean. Quando Marty fa notare che non hanno abbastanza strada davanti a loro per arrivare a 88 miglia orarie prima del “salto”, Doc risponde con una frase che ha fatto la storia: “Strade? Dove stiamo andando non c’è bisogno di strade!”.
Ecco, parlando di pasticceria, non possiamo essere così sicuri di cosa ci aspetterà per il prossimo futuro, ma possiamo provare a fare qualche ipotesi, partendo dai trend attuali.
Se fino a qualche tempo fa, la pasticceria italiana era un settore poco valorizzato nel nostro Paese, perché considerato meno importante rispetto a quello della gastronomia in generale, negli ultimi anni invece ha acquisito una propria dignità e una specifica identità, che guarda alla contemporaneità. Nel mondo della grande ristorazione, la conclusione del pasto è diventata una parte fondamentale, tanto che i pastry chef sono sempre più protagonisti di hotel e ristoranti d’autore. Ma non ci si ferma solo a questo. Perché anche in Italia finalmente si sta esplorando la possibilità di mettere il dolce al centro dell’esperienza sensoriale e gastronomica: a Milano, infatti, recentemente ha aperto il primo Dessert Bar, del giovanissimo Federico Rottigni. Qui, il dolce si prende tutta la scena e conquista la dignità di un pasto a tutti gli effetti, unendo la pasticceria contemporanea d’avanguardia con l’arte della mixology per creare qualcosa di assolutamente unico e nuovo, un vero e proprio Dessert dining show, come se fosse uno spettacolo. Quindi, per il futuro, intravediamo un mondo in cui la pasticceria si trasforma in un’esperienza che gioca su consistenze, temperature, acidità, sapori dolci e salati, dolci de-zuccherati, senza glutine e vegan, diventando anche intrattenimento e interazione. Per chi sogna un’intera cena a base di dessert, il futuro non è mai stato così dolce.
Il nostro viaggio è concluso e possiamo tornare al presente. Diteci, conoscevate la storia di questi dolci?
L’articolo Alla scoperta dei dolci “cult” italiani dal ‘900 a oggi sembra essere il primo su Giornale del cibo.