La Kalokagathìa Greca: l’ideale di bellezza e bontà nello sport

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I Greci, cultori di bellezza e intelletto, equilibristi del corpo e dell’anima, condensarono in una parola un codice indispensabile per vivere la vita appieno: καλοκαγαθία (kalokagathìa), bello e buono, secondo cui l’aspetto fisico era strettamente connesso all’animo, ne era uno specchio, un riflesso, in un momento della storia greca, e dunque della nostra storia, in cui la rivoluzione culturale che animava l’isola sembrava sussurrare e inneggiare bellezza e perfezione in ogni forma. Insomma, non poteva esserci un’effettiva bellezza se questa non si coordinava all’intelligenza.

È il V secolo a.C. quando la filosofia del “bello e buono” prende il sopravvento: l’arte sta definendo le sue caratteristiche, i suoi canoni da seguire, Atene ribolle di splendore architettonico, letterario, culturale e nelle palestre, nei ginnasi, i giovani allenavano il corpo per temprare l’animo, sono loro infatti, oltre alle divinità, quelli ad essere maggiormente ritratti dagli scultori classici. Esempi di kalokagathìa diventano ben presto i giovani atleti, che si dedicavano ad ore e ore di esercizi nelle palestre, fulcro della società, perché nelle palestre nacquero le scuole.

La καλοκαγαθία non si arrestava alla semplice esaltazione estetica, ma abbracciava soprattutto l’importanza della bontà e beltà d’animo. Alla radice dell’esercizio fisico, vi era l’immancabile attenzione al conseguimento, da parte dei giovani, di bellezza interiore ed esteriore. Per questo i Greci sono diventati campioni della salute del corpo, che, a sua volta, veniva cantata dai poeti in occasione delle vittorie olimpiche. Erano le Olimpiadi il teatro dei campioni della καλοκαγαθία.

I quadriennali agoni che accoglievano, nella città di Olimpia, atleti da ogni parte della Grecia, reclamavano al proprio cospetto l’attenzione, il cuore, il rispetto, l’onore di una nazione intera, che, nell’attesa e nel corso del loro svolgimento, sospendeva persino le guerre in corso, per via dell’alone sacro che le circondava.

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Se pensiamo alle Olimpiadi nell’Antica Grecia, vengono di certo in mente atleti intenti a sfoggiare le proprie prestazioni, sfilare su carri dopo la vittoria, celebrati da composizioni poetiche come divinità in terra.

Eppure, Olimpia rivela anche un altro risvolto della storia comunemente conosciuta. Delle Olimpiadi al femminile: gli Heráia, gare di corsa in cui ragazze nubili correvano in onore della dea Era, citate dallo storico Pausania. Qui l’obiettivo era diverso, la finalità era infatti il matrimonio e la gara di corsa un modo per dimostrare il proprio vigore.

Anche se Pausania è l’unico a parlarci di queste Olimpiadi femminili, di certo sappiamo che le ragazze greche non erano escluse dall’educazione fisica. A Sparta, in particolare, era previsto che al pari dei ragazzi, esercitassero il proprio corpo per raggiungere quell’equilibrio che governa la salute del corpo e della mente.

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I Greci, fino ai Romani, che avevano ereditato dai primi la cultura fisica, sono maestri del bello (kalòs), ma non un bello superficiale, un bello e buono (agathòs). E se congiungiamo Yin e Yang incontriamo l’equilibrio dell’anima e del corpo, quello che Giovenale, nel II secolo d.C. consacra nella massima mens sana in corpore sano (figlia della καλοκαγαθία greca).

Gli antichi lo avevano già capito. Lo sport salva le anime. E questo insegnamento ce lo hanno voluto tramandare in tutte le salse: con l’istituzione delle Olimpiadi, celebrate ancora oggi, i versi poetici che si studiano ancora, le opere scultoree che possiamo ancora o in parte ammirare.


Se lo sport è stato venerato, cantato, scolpito e consacrato con tanta reverenza, doveva esserci un perché che andava ben oltre una semplice cura estetica o narcisistica del corpo; c’era un messaggio da cristallizzare e affidare alle generazioni future e forse Platone può aiutarci a capirlo:

chi si dedica alla ricerca scientifica o a qualche altra intensa attività intellettuale, bisogna che anche al corpo dia il suo movimento, praticando la ginnastica.

Questa è una grande lezione che possiamo trarre dagli antichi. Per garantire un buon funzionamento della mente, non possiamo escludere il corretto funzionamento del fisico. Gli antichi ce lo insegnano, noi dobbiamo metterlo in pratica. Il corpo è la nostra casa, la mente è il passaporto che ci permette di relazionarci al mondo e con il mondo. Il loro connubio ci permette di funzionare bene.

Se i Greci credevano nella cura del corpo come elemento indispensabile per una buona vita, nella stessa misura dovremmo tornare alle origini per insegnare, a partire dalle scuole, come lo sport aiuti a conoscere sé stessi, i propri limiti e al tempo stesso a superarli. È un’inesauribile fonte di educazione, tra gioco e disciplina. Un’anima che si dedica allo sport è un’anima che si dedica a sé, è un’anima felice.

 

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Redazione MusaNews
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