Quattordici anni. Quattordici lunghissimi anni, dove un pensiero rincorreva sé stesso, ininterrottamente. Un volto ed uno stupro impossibili da cancellare. Era l’agosto del 2006, nell’assolata ed isolata Milano nel periodo di ferragosto. Una donna attendeva il mezzo pubblico per raggiungere il suo posto di lavoro come inserviente in un ospedale. Come sempre, come ogni giorno. Questa volta, però, accade che un uomo, se si può chiamare uomo chi stupra una donna, si avvicina, la colpisce alla testa con una pietra ed abusa di lei.
Non contento, le svuota la borsetta, le ruba pochi euro e, soprattutto, il pacchetto di sigarette della donna. Non sa che quel gesto, così tremendamente banale, segnerà la sua condanna. Prima di andarsene, dopo l’ignobile gesto, accende una sigaretta e la fuma in totale tranquillità. Quella sigaretta fumata in serenità, come vuole la prassi dopo un rapporto consenziente con il proprio partner ed il mozzicone buttato in terra, saranno il punto di partenza di una lunghissima caccia all’uomo. La donna aveva impresso nella sua mente tutto di quell’uomo, il suo volto, il suo accento. Tutto era marchiato a fuoco nella sua anima.
Soltanto il DNA
Gli investigatori per quattordici, lunghissimi anni non avevano altro che il suo DNA. Nient’altro. La Procura, non trovando altre pezze di appoggio per proseguire l’indagine, ne aveva chiesto addirittura l’archiviazione. Sarebbe finito tutto lì, se non vi fosse stata una testarda, cocciuta volontà di un maresciallo dei carabinieri che, nel 2006, aveva appena preso servizio alla compagnia Porta Monforte. Credeva a tutto ciò che la donna aveva raccontato e volendo dimostrare la sincerità della vittima, messa in dubbio da alcuni inquirenti che pensavano fosse una persona in cerca di pubblicità, andava investigando tra persone e luoghi che potevano ricondurlo al presunto colpevole.
Dopo quattordici anni, dopo quattordici lunghissimi anni bui, arriva la luce ad illuminare il giorno 30 novembre 2020, quando a quello stesso solerte, capacissimo e testardo maresciallo dei carabinieri, perviene una comunicazione del Ris di Parma. La Banca dati nazionale del DNA ha dato un volto all’esecutore dello spregevole gesto. Infatti è stata trovata la corrispondenza tra il DNA del mozzicone di sigaretta e quello appartenente ad un ex detenuto a San Vittore. Quattordici anni. Dopo quattordici, lunghissimi anni, colei che aveva subito quella violenza si ritrovava davanti colui che la violenza l’aveva perpetrata.
Unico timore degli inquirenti era che la donna non riconoscesse più il suo violentatore, dopo tutti gli anni trascorsi. Ma come si fa a dimenticare un volto che ha inferto un colpo così duro ad un corpo, ad una mente, ad un’anima? La donna lo ha riconosciuto in un attimo ed ora, quattordici anni dopo, sconterà la giusta pena. Per la prima volta un reato commesso tanti anni prima, viene risolto attraverso le comparazioni del DNA.
Ora la ferita non si rimarginerà di certo, ma, forse, renderà un po’ più sbiadito quel terribile ricordo.