“The Last Dance”. Il racconto dei Bulls di Michael Jordan è un successo clamoroso, tra critiche e lodi

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Non serve avere nell’armadio una maglia

dei Chicago Bulls col numero 23 – o essere fan di Space Jam per riconoscere quello che Michael Jordan è stato per il basket e per tutto il mondo dello sport. The Last Dance non è però solo una docuserie sulla carriera di uno dei giocatori più iconici di ogni epoca.


Gli episodi, incentrati sull’ultima stagione vincente dei Chicago Bulls, quella del ’97-’98, raccontano soprattutto l’ascesa di quella che poi sarà considerata da molti la squadra più forte del circuito NBA. Una delle più grandi dinastie delle sport.

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La serie prodotta da ESPN, la cui uscita è stata anticipata di due mesi, è composta da 10 episodi disponibili su Netflix, diffusi due per volta ogni lunedì. Gli ultimi due il prossimo 18 maggio. Ma fin da subito lo show è diventato un fenomeno di “ascolti”, da due settimane in cima alla Top 10 di Netflix. E lo sarebbe stato anche senza la crisi sanitaria che ha messo uno stop a tutti gli eventi sportivi.

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In un susseguirsi di immagini d’archivio, riprese degli anni Novanta e interviste a giocatori e giornalisti, la serie che ha una sceneggiatura di ferro ci porta alla scoperta di alcuni aspetti dietro la leggenda, dai rapporti con la società ai momenti negli spogliatoi.

The Last Dance, l’ultima stagione

the last dance

Michael Jordan e Scottie Pippen.

Per raccontare l’epopea dei Chicago Bulls, che con Jordan negli anni Novanta hanno portato all’NBA una visibilità internazionale senza precedenti, la docu-serie del regista Jason Hehir si concentra sulla stagione del 1997/98. È stata l’ultima vittoria dei Bulls di MJ, del secondo violino Scottie Pippen, di Dennis Rodman e dell’allenatore Phil Jackson, il momento in cui la squadra che ha portato Chicago per la prima volta a vincere sei titoli in meno di dieci anni comincia a sfaldarsi. Ad arricchirne il racconto sono le riprese di una troupe di giornalisti che in quella stagione, con accessi esclusivi, ha seguito la franchigia dell’Illinois nel suo ultimo glorioso capitolo.

È The Last Dance, l’ultimo ballo, ma inevitabilmente il documentario tocca anche le stagioni precedenti, il primo three-peat (tre vittorie di fila) dei Bulls, dal 1991 al 1993, il ritiro di Jordan, le dinamiche interne e le rotture tra la squadra e la società, in un racconto che va ben oltre il mito.

Michael Jordan, icona sportiva

Impossibile descrivere quelle stagioni dei Chicago Bulls, o l’NBA degli anni Novanta, senza che la figura di Michael Jordan emerga dalla narrazione come l’eroe sportivo che è stato (ed è tutt’ora), paragonato a icone storiche come l’inarrivabile Muhammad Ali. Si impone nelle interviste come nei flashback, nei vecchi filmati, che ci portano indietro fino ai tempi in cui giocava per la squadra dell’University of North Carolina, passando per le selezioni dell’NBA, quando nell’84 entra nella rosa dei Bulls, fino al ritiro nel ’93 in seguito alla morte del padre e gli anni del baseball. E fino a the shot, l’ultimo canestro di Jordan che ha fatto vincere Chicago nel ’98.

Così viene delineata a 360 gradi la personalità di quello che è stato probabilmente il più grande cestista di sempre, ambizioso e ossessionato dalla vittoria e dalle sfide che gli si ponevano sul cammino, sempre pronto a dare il meglio di sè.

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