L’app Yuka che segnalava ai propri utenti la presenza di nitriti nei salumi, reindirizzandoli tra l’altro ad una petizione per far eliminare queste sostanze dal mercato, è stata condannata da un tribunale francese su richiesta della Federazione dei salumieri. Ancora una volta le lobby hanno avuto la meglio.
L’app Yuka, che permette di scansionare i codici a barre dei prodotti sottolineando in rosso o arancione la presenza di sostanze problematiche, è stata condannata ad un risarcimento di 20mila euro e a togliere le affermazioni negative sui nitriti. La sua colpa? Aver denigrato i produttori di salumi, invitando gli utenti a firmare una petizione contro i nitriti, additivi accusati di essere cancerogeni.
Ma partiamo dall’inizio, se tramite l’app Yuka scansioniamo il codice a barre di una confezione di salame o prosciutto, subito ci appaiono, se presenti, i nitriti (E249, E250, E251, E252), utilizzati in particolare per conferire un colore rosato alla carne. Il sistema penalizza fortemente queste sostanze evidenziandole con il colore arancione o rosso. Inoltre appare subito anche la petizione “Stop ai nitriti aggiunti nel nostro cibo“, lanciata da Yuka, l’ONG Foodwatch e la Lega contro il cancro e che dal 2019 ad oggi ha raccolto più di 340.000 firme.
Tutto questo, ovviamente, non faceva piacere ai produttori che tramite la Federazione francese dei salumieri industriali (FICT), hanno fatto causa all’app portandola di fronte al tribunale del commercio di Parigi e stavolta purtroppo, questa lobby ha ottenuto (quasi tutto) ciò che voleva.
Con una sentenza del 25 maggio, Yuka è stata condannata per “pratiche commerciali sleali e ingannevoli” e “atti denigratori” ed è ora costretta a rimuovere il collegamento alla petizione, togliere le affermazioni negative sui nitriti e risarcire i danni ai produttori stabiliti in 20mila euro. L’azienda ha quattro settimane per modificare la sua app.
Ma, come sottolinea Julie Chapon, co-fondatrice di Yuka, la Federazione dei salumieri non ha ottenuto proprio tutto ciò che voleva:
La FICT non ha avuto successo in parte delle sue richieste, in particolare sul nostro sistema di valutazione dei nitriti, che rimane sempre in rosso.
Ed era difficile che fosse altrimenti dato che la polemica sui nitriti si è riaccesa in particolare nel 2015 quando l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) li ha classificati, insieme ai nitrati, come “probabilmente cancerogeni per gli esseri umani” (Gruppo 2A).
Come si legge sul sito della Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro:
I nitrati e i nitriti, utilizzati soprattutto nella conservazione della carne e degli insaccati, possono subire delle modificazioni chimiche che li trasformano in nitrosammine, molecole potenzialmente cancerogene. Un consumo eccessivo e prolungato di nitriti è associato ad aumento del rischio dei tumori dello stomaco e dell’esofago. (…) I nitrati e i nitriti di per sé non sono cancerogeni, ma possono andare incontro, sia a causa dell’azione del metabolismo sia attraverso la cottura, a una serie di trasformazioni chimiche che li convertono in N-nitrosammine, composti che invece sono considerati cancerogeni.
Il rischio dunque effettivamente c’è, ma da parte sua la FICT ricorda che l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ritiene che “nitriti e nitrati aggiunti agli alimenti a livelli autorizzati siano sicuri per i consumatori in Europa“.
La Francia, comunque, in un rapporto parlamentare pubblicato a gennaio 2021, raccomanda di abbandonare gradualmente l’uso di nitriti entro il 2025. Come al solito questi processi sono lenti e ritardati anche dal potere e dalle richieste dei produttori, che cercano sempre di tirare acqua al loro mulino (come abbiamo visto anche nel caso dello stop all’utilizzo di plastica per gli imballaggi di frutta e verdura).
C’è da dire che ormai quasi tutti producono anche salumi senza nitriti (la prova dunque che è possibile farne a meno) ma generalmente costano di più.
Fonte: Legalis
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