Lisa di Sevo: così lo smart working sta cambiando il lavoro e il welfare aziendale

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Ammettiamolo, molti di noi, con l’inizio del lockdown, non pensavano che sarebbero riusciti a lavorare bene, o quasi, anche da casa. Uffici con flussi di lavoro complessi, programmazioni, riunioni… Eppure ce l’abbiamo fatta. Con tempo, pazienza, spirito di adattamento. Superando, soprattutto per molti lavoratori over 55, una certa diffidenza digitale. La crisi come opportunità?

Se lo si vede dal punto di vista digitale, assolutamente si. Ne parliamo con Lisa di Sevo, presidente di She Tech, associazione no profit dedicata alla formazione digitale al femminile.

«L’innovazione è la chiave su cui ruoteranno i cambiamenti futuri. È l’innovazione che sta trasformando il lavoro. Gli italiani e le italiane hanno imparato a lavorare in smart working. Soprattutto stanno imparando la distinzione tra smart working e telelavoro, che dalle aziende stesse non è ancora ben compresa e spiegata.

Lisa Di Sevo

Lisa Di Sevo

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Ecco, ce la spieghi per favore…

Il telelavoro vincola a un orario preciso perché c’è un servizio e un flusso preciso da garantire, il lavoro agile, smart, no: il dipendente o il collaboratore può organizzarsi come vuole. Mi è capitato di sentire amici che protestavano: “ecco, il mio collega è andato a fare la spesa durante l’orario di lavoro…” Ma, domando io, stiamo parlando di persone in smart working o in telelavoro? Le aziende stanno scoprendo, di conseguenza, il valore e la flessibilità del tempo dedicato al lavoro.

Che può diventare gestibile in modi diversi.

Certo. La giornata di ciascuno, prima scandita da precise abitudini, ora va organizzata secondo le esigenze di vita: a casa dobbiamo lavorare, pensare ai figli, cucinare… L’innovazione digitale ci consente di restare connessi e di gestire il tempo in base alle mutate necessità, ribaltando il paradigma della rivoluzione industriale: il lavoratore è pagato per le ore che mette a disposizione. Ma il lavoro agile consente, invece, di essere pagati per un obiettivo.

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Non per tutti i lavori è praticabile, però…

Certo, dipende dai settori di lavoro: i team tecnici, per loro natura lo hanno sempre fatto: precisi obiettivi e precise scadenze. Ma una certa elasticità può essere estesa anche ad altri settori. Le aziende, da parte  loro, devono normare smart working e telelavoro con regole chiare.

Molti lavoratori erano diffidenti verso lo smart working perché temono sia un modo per “farli fuori” detto un po’ crudamente

Per questo deve essere regolamentato bene. Lavorare “fuori” non significa essere meno indispensabili, ma avere l’opportunità di gestire diversamente il tempo. Anche il rapporto azienda-lavoratore deve rimodularsi in questo senso. Come dicevo, i settori dedicati alla digitalizzazione e allo sviluppo tecnologico lo fanno da sempre: lavorare per obiettivi, con precise scadenze.

Per molte aziende non sarà facile ripartire…

La ripresa ci sarà ma sarà lenta, e si dovrà fare leva su quanto si è riusciti a mettere a sistema durante l’emergenza.  Nell’ottica della gestione futura del welfare aziendale prevedo grandi cambiamenti. E quanto più siamo stati versatili, agili nel momento di crisi, tanto più saremo resilienti alla ripartenza.

Lo smart working non diventerà un esigenza solo delle donne… finalmente.


Fino ad oggi maggior parte dei lavoratori che chiedevano smart working erano donne. Per lo più spinte dall’esigenza di conciliare lavoro e famiglia. Gli uomini che lo chiedevano, invece, lo facevano per la maggior parte per esigenze diverse: per avere tempo libero per sè. Credo che questa situazione di emergenza, con padri e madri costrette a condividere gestione dei figli e lavoro, in casa, abbia generato una maggiore parità: lo smart working è un opportunità per tutti.

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