I 5 comportamenti evitanti che dobbiamo imparare a riconoscere

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comportamenti evitanti

Siamo programmati per scegliere il piacere ed evitare il dolore. È naturale. Preferiamo le cose che ci fanno sentire bene mentre evitiamo quelle che ci fanno sentire male. L’evasione fa parte della vita. È una strategia efficace che può evitare problemi e conflitti, ma quando diventa la norma smette di essere adattiva e inizia a generare problemi.

Cosa si nasconde dietro un comportamento evitante?

L’evitamento è un tentativo di minimizzare ed evitare minacce, pericoli o ansie. Il suo compito principale è proteggerci da ciò che percepiamo come una minaccia. Ovviamente, il grado di evitamento dipenderà direttamente dalla gravità con cui la minaccia si presenta ai nostri occhi.

Tuttavia, è importante chiarire che, tranne in quelle situazioni che rappresentano un evidente pericolo per la vita, la nozione di minaccia è piuttosto soggettiva. Ciò che può essere minaccioso per una persona potrebbe non esserlo per un’altra.

Alcune delle nostre paure, e quindi la nostra percezione del pericolo, si basano su esperienze passate. Ciò significa che se siamo stati morsi da un cane, è probabile che ne abbiamo paura, anche se molti di loro non rappresentano una vera minaccia.

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Altre volte i comportamenti di evitamento vengono scatenati a causa di una concezione o credenza profondamente radicata. Ad esempio, se pensiamo che un certo gruppo di persone sia pericoloso, preferiremo evitarlo, anche se probabilmente è uno stereotipo o un pregiudizio.


Di conseguenza, alcuni di questi comportamenti evitanti potrebbero finire per diventare un ostacolo alla vita normale o addirittura limitare la nostra crescita personale. Per questo imparare a riconoscerli è il primo passo per superarli.

Quali tipi di comportamenti di evitamento esistono?

Lo psicologo Matthew McKay ha descritto cinque tipi di comportamenti evitanti:

1. Evitamento situazionale

Questo è il tipo più comune di evasione in quanto ci fa sentire più sicuri. Fondamentalmente, consiste nello stare fisicamente lontano da persone, luoghi, cose o attività che ci minacciano.

Questo tipo di comportamento evitante si manifesta nel disturbo da stress post-traumatico e nelle fobie. Se una persona è claustrofobica, ad esempio, eviterà gli spazi chiusi. Il problema è che, in questo modo, è possibile che finisca per limitare sempre di più la propria zona di comfort, vivendo in uno spazio che viene via via ridotto dalla paura.

2. Evitamento cognitivo

Questo tipo di evasione avviene internamente e tutti noi, prima o poi, vi abbiamo fatto ricorso. L’evitamento cognitivo è la rimozione attiva di pensieri o ricordi angoscianti dalla mente. Lo mettiamo in pratica ogni volta che ci diciamo: “non pensarci”.

L’evitamento cognitivo si manifesta anche quando ci distraiamo per evitare di pensare a un problema, sogniamo ad occhi aperti per evitare di affrontare una determinata situazione o ci rivolgiamo all’alcol, al cibo o persino alle droghe per evitare di pensare.

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Ovviamente, in alcuni casi distrarsi e fermare i pensieri ruminanti è conveniente per evitare di cadere in uno stato di preoccupazione cronica. Ma se ci impegniamo in comportamenti evitanti disadattivi o evitiamo di cercare soluzioni, è probabile che il problema continui a crescere a dismisura.

3. Evitamento protettivo

L’evitamento protettivo si riferisce a quelle azioni che ci aiutano a sentirci più sicuri internamente. Comprende tutti quei rituali che trasmettono tranquillità, fiducia e sicurezza, che si attivano di fronte a una minaccia, sebbene siano generalmente un modo per prevenire il rischio.

Può trattarsi di indossare dei portafortuna, ma anche di routine di pulizia o del semplice fatto di controllare più volte la serratura. Infatti, questo tipo di comportamento evitante è strettamente correlato al perfezionismo ed è alla base del disturbo ossessivo-compulsivo.

4. Evitamento somatico

L’evitamento somatico si verifica quando cerchiamo di allontanarci da situazioni che causano una risposta fisica simile all’ansia o allo stress. Quando una situazione scatena un attacco di panico, è probabile che finiamo per evitarla in futuro per prevenire sintomi fisici come palpitazioni, vertigini, problemi respiratori…

Il problema è che molte volte questo comportamento di evitamento si estende ad altre situazioni che non sono pericolose ma che generano risposte fisiche simili, come situazioni eccitanti o incerte, che possono finire per limitare notevolmente le nostre vite.

5. Evitamento sostitutivo

L’evitamento sostitutivo può verificarsi sia mentalmente che comportamentalmente, sebbene in entrambi i casi si tratti di sostituire ciò che vogliamo evitare con qualcosa che possiamo gestire meglio. Nella sfera emotiva, ad esempio, potremmo sostituire l’invidia con la rabbia perché la consideriamo più accettabile e possiamo affrontarla meglio.

Internamente, è come sostituire certi sentimenti, come la tristezza o il dolore, con qualcosa di più accettabile, come la rabbia. A livello comportamentale, potremmo provare ad affrontare il dolore emotivo ricorrendo al cibo, ai social network o al gioco, che diventerebbe un modo disadattivo di gestire le emozioni.

In sintesi, queste strategie di coping evitanti possono darci un attimo di respiro, ma a lungo andare ci impediscono di affrontare il problema, quindi è facile che continui a crescere, generando sempre più tensione e ansia, facendoci precipitare in una spirale negativa.

Per questo motivo, sebbene in alcune circostanze i comportamenti evitanti possano essere una buona scelta, non sempre possiamo ricorrere ad essi. È necessario decidere consapevolmente, valutando sempre i pro ei contro. In questo modo non ci limiteremo a reagire, ma riusciremo ad assumere il controllo della nostra vita.

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Redazione MusaNews
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