Il prigioniero di Azkaban
e Il calice di fuoco, rispettivamente terzo e quarto romanzo della saga di Harry Potter, tornano lunedì 23 e martedì 24 marzo in prima serata su Italia 1 per la consueta maratona annuale del maghetto, quest’anno posticipata in primavera (rispetto alla solita collocazione nei palinsesti natalizi).
Al di là del boom di ascolti dei primi due capitoli della settimana scorsa (3 milioni di telespettatori, e 14,2% di share per La pietra filosofale e 4 milioni e 16.43% di share per La camera dei segreti), oggi per i fan di Daniel Radcliffe è una giornata di festa. Perché su Amazon arriva Guns Akimbo, film presentato al Toronto International Film Festival. In cui l’attore londinese è un programmatore di videogame protagonista di una folle avventura. Fin qui niente di sconcertante, tranne un dettaglio: una mattina si sveglia con due pistole impiantate chirurgicamente sulle mani.
Il prigioniero di Azkaban
Tornando però ad Hogwarts, va detto che il terzo e quarto film non potrebbero essere più diversi tra loro. Innanzitutto per il regista: Il prigioniero di Azkaban, probabilmente il più dark tra gli adattamenti cinematografici, è stato diretto dal messicano Alfonso Cuaròn, Oscar per Gravity (regia e montaggio) e Roma (regia e fotografia). Con Alfonso, l’impronta visiva molto forte data Chris Columbus – attraverso dettagli iconici dei piccoli maghi e streghe, dai celebri cappelli a punta sulle divise scolastiche agli accessori del quidditch regista dei primi due capitolo della saga – diventa marginale.
I ragazzi indossano spesso abiti “borghesi” e l’identità magica resta salda solo quando sfoderano la bacchetta, per il resto sembrano adolescenti come tanti in un collegio privata. In jeans e maglietta si aggirano nei paraggi della scuola intenti a salvare l’Ippogrifo Fierobecco, con qualche tocco d’astuzia. Chi non ha letto il libro può perdersi molto, soprattutto sui “malandrini” che hanno creato l’omonima mappa e sulla figura dell’animagus, ossia un mago o strega capace di assumere le sembianze di un animale.
Proprio per queste peculiarità Il prigioniero di Azkaban polarizza le reazioni dei potterhead (i fan di Harry Potter) che lo amano alla follia o lo tollerano a stento.
Harry Potter e il calice di fuoco
Tutta un’altra storia, invece, per Il calice di fuoco, firmato da Mike Nevell, il primo britannico dietro la macchina da presa della saga. Per sua natura, questo capitolo è grandioso in ogni suo aspetto: inaugura nuove declinazioni della magia, mettendo Hogwarts a confronto con le altre scuole europee nel famoso Torneo Tremaghi. Il confronto del diverso, sempre molto presente nel franchise, qui è evidente e spiazzante al tempo stesso. Il “wizarding world” continua a prendere forma utilizzando a mani basse le metafore sportive. E forse per la prima volta il giovane Harry si ritrova ad essere guardato con sospetto dai compagni di scuola. Non solo dai Serpeverde, sia chiaro, ma da tutti quelli che lo accusano di aver truccato il calice di fuoco per inserire truffaldinamente il suo nome tra quello dei campioni sfidanti.
L’adolescenza – anche con mantello e bacchetta – è dura per tutti. Il prigioniero di Azkaban è il classico rito di passaggio che ogni serie deve prima o poi subire. In alcuni casi è stato necessario e doloroso: la scomparsa di Richard Harris, il primo attore ad interpretare il preside Albus Silente, ha portato un nuovo volto a capo della scuola, Michael Gambon (che poi nella saga prequel è interpretato da Jude Law). Cambia la bacchetta di Harry e viene spostato il Platano Picchiatore, per esempio. Rispetto poi ai film precedenti spariscono dettagli e due figure che saranno cruciali nel capitolo successivo, Cho Chang (primo amore di Harry) e Cedric Diggory, rappresentante di Hogwarts al Torneo (interpretato da Robert Pattinson, molto prima di Twilight).
I produttori hanno sempre dichiarato che per concentrarsi sul percorso di Harry sono state sacrificate molte storyline, a partire da quelle dei suoi migliori amici Ron ed Hermione. E lo si capisce molto bene nel quarto film, dove non si fa alcun accenno al CREPA, l’associazione fondata dalla ragazza a tutela degli elfi domestici. Una delle perdite più dolorose per la saga è proprio la morte di Dobby, che muore da elfo libero e da amico di Harry Potter, una metafora potentissima sull’uguaglianza dei diritti e sul rispetto universale.
Lei, “sangue sporco” o mezzosangue, è figlia di babbani, eppure diventa la strega più in gamba della scuola, battendo persino i purosangue: le discriminazioni, infatti, sono descritte nei film e nei libri con grande delicatezza e fermezza.
I set
Entrambi i film furono girati ai Leveasden Studios, poco fuori Londra, che oggi ospitano anche il WB Studio Tour London – The Making of Harry Potter, una finestra sul dietro le quinte dei set. Attualmente ha sospeso le visite per via dell’emergenza sanitaria, come anche i parchi a tema negli Universal Studios, a partire dal maggiore a Orlando, in Florida, con due zone, Diagon Alley e Hogwarts collegate dall’Hogwarts Express, fino a quello di Hollywood a Los Angeles.
Gli studi cinematografici ricreano gli interni degli ambienti della scuola, delle case magiche (da quella dei Weasley a quella dei Malfoy), della Banca Gringott – con tanto di drago – oltre ai negozi di Hogsmeade, da Mielandia a I tre manici di scopa, e di Diagon Alley, da Olivander al Paiolo magico. Non si tratta, come spesso accade, di un muro finto che dietro nasconde cavi e travi in costruzione, ma di ambienti interi costruiti e preservati, per tutelare un patrimonio magico.
La dovizia di particolari nel ricreare i racconti di J.K. Rowling ha richiesto un impegno tale da aver attirato nella capitale britannica i maggiori talenti. Il loro lavoro non è stato disperso alla fine dell’ultimo ciak, anzi passeggiando per il tour degli studi si ha l’idea di essere immersi non in un “museo vivente o interattivo” ma in un nuovo mondo. Magico, of course.
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