Se anche Johnny Depp ha deciso di uscire dalla sua torre d’avorio e aprire un profilo Instagram vuol dire che la solitudine in cui ci ha gettato questo virus crudele è veramente difficile da superare.
Il re dei pirati ci ha offerto un monologo mesto invitandoci alla solidarietà e all’empatia globale, parlando da una specie di caverna illuminata da scenografiche candele, forse l’angolo bar della sua villa da star, ma una cosa è certa: “anche i ricchi piangono”.
Magari è più facile essere tristi in una location da sogno che in un monolocale di periferia, ma nessuno è esente dalle conseguenze dell’isolamento forzato che sta facendo esercitare gli studiosi comportamentali alla ricerca di soluzioni per il day-after.
Un “dopo” ancora difficile da individuare, perché può facilmente tornare indietro e ridiventare un “prima”, almeno finché non ci sarà un vaccino a scongiurare nuove ondate di epidemia.
Non l’avremmo mai immaginato ma ci manca la fisicità, il contatto con i corpi degli altri, che una volta ci dava anche un po’ fastidio.
Ora rimpiangiamo i locali affollati, le piazze piene e persino le spiagge invase dagli ombrelloni, in cui si faceva fatica a trovare un metro di arenile libero per stendere l’asciugamano.
E si tramandano tra amici questi ricordi di promiscuità fisica come chimere lontane: «Ti ricordi quando dovevamo prenotare al ristorante per trovare un tavolo libero?».
Sogniamo la notte i concerti di Vasco Rossi con sessantamila persone ammassate e felici e ci svegliamo di soprassalto guardando lo schermo del nostro computer diviso in tanti quadratini minuscoli dove eroici musi- cisti suonano all’unisono lo stesso brano senza steccare una nota.
Con tutta l’ammirazione che suscitano le novità tecnologiche come lo smart working e la scuola on-line, non si può che provare nostalgia per gli uffici fantozziani con le poltrone in pelle umana dei super-direttori e le aule da libro Cuore dove venivi “fisicamente” confinato per punizione dietro alla lavagna.
In attesa di riprendere contatto con i nostri simili e per non perdere il desiderio di questa gioiosa promiscuità, vi consiglio quindi il ripasso di tutta l’esilarante saga di Fantozzi, magari alternandola – per creare un giusto contrappeso emotivo – con il lacrimoso Cuore di De Amicis.
Il ciclo, però, va concluso con la riscoperta del classico Pinocchio: se è riuscito un burattino di legno a diventare un bambino in carne e ossa, noi riusciremo sicuramente a tornare umani.
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