Afantasia: la condizione che impedisce di immaginare e sognare

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Il profumo di una torta appena sfornata. Il visione del vecchio mobile a casa della nonna. La sensazione della brezza primaverile di una mattina in riva al mare. La nostra mente è capace di portarci lontano anche quando rimaniamo fermi nello stesso luogo. Quante volte ci capita di perderci nei nostri pensieri e nei ricordi del passato? Quando succede ci estraniamo dalla realtà che ci circonda, dimentichiamo tutto quello che c’è davanti ai nostri occhi e veniamo catapultati in momenti già vissuti oppure in un futuro ideale che ci piace sognare.

Tuttavia, non tutti hanno questa capacità di immaginazione e non si tratta di semplice pragmatismo o mancanza di creatività. È una vera e propria condizione psichica, detta “afantasia“.

Che cosa s’intende per “afantasia”

Nel IV secolo a.C., Aristotele definì la “fantasia” come il potere dell’immaginazione. Essere fantasiosi significa riuscire a immaginare davanti ai propri occhi situazioni, persone e cose che, in realtà, hanno sede solo nella nostra mente. Al tempo stesso, grazie alla fantasia si possono richiamare alla mente non soltanto immagini visive, ma anche odori, sapori, suoni e le diverse percezioni relative al tatto.

Il contrario di questa capacità mentale, però, prende un nome ben preciso, quello di afantasia. Con questo termine s’indica quella condizione neurologica per cui un individuo non riesce a visualizzare nessuna immagine mentale, come se l’occhio della mente fosse cieco. Gli scienziati hanno notato come questo disturbo colpisca il 3% della popolazione, manifestandosi soprattutto come incapacità di trattenere delle immagini visive nella memoria e per questo viene definito anche “cecità psichica“.

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Afantasia© Getty Images

Alla scoperta di questa condizione

Benché i casi di afantasia non siano rarissimi, per molti anni tale disturbo del cervello è rimasto nell’oblio. Infatti, il primo che cercò di portarlo all’attenzione di tutti fu Francis Galton con uno studio in cui si fusero empirismo e serendipità. L’intellettuale dell’epoca vittoriana aprì un sondaggio in cui chiedeva a parecchi nobiluomini inglesi di immaginare la propria colazione e di descrivere al meglio delle loro capacità la scena che si presentava nella loro mente. Tra numerosi refrattari e diversi accondiscendenti, Galton notò che alcuni dei suoi conoscenti avevano fornito un’immagine sbiadita e poco dettagliata, nonostante lo sforzo di riportare alla mente il loro pasto abitudinale di prima mattina.

Purtroppo lo studio di Galton venne dimenticato per molti anni, comprese le sue conclusioni, che già indicavano come l’immaginazione visiva non fosse unica, ma che presentasse una gamma molto più ampia e vasta, ancora da esplorare. Il suo articolo è tornato alla luce e all’attenzione della comunità scientifica solo di recente. In particolare, nel 2016 il dottor Adam Zeman, psicologo cognitivo dell’Università di Exeter, ha coniato in modo definitivo il termine “afantasia”. Da allora sono iniziate con costanza molteplici ricerche sulle cause di questa condizione e sugli effetti che presenta nella vita quotidiana di chi ne è affetto.

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Afantasia© Getty Images

Quali sono le cause dell’afantasia

Gli studi dell’Università di Exeter e di Adam Zeman si sono concentrati molto sulle cause che portano a questa mancanza di fantasia. Ne è emerso che alcune persone soffrono di afantasia per motivi congeniti, altre a causa di una malattia o patologie pregresse e altre ancora l’hanno sviluppata in seguito a interventi chirurgici. Pare che ci siano dei legami con altre condizioni neurologiche, come la sinestesia, ovvero la confusione della percezione sensoriale degli stimoli, e la prosopagnosia, un deficit del sistema nervoso che rende difficilie riconoscere i tratti d’insieme dei volti delle persone.

Quindi, proprio perché non si riesce a rintracciare una sola causa che possa spiegare questo disturbo, i ricercatori hanno indagato su che cosa accada nel cervello di chi è affetto da afantasia. Sembra che tale cecità psichica sarebbe da collegare all’incapacità del sistema cerebrale di costruire modelli associativi legati a ciò che si vede. In genere, ogni stimolo visivo, ma anche ogni stimolo derivato dagli altri quattro sensi di percezione, ha un impatto sul cervello e lascia su di esso “un’impronta“. Quando vogliamo ricordare qualcosa, andiamo a riscoprire quel segno lasciato nella nostra mente e lo riportiamo alla luce. Nel cervello delle persone con afantasia tutto questo non succede e, quindi, viene compromessa non solo la capacità dell’immaginazione, ma anche la creatività, la memoria o l’atto di sognare.

 

Afantasia© Getty Images

Convivere con questa cecità psichica

Prima della riscoperta dello studio di psicologia di Galton e la nuova ricerca portata avanti da Adam Zeman, l’afantasia, oltre a non possedere neanche un vero e proprio nome, non veniva presa in considerazione dagli esperti. Tutto ciò fa capire come le persone che ne soffrono possano condurre una vita pressoché normale se non in quei momenti in cui è chiesto loro di utilizzare facoltà mentali ben precise legate, appunto, all’immaginazione, creatività e fantasia. Di solito sperimentano una situazione di malessere quando viene chiesto loro di ricordare volti di individui che conoscono ma che non sono presenti accanto a loro o in occasioni simili.


Inoltre, una ripercussione dell’afantasia si vede sulla memorizzazione e sulla capacità di sognare. Mentre una persona dotata di fantasia può sfuggire dalla realtà che la circonda rifugiandosi semplicemente nella propria mente e vive di notte quel fenomeno affascinante che sono i sogni, gli afantasiosi non riescono e non possono costruirsi quell’esperienza mentale.

 

Afantasia© Getty Images

Esistono dei rimedi all’afantasia?

Al momento la ricerca è ancora in fieri e non esiste un trattamento per l’afantasia. Le testimonianze di chi ne soffre dimostrano come questo deficit non comprometta in modo serio o grave la vita di chi ne soffre, ma, comunque, queste persone sentono che manca loro qualcosa. Speriamo che la scienza e la psicologia possano fare dei passi avanti in questo senso.

Fonte articolo: Alfemminile

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Redazione MusaNews
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