La storia si ripete: mezze verità, pandemie e vite perse

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influenza spagnola

Si dice che la storia
sia ciclica. Che finché non impariamo dai nostri errori, dovremo affrontare gli
stessi problemi, inciampare sulla stessa pietra, continuamente. Perché ogni
problema, sebbene fonte di angoscia, è anche un’opportunità per correggere i
nostri errori e crescere.

In questi ultimi tempi,
c’è una storia che ritorna dal passato assumendo particolare rilevanza. È molto
più che la storia di una pandemia, è la storia della verità – o piuttosto dell’occultamento
della verità e delle sue conseguenze. È la storia di mezze verità, dell’indolenza,
del voler chiudere gli occhi o nascondere il sole con un dito. È la storia che
conferma che “La peggiore verità
costa solo un grande dolore, ma la migliore menzogna costa molti piccoli fastidi
e alla fine un enorme dolore”,
come scrisse Jacinto Benavente.

Il passato ritorna nei panni del coronavirus

Tutto ebbe inizio il 4
marzo 1918, quando Albert Gitchel, cuoco a Camp
Fuston
nel Kansas, iniziò ad avere tosse, febbre e mal di testa. Il suo fu
uno dei primi casi della cosiddetta influenza spagnola. In sole tre settimane,
1.100 soldati erano già stati ricoverati in ospedale e altre migliaia erano
stati contagiati.

Tuttavia, dal momento
che gli Stati Uniti si erano completamente mobilitati per la Prima Guerra Mondiale,
le autorità non vollero creare panico, ma decisero di proseguire con i piani di
guerra. Ciò che iniziò dapprima cirscoscritto ai campi dell’esercito, dove il
25% dei soldati si ammalò, in seguito si diffuse rapidamente alla popolazione
civile.

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Un medico in un campo
dell’esercito americano scrisse: “Questi
uomini iniziano con quello che sembra essere un normale attacco di bronchite o
influenza, ma quando vengono portati in ospedale, sviluppano molto rapidamente
il tipo più vizioso di polmonite che abbia mai visto … In poche ore
sopraggiunge la morte … È orribile. Si può sopportare di vedere morire uno,
due o venti uomini, ma non vedere questi poveri diavoli cadere come mosche …
Abbiamo registrato una media di oltre 100 morti al giorno … Abbiamo perso un
numero scandaloso di infermieri e medici.”

Ma la terribile
esperienza che i dottori stavano vivendo sul campo non ebbe un’eco nella
società. Nel resto dei paesi in guerra, la stampa seguiva il gioco alla
politica, astenendosi dal denunciare la diffusione dell’infezione. Negli Stati
Uniti venne addirittura approvata una legge che puniva con 20 anni di
reclusione chi venisse ritenuto colpevole di: “Pronunciare, stampare, scrivere o pubblicare qualsiasi linguaggio
sleale, profano, scandaloso o offensivo nei confronti del governo degli Stati
Uniti”.
Questo significava che una persona poteva andare in prigione
per aver semplicemente criticato il governo, anche se ciò che diceva era vero,
come sottolinearono i ricercatori del Washington Institute of
Medicine
.

Philidelphia fu l’esempio
di tutto ciò che poteva essere fatto male e del terribile costo delle menzogne
– o mezze verità. Nonostante il fatto che l’influenza avesse già iniziato a
diffondersi in città a metà settembre, Wilmer Krusen, l’allora direttore della
sanità pubblica di Filadelfia, assicurò che non c’era nulla di cui
preoccuparsi. Dichiarò che “Avrebbe
circoscritto questa malattia nei suoi limiti attuali”
e che “Siamo sicuri che ci riusciremo”.
Quando ci furono i primi decessi, li minimizzò dicendo che si trattava di “semplice influenza” o di una “vecchia influenza”, disse che
non si trattava in nessun modo dell’influenza spagnola. Un altro funzionario
sanitario della città dichiarò: “D’ora
in poi, la malattia diminuirà”,
secondo lo Smithsonian.

Dato che “non stava
succedendo nulla”, la parata
Liberty Loan
prevista per il 28 settembre si svolse normalmente. Questa
parata avrebbe raccolto milioni di dollari in titoli di guerra. Tuttavia, tre
giorni dopo iniziò ad arrivare il conto per la lunga e affollata processione
alla quale parteciparono almeno 200.000 persone: i 31 ospedali di Filadelfia
collassarono e alla fine della settimana erano morte 2.600 persone.

Parata Liberty Loan a Filadelfia

Altre città seguirono
quel modus operandi. Mentre a Chicago
il tasso di mortalità in un solo ospedale raggiunse quasi il 40%, le persone
continuarono ad affollare i mezzi pubblici e il personale sanitario si
contagiava perché non poteva prendere misure precauzionali, il commissario per
la sanità pubblica della città proclamò: “La
preoccupazione uccide più persone dell’epidemia”.
Quello era il
sentimento e la reazione politica generale.

Fortunatamente, non tutte
le autorità reagirono allo stesso modo. St. Luis, ad esempio, informò la
popolazione anche prima che si verificassero i primi casi in città e non appena
rilevarono il primo focolaio, adottarono misure d’isolamento. Come risultato, a
Filadelfia i decessi settimanali ammontavano a 748 ogni 100.000 abitanti mentre
a St. Louis erano solo 358, meno della metà, come riportato dal National
Geographic
.

Il problema fu
ulteriormente aggravato dal fatto che “Diverse
autorità sanitarie locali si rifiutarono di rivelare il numero delle persone
contagiate e dei morti. Di conseguenza, fu molto difficile valutare l’impatto
della malattia in quel momento”,
secondo i ricercatori dell’Università di
Genova
. Ciò rese impossibile fare stime precise a livello epidemiologico e,
naturalmente, adottare misure più efficaci per contenere il contagio e ridurre
il numero dei decessi.

Cronaca di un disastro non annunciato

L’obiettivo principale di
questa assurdità era evitare che la popolazione si allarmasse poiché soffrivano
già molte privazioni causate dalla prima guerra mondiale, nonché mantenere alto
il morale in modo da poter continuare a combattere.

Forse, nel fondo, quei
governanti che dovevano prendere decisioni per decine di migliaia di altre
persone pensavano che “non sarebbe stato così grave”. Chiusero gli
occhi sui dati e diventarono sordi alle lamentele dei medici con la segreta
illusione che tutto sarebbe passato. Ma non fu così. Perché chiudere gli occhi
sulla realtà non la fa scomparire. E prima o poi le conseguenze ci colpiranno
con tutta la loro durezza.

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“La combinazione di rigido controllo e disprezzo per
la verità ebbe delle conseguenze pericolose”,
come indicarono gli storici. Ignorare il rischio o
mettere altri interessi prima della salute generale portò a prendere decisioni
tardive e sbagliate. Le menzogne, le invenzioni e la minimizzazione di ciò che
stava accadendo da parte di molti funzionari pubblici che usavano i media per
disinformare, finirono per distruggere la credibilità delle autorità.

Il risultato fu che ci
fu una terribile disconnessione e mancanza di fiducia. La gente sentiva di non avere nessuno a cui rivolgersi e di cui
fidarsi.
Più tardi, quando le misure di contenimento entrarono in vigore,
molti cittadini ordinari si rifiutarono di prestare attenzione agli esperti,
che ormai avevano perso ogni credibilità perché era diventato impossibile
distinguere tra verità e menzogna.

Ovviamente, non informare
bene la popolazione servì solo a posticipare l’allarme, che si scatenò comunque
quando le notizie del numero dei malati e delle morti iniziarono a diffondersi
con il passaparola, quando le morti non erano più una fredda cifra lontana
pubblicata su un quotidiano, ma la morte stessa bussava alla porta della propria
casa o a quella del vicino. Quella cattiva gestione, aggiunta ad un’inadeguata
infrastruttura di sanità pubblica e alla limitata conoscenza scientifica dell’epoca,
finì per causare oltre 500 milioni di contagi in tutto il mondo e la morte di
oltre 50 milioni di persone.

La verità, se non è completa, diventa alleata della
menzogna

Serenità e fiducia sono
i due blocchi che ci impediscono di superare la linea sottile tra la dura
verità e il panico allarmista. Quando si tenta di nascondere la verità sotto un
velo fittizio ed edulcorato, la serenità e la fiducia si trasformano in caos ed
incredulità. E questo non è mai buono. Né a livello personale, né a livello
sociale.

È vero che non tutti
abbiamo gli stessi strumenti psicologici per affrontare una verità difficile,
ma tutti dobbiamo avere l’opportunità di prepararci in tempo per affrontare
quella realtà, nel miglior modo possibile. Dobbiamo passare dallo stato di
shock iniziale a uno stato di adattamento il più presto possibile. Ma se non sappiamo cosa stiamo affrontando,
passeremo da uno shock all’altro
, senza mai essere in grado di raggiungere
quel livello di preparazione che ci da il necessario equilibrio per affrontare
la tempesta.

Non c’è dubbio che per
resistere a un’epidemia abbiamo bisogno di un’iniezione continua di ottimismo.
Dobbiamo sapere che, sebbene le cose vadano male, ad un certo punto andranno
meglio. La speranza è ciò che ci da la
forza di continuare a lottare
. Ma la speranza non può basarsi su false
illusioni o menzogne compassionevoli perché prima o poi si trasformerà in
rabbia e frustrazione.

Abbiamo anche bisogno di
segnali concreti rispetto a ciò che accadrà – o cosa potrebbe accadere. Abbiamo bisogno di prepararci psicologicamente.
Precluderci questa possibilità – con l’imperdonabile scusa di proteggerci
psicologicamente – non ha alcun senso.

Nei momenti d’incertezza, quando non esiste un percorso
chiaro, la trasparenza e la fiducia diventano le nostre bussole.
Togliercele può implicare una condanna, letteralmente e
metaforicamente. Perché, come diceva Lope de Vega, “Nessuno può allontanarsi dalla verità senza farsi male”.
E forse questa è una lezione che alcuni hanno dimenticato.

Fonti:

Martini,
M. et. Al. (2019) The Spanish Influenza Pandemic: a lesson from history 100
years after 1918. J Prev Med Hyg; 60(1):
E64–E67.

Aligne,
C. A. (2016) Overcrowding and Mortality During the Influenza Pandemic of 1918. Am
J Public Health; 106(4): 642-644.


Stacey,
L. et. Al. (2005) The Threat of Pandemic Influenza
. Are We Ready? Washington, DC: The National Academies
Press.

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