“Hunger Games” stasera su Italia 1: perchè Katniss resta ancora un’eroina femminista

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Katniss Everdeen

– la ragazza di fuoco – torna a bruciare. Già. Perché da stasera su Italia 1 comincia la maratona di Hunger Games, trilogia distopica da oltre 100 milioni di copie scritta da Suzanne Collins trasformata in quattro film (3 miliardi di incassi).

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In tempi bui come questi, l’immersione in questo futuro disturbante può essere catartica e per vari motivi. Non a caso la scrittrice ha annunciato l’uscita in contemporanea mondiale il 19 maggio del romanzo prequel, Ballata dell’usignolo e del serpente, ambientato 64 anni prima degli eventi già noti al pubblico. Un nuovo capitolo che infiammerà sicuramente ancora di più gli animi perché esplora le radici del Male incarnato nella vicenda dal Presidente Corionalus Snow (nei film interpretato da Donald Sutherland), a capo della fittizia nazione di Panem.

La trama

Futuro indefinito. Regno di Panem. Costituito da Capitol City e da tredici Distretti, attualmente ridotti a dodici dopo una guerra intestina. Da allora si svolge ogni anno una macabra celebrazione, gli Hunger Games (“giochi della fame”): in un’Arena infernale due Tributi, un maschio e una femmina tra i 12 e i 18 anni, vengono estratti a sorte da ogni zona e messi a combattere per la sopravvivenza. L’unico vincitore assicura benessere a se stesso, alla famiglia e al distretto. Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence) viene dall’area dei minatori, il Distretto 12, il più povero di tutti e da quando il padre è saltato in aria in miniera si occupa – seppur adolescente – della madre e della sorellina Prim.

Va illegalmente a caccia con il miglior amico Gale (Liam Hemsworth) nei boschi per procacciarsi il cibo, ma la vera ribellione verso l’oppressione e la tirannia del Presidente Snow arriva solo dopo e suo malgrado. Si offre infatti volontaria per partecipare ai giochi al posto di Prim e viene spedita nella Capitale assieme a Peeta (Josh Hutcherson), il figlio del panettiere locale che un tempo le aveva salvato la vita. Diventa così simbolo di speranza per gli oppressi con l’appellativo di Ragazza di Fuoco (nickname coniato dal suo stilista Cinna, al secolo Lenny Kravitz) e Ghiandaia imitatrice (dalla spilla indossata nei giochi e nella versione letteraria regalo della figlia del sindaco, Madge). Il suo spirito indomito ispira gli abitanti del Paese ad unirsi contro la tirannia e reclamare la propria libertà.

Girl power

I film hanno amplificato il messaggio politico e sociale dei libri a partire dal casting. Katniss, nell’immaginario dei romanzi, è un’adolescente minuta e quasi rachitica perché vive di stenti mentre la scelta di Jennifer Lawrence lancia un’idea forte e chiara. Per incarnare un personaggio e un ideale conta lo spirito e non la fisicità. E infatti quando le hanno chiesto più volte di dimagrire, lei si è sempre rifiutata, perfino per la muta da surf richiesta nel secondo film, tutto girato in un ambiente marino. Quei chili in più non hanno tolto nulla all’interpretazione di Jennifer, semmai ne hanno rafforzato il carattere ribelle.

Vale lo stesso per il coprotagonista, Josh Hutcherson: basta vederlo accanto a Liam Hemsworth, il fratellino di Chris “Thor”, per notare i 21 centimetri di differenza tra loro. Nel libro viene descritto come un ragazzo dalle spalle larghe, corpulento e forte, capace di sollevare chili e chili di sacchi di farina, ma nella trasposizione su grande schermo anche la Lawrence è più alta di lui. Eppure riesce a dare vita alla perfezione alla sensibilità romantica e alla bontà di Peeta, dimostrando ancora una volta l’insensatezza di alcuni stereotipi.

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Bastano questi due esempi per capire la natura potente degli ideali lanciati da questi due antidivi: abbracciare la propria unicità e trasformare le debolezze in punti di forza.

Katniss Hunger games

Katniss, la leader che vorremmo

Ecco perché quando il pubblico vede Jennifer nei panni di Katniss, mentre scocca frecce con il suo arco gigante, si fida di lei, anzi fa il tifo per lei e si lascia ispirare. Trova molti alleati, sponsor e sostenitori, ma nessun salvatore: lei vuole rimettersi in piedi da sola e detesta quando qualcun altro nel tentativo di proteggerla le nasconde la verità o parla al suo posto. Fin da ragazzina è stata l’adulta di casa, quella responsabile e solida che non può permettersi cedimenti. Il che, ovviamente, visto gli orrori che ha passato, le ha portato un disturbo da stress post-traumatico capace di farle venire gli incubi.

In quel caso chiede conforto a Peeta, ad esempio, ma in un rapporto alla pari. Non sa decifrare i sentimenti che prova nei suoi confronti, ma non usa mai armi di seduzione. Anzi cede alle emozioni e lo bacia solo quando lui ha bisogno del suo aiuto, quando sta soffrendo. E fa lo stesso con il miglior amico Gale. Questo triangolo amoroso sentimentale non la rende debole, ma semplicemente umana.

Compie scelte anche impopolari: non vuole sposare né avere figli perché non intende far provare a qualcun altro gli orrori delle ingiustizie a cui Panem l’ha sottoposta e non vuole mettere in pericolo nessun altro. Basta guardare Joanna, un’altra vincitrice degli Hunger Games: lei non ha nulla da perdere e quindi è in pratica invulnerabile. E Katniss pensa lo stesso: gli affetti a cui è legata espongono tutti al pericolo e lei è disposta a morire pur di proteggerli.

Non lo fa come una Wonder Woman con poteri eccezionali, sente in effetti di non aver altra scelta e questa totale abnegazione di sé la rende la leader perfetta. Lei non vuole il potere, ecco perché ne è degna e il popolo la segue come la Ghiandaia imitatrice, un simbolo di rettitudine e coraggio.

Una donna al comando

È donna la scrittrice, donna il personaggio principale e quindi donna la sua interprete. Chi mai avrebbe puntato su un blockbuster al femminile? Grazie a questo salto nel buio sono arrivate poi altre eroine molto amate, tra cui Tris di Divergent (al secolo Shailene Woodley, un’altra it-girl di Hollywood). Per non parlare di quelle dotate di super poteri, inclusa Captain Marvel. Ma nel frattempo il sentire comune è cambiato, c’è stato il #Metoo ed è arrivata l’ora del Time’s Up. Un decennio fa nulla sembrava più lontano dalla cima del boxoffice, soprattutto nel caso di un teen action dove i bambini si ammazzano brutalmente in un reality senza esclusione di colpi.

Katniss non ha bisogno di un uomo per essere definita. Perché la vita non le ha concesso il lusso di fare affidamento su un compagno per la sopravvivenza. Anche l’amicizia con Gale nasce da uno stato di necessità, non da uno slancio di socializzazione. È uno spirito pratico e concreto, che non si è fermata mai un secondo a sognare qualcosa. Ha reagito alle sfide della vita al meglio delle sue possibilità, venendo a patti con la crudeltà che le veniva richiesto. Ne porta ancora le ferite perché salvarsi la pelle a scapito di qualcun altro ha sbriciolato la sua umanità. Spesso fa un macabro gioco, ripete a se stessa nomi e cognomi di chi ha perso la vita “a causa sua”. Anche se non è stata lei materialmente a togliergliela.

 

L’antidoto a questo elenco di morti è piuttosto semplice e si basa sulla gratitudine per quello che la vita le ha dato. Tutta la rabbia e tutto il rancore che ha sempre covato? Non svaniscono per magia con un lieto fine zuccheroso, ma trovano un modo di non prevalere sullo stato di serenità tanto difficilmente conquistato. Va bene anche sentirsi tristi, impotenti, frustrati. A patto di non lasciare che questi stati d’animo prendano il sopravvento e ci rendano peggiori o disumani. L’addio di Katniss non potrebbe essere più attuale e vero.

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