Come lo streetwear è entrato nella moda

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Nel 2019 uno studio di PwC e Hypebeast ha stimato che lo streetwear rappresenta circa il 10% dell’intero mercato globale di abiti e accessori. Il movimento non ha solo fatto sì che sneakers e felpe con il cappuccio arrivassero a muovere il mercato tanto quanto le it-bag, ma ha anche innescato un processo di “democratizzazione” della moda, mutando profondamente le dinamiche dei brand, dal design del prodotto fino ai tempi di rilascio delle collezioni. Ma cos’è lo streetwear? E da dove arriva?

Cos’è lo streetwear

Il dizionario Garzanti lo definisce come «stile di abbigliamento informale e giovanile, tipico dei ragazzi che praticano il rap, lo skate o la break dance (p.e. pantaloni larghi e calanti, cappellini, giubbotti gonfi)».

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Quando e come nasce

Dagli anni Settanta in poi la moda degli stilisti smette di essere l’unica moda possibile. Le subculture giovanili – dal glam rock all’hippy, fino ad arrivare alla più imitata, il punk – definiscono i loro codici di abbigliamento senza guardare ai suggerimenti dell’haute couture e del prêt-à-porter ma piuttosto prendendo spunto dall’ambiente in cui vivono. L’esempio più emblematico è proprio il punk, violento e libero da ogni convenzione, che si trasforma in abiti rotti, stracciati, volutamente usurati.

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Lo streetwear è un’ulteriore evoluzione di questo concetto. Nasce in California tra le comunità di surfisti e skateboarder che prediligono abiti larghi e comodi abbinati alle sneakers e prende piede alla fine degli anni ’70 a New York grazie a un neonato movimento musicale, l’hip hop. Sono i Run DMC a definirlo per primi: tute in acetato con le strisce laterali, T-shirt a tinta unita, cappelli di feltro, collane d’oro con grandi ciondoli, sneakers. Esattamente i capi indossati dagli abitanti del Bronx.

Nel frattempo, nel 1984, Michael Jordan, ancora prima di diventare la star dei Chicago Bulls, firma un contratto con Nike per la realizzazione di una sua linea di sneakers destinata a diventare la più riconosciuta a livello globale: la Air Jordan.

I due padri fondatori: Shawn Stussy e James Jebbia

«Vestivo Stüssy dalla testa ai piedi tutti i giorni quando ero un teenager. Era qualcosa da cui ero davvero, davvero ossessionato», lo ha raccontato Kim Jones, direttore creativo di Dior Men in un’intervista che annuncia proprio la collaborazione tra la maison parigina e il brand che per primo ha reso lo streetwear uno stile ben riconosciuto. Shawn Stussy, classe 1954, inizia il suo percorso nei primi anni ’80 a Laguna Beach, in California, dove produce tavole da surf e T-shirt con il suo cognome stampato.

Nel 1984 nasce il logo, ancora oggi così riconoscibile e liberamente ispirato a quello di Chanel. Nel 1991 Stussy apre il suo primo negozio newyorkese insieme a James Jebbia, classe 1963 e futuro fondatore di Supreme. Comincia a espandersi in Europa grazie al sostegno di un altro protagonista di questo mondo, Luca Benini, fondatore del negozio Slam Jam. Prima di lasciare il suo brand, l’imprenditore dà il via a una caratteristica fondamentale dello streetwear, la collaborazione tra brand diversi, producendo una capsule collection insieme a Carhartt, marchio simbolo del workwear americano.

Nel 1994 Jebbia apre il primo negozio Supreme in Lafayette Street, sempre a New York. È pensato appositamente per gli skateboarder, con i prodotti sulle pareti laterali e un grande spazio al centro per girare liberamente con la tavola.


Negli anni 2000 Supreme apre a Los Angeles, Londra, Tokyo, Nagoya, Osaka e Fukoka. Vende capi d’abbigliamento, accessori e oggetti minimalisti, caratterizzati dal logo con il fondo rosso e leva su un concetto preciso: la scarsità del prodotto. La collezione infatti non è diffusa con ritmi stagionali, largamente utilizzati dai marchi di moda, ma è rilasciata a piccoli “drop” con cadenza settimanale. Da sempre l’appuntamento è il giovedì alle 11, orario di New York. Il successo del brand si fonda dunque sull’hype, l’esclusività di poter ottenere un oggetto costoso (ma soprattutto raro) facendo lunghissime file davanti al negozio o online. Sono tantissime anche le collaborazioni che negli anni hanno costellato la sua storia: dai grandi nomi dell’arte e della musica, come quelli di Damien Hirst e Neil Young, ai marchi più disparati, tra i quali Nike, Vans, The North Face, Playboy, Levi’s, Timberland, Stone Island e Louis Vuitton.

Un mercato fondamentale: il Giappone

Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 Hiroshi Fujiwara, dj e cultore dello streetwear americano, è il primo giapponese a entrare nella celebre International Stüssy Tribe e fonda il marchio GOODENOUGH. In Giappone arrivano dunque le prime influenze occidentali, da cui nasce il movimento Urahara, omonimo di un quartiere in cui il punk e l’hip hop hanno preso particolarmente piede. Un altro grande protagonista della scena è Tomoaki Nagao, meglio conosciuto come NIGO, già assistente di Fujiwara e fondatore del brand A Bathing Ape (BAPE). Ancora nel 1993 Fujiwara e NIGO aprono il celebre NOWHERE store. Nel 2001 la personalità di Fujiwara sarà consacrata da una collaborazione ancora oggi amatissima, quella con Nike. Oggi ha all’attivo il progetto The Pool Aoyama, un negozio posto negli spazi della piscina di un edificio privato a Tokyo.

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Il genio di Raf

Meglio conosciuto per il suo lavoro come head designer di Jil Sander, Dior e Calvin Klein (e da pochissimo come co-creative director di Prada), Raf Simons lancia nel 1995 la sua linea omonima e maschile: si tratta di una delle prime sperimentazioni tra streetwear e sartorialità. E forse una delle meglio riuscite.

Al suo interno si mixano la cultura della musica punk, le nozioni di design industriale, l’universo giovanile e underground e l’arte del Novecento. Un progetto di nicchia che resiste nel tempo e che non ha mai smesso di influenzare gli altri stilisti.

La rivoluzione di Virgil Abloh

C’è una data, anzi, un particolare avvenimento, che segna la presa di potere dello streetwear sulla moda ed è quella della collaborazione tra Louis Vuitton e Supreme, nel 2017: la mattina del lancio 7500 persone a Tokyo, 2000 a Londra e 1500 a Sydney si mettono in fila per acquistare i prodotti della collezione.

Alcuni prodotti della collaborazione tra Supreme e Louis Vuitton

Poco dopo, nel 2018, Virgil Abloh assume l’incarico di direttore creativo della linea maschile di Vuitton, sancendo definitivamente il successo di una nuova cultura che mixa street fashion e lusso. Abloh ha alle spalle una lunga collaborazione creativa con il rapper Kanye West, con il quale ha reso famosissimi i marchi Pyrex e Yeezy. Tutto questo prima del 2013, anno in cui fonda il suo Off-White, con produzione e sede a Milano e ora parte di Ngg-New guards group, a sua volta di proprietà Farfetch.

«Prendo quell’etichetta, streetwear, e la indosso come un distintivo. La rigetto come termine comune. È come se stessi cercando di definire cosa significhi questa parola nell’alta moda. Il mio obiettivo è fare entrambi». È in queste parole che si riassume il lavoro di Virgil Abloh: non uno stilista nel senso classico del termine, ma un direttore creativo capace di far dialogare al massimo la cultura dei giovanissimi con il mondo del lusso.

Virgil Abloh

E quella di Demna Gvasalia

Parallelamente al successo di Off-White cresce quello di Vêtements, brand-fenomeno nato da un’idea di Demna Gvasalia e del suo collettivo che ha debuttato a Parigi con la stagione autunno inverno 2014/2015. Torna il punk, dunque, visto dagli occhi di un seguace di Martin Margiela, e mescolato con le esigenze contemporanee delle tendenze orientate al prodotto e consumabili nell’immediato. Il successo del brand è così dilagante che nel 2017 Balenciaga vuole Gvasalia come direttore creativo.

La collezione primavera estate 2018 di Balenciaga

La classifica dei brand più streetwear secondo Hypebeast

  1. Supreme
  2. Nike
  3. Off-White
  4. adidas
  5. BAPE
  6. Stussy
  7. Palace
  8. Carhartt WP
  9. Vetements
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