“Vattene Amore/mio barbaro invasore/credi di no?/Sorridente truffatore.”
In questi giorni di 30 anni fa Vattene amore di Amedeo Minghi e Mietta raggiungeva il primo posto in classifica (ci sarebbe rimasto per 10 settimane in modo discontinuo). La terza canzone classificata a Sanremo 1990 – dopo i Pooh e Toto Cutugno – risultava dunque la più venduta. La vittoria vera. Del resto lo si era capito da subito che quel duetto non era semplicemente una canzonetta orecchiabile, ma un evento destinato, come si dice? “a rimanere” nella storia della musica (solo “leggera”, se volete). Dice Simone Lenzi nel libro Per il verso giusto che ogni canzone è una canzone d’amore, anche quelle che non lo dicono.
Orbene, tra quelle che lo dicono spudoratamente Vattene amore utilizza una quantità enorme di elementi rischiosi per assuefazione e usura, riuscendo tuttavia a descrivere un nuovo orizzonte. Alto ma anche colloquiale, vicino insomma alla realtà delle cose d’amore. Diciamo una terza via tra quelle che esplorano la situazione classica degli innamorati. Una specie di messa laica di archi in cui il testo dice esattamente quello che la musica suona. E lo dice come se l’avesse rubato dalle pagine di un diario segreto.
Trottolino amoroso e dudu dadadà
La forza del testo di Vattene amore, scritto da Minghi e Pasquale Panella – quest’ultimo il paroliere della fase post Mogol di Lucio Battisti – è la discesa dichiarata nell’ovvio, nell’apparato della confessione sdolcinata. Con l’invenzione di vezzeggiati che a fine storia diventeranno matematicamente degli insulti: i famigerati trottolino amoroso e dudu dadadà. E l’utilizzo del grandioso, affinché quel trottolino diventi patrimonio della galassia: per esempio la stellare guerra. Come è nell’ordine morale di una coppia, unità per cui l’esterno è solo a servizio dell’interno.
Ma la patina da buon mercato è solo apparente. Perché Vattene amore non è mica una farsa. Descrive l’andarivieni che fa il pensiero nella distanza e rivalutazione del rapporto. E alzi la mano chi non ne è stato vittima? Passando dal quotidiano all’urbano, dall’amore come barbaro invasore prima al nome di lui/lei oppure loro (per rispetto alla dottrina genderless) piazzato su un cartellone pubblicitario – come in un film in cui il protagonista è abbastanza allucinato da perdere il dato oggettivo. O perché no, sempre il nome che occupa lo spazio di Milano, Roma, Napoli.
Di nuovo mitomania quando il mondo che sa tutto di noi tramite il giornale, forse l’unico dato della canzone che ne indica l’età. Perché altrove sembra perfino una canzone preveggente. Cosa sono mai prima il gattino annaffiato e poi il gattone arruffato se non un’anticipazione perfetta dei gatti su Instagram? Dei gatti che in questi giorni si stanno ribellando ai padroni, improvvisamente in casa durante le ore diurne. E il tuo amore sarà un mese di siccità? Puro climate change che oggi alzerebbe strali di indignazione per la leggerezza del paragone con una situazione drammatica.
Ecco, tutto ciò è il genio di Panella. Che, riduttivamente, si tende a fossilizzare in “surreale”. Perché davvero mancano le categorie per incasellarlo, se non le solite. Mago dell’ambiguità, del discorso fratturato, dell’immagine sfumata oppure flagrante, il poeta e scrittore è una delle ragioni di tutto il livore che Vattene amore ha collezionato, immediatamente e lungo gli anni. Dai puristi delle lingua e anche dai colleghi cantanti a cui dispiacerebbe molto cantare trottolino amoroso – pare derivato dal farfallone amoroso de Le nozze di Figaro di Mozart – ma non di avere in repertorio un successo così clamoroso. Per mezzo 1990 al numero uno in staffetta con Vogue di Madonna e Nothing compares 2U di Sinead O’Connor.
«Una canzone fragile»
Giusto però per fare chiarezza, l’ultimo attacco a Vattene amore è avvenuto l’anno scorso alla trasmissione Ora o mai più. A proposito del duetto di Minghi con Annalisa Minetti. I giudizi? Per Red Grazian «una canzone leggera». Per Rettore «una menata». «Una canzone da bambini» per Ornella Vanoni. «Spero di essere in grado di scriverne un’altra con queste caratteristiche» la risposta di Amedeo Minghi. Quella di Mietta, per cui il successo di Vattene ha rappresentato più di un ostacolo per quanto ingombrante, è stata: «una canzone che mi rappresenta, ma ho fatto anche altro».
Composta per Mina e Ornella Vanoni, almeno così si dice, da cui forse il livore del giudizio espresso nella trasmissione condotta da Amadeus, Vattene amore diventa di Mietta dopo un provino. E sua è la parte vocale preponderante. Parodiata in innumerevoli occasioni, a 30 anni da quel debutto a Sanremo Vattene è tra le pietre miliari. Accanto a passerotto non andare via e buonanotte fiorellino. Nel reparto “oggetti scomodi ma quasi impossibile da canticchiare quando li si intercetta”. La stanza che vanta innumerevoli tentativi d’imitazione.
L’articolo “Vattene amore”, compie 30 anni la canzone tormentone di Amedeo Minghi e Mietta sembra essere il primo su iO Donna.