Un’italiana a New York: «La mia battaglia contro la Covid-19»

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Maria Vittoria Gronchi, 26 anni, di Pontedera, è a New York da 3 anni: «Qua, più hai voglia di fare, e più ti lasciano fare». E lei, indubbiamente, è una ragazza con gran voglia di fare. Fino a un paio di mesi fa, si occupava come project manager dei dati sui servizi di salute mentale negli ambulatori del NYC Health + Hospitals, il grande sistema sanitario pubblico della città, con 11 grandi ospedali e una rete di ambulatori e servizi in tutti i 5 distretti. Da quando è scoppiata l’emergenza Covid-19, Maria Vittoria, in smart working dalla sua casa a Brooklyn, gestisce i delicatissimi dati sui posti in terapia intensiva che, finamente, non sono più presi d’assalto come qualche settimana fa. Nello Stato di New York ci sono stati finora 320mila casi, 170mila a New York City. Le vittime: 20mila nello Stato e 14mila in città. Il lockdown è previsto fino al 15 maggio. almeno.


I primi sintomi

Intanto, l’11 marzo, Maria Vittoria ha cominciato a tossire: «Credo di essere stata contagiata da una collega, che nonostante stesse male non era stata messa in quarantena. Io dopo una decina di giorni sono peggiorata, e sono andata al Pronto Soccorso di Brooklyn dove alla lastra è risultata una polmonite.  La città non era ancora in lockdown e facevano i tamponi solo agli ospedalizzati. Ma quando hanno saputo che lavoravo nella sanità sono stata classificata come essential worker e me l’hanno fatto. Era positivo». Maria Vittoria è tornata a casa e lì è rimasta. Il suo compagno non si è ammalato. Dopo qualche settimana è migliorata, ma nessuno si è preoccupato di farle un altro tampone per sapere se fosse ancora positiva. «Invece so che in Toscana ti fanno una lastra per vedere se la polmonite si è risolta, e un tampone ogni due settimane».

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Non lasciarsi abbattere mai

Una situazione indubbiamente è stata difficile, ma Maria Vittoria non è una che si scoraggia. Nel suo curriculum può vantare un Double Degree in Economics and Management of Government and International Organizations in Bocconi; durante il master a Albany ha iniziato a lavorare nel Parlamento dello Stato di New York, poi è passata nell’ufficio del sindaco Bill de Blasio, dove  si è occupata di sanità pubblica. Quindi il salto nel NYC Health + Hospitals, una rete che cura 1,4 milioni di pazienti all’anno, e tra questi anche 400mila senza assicurazione: il più grande sistema sanitario degli Stati Uniti. Ed è per tutti, anche per gli immigrati senza documenti.

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La pandemia travolge la città

Nelle prime settimane di Covid-19, (il paziente 0 è del 3 marzo) New York è stata travolta: mancavano tamponi e mascherine, gli ospedali sonos tati presi d’assalto, medici e infermieri hanno perso la vita. «Ma il governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo,è stato dalla nostra parte, nella sua conferenza stampa quotidiana ha denunciato tutte le difficoltà». Poi è scattata la chiusura generalizzata, a parte i parchi che sono restati aperti. Poche le multe: «Se c’è una cosa che per noi europei è difficile da immaginare è quanto l’americano tenga alla sua libertà personale e non sopporti che venga limitata». La situazione ora è migliorata e dal 15 maggio dovrebbe iniziare la riapertura: «Ma Cuomo ha detto che si ripartirà a piccoli passi, e solo dopo 2/3 settimane si potrà fare il punto. «Prevale l’incertezza. Io non so quando potrò tornare a casa, a Pontedera, dalla mia famiglia».

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