Pelé, quando il calcio era samba

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Pelé
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Pelé, quando il calcio era samba ed allegria. La domenica sera televisiva è stata allietata da un incontro emozionante, con uno degli sportivi più grandi di ogni epoca: Edson Arantes do Nascimento, per tutti Pelé.

Fortunatamente esistono ancora squarci di bella televisione, dove non si litiga e non ci si insulta a vicenda, dove non si cercano anime gemelle, dove non ci si commuove a comando, magari poco prima della pubblicità. “Che tempo che fa” è, ormai da anni, una trasmissione dove l’informazione s’intreccia all’intrattenimento, sempre con garbo e con i giusti toni vocali. Nella serata di ieri, proprio all’interno della trasmissione condotta da Fabio Fazio, i telespettatori hanno ricevuto una gradita sorpresa.

In collegamento dalla sua Santos, in Brasile, è apparso sui nostri teleschermi una figura mitica del calcio, ovvero Edson Arantes do Nascimento, per il mondo intero semplicemente Pelé. Una figura mitica del calcio, per moltissimi, anche se non per tutti, il più grande calciatore della storia. Pelé, nei quattro angoli del mondo, è il simbolo assoluto del calcio, sinonimo di classe, fantasia, estro allo stato puro. Negli Stati Uniti fu scelto come giocatore simbolo per lanciare nel paese a stelle e strisce, il Soccer, il calcio americano.

Pelé e il suo calcio in bianco e nero

L’incontro con il campione brasiliano è stata anche l’occasione per rivedere le immagini del Pelé calciatore, quelle che hanno fatto sognare, gioire, piangere intere generazioni. Le immagini in bianco e nero risalivano a cinquanta, sessanta anni fa. Un bianco e nero che rappresentava un calcio irriconoscibile rispetto a quello dei giorni nostri. Il calcio di Pelé aveva l’anima brasiliana, era puro samba. Il pallone, tra i suoi piedi, era come uno strumento musicale, con cui iniziare una danza di gioia, tra avversari che non si rendevano conto di quello che stava avvenendo in campo.

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Era un calcio assai diverso da quello di oggi. Il calcio di Pelé era il piacere d’incantare, di tentare la giocata magica in grado di mandare in estasi il pubblico. Era il calcio dove tutti davano del tu al pallone, ovvero dove tutti conoscevano l’arte del prendere a calci un pallone. Il calcio odierno non è più così. I grandi giocatori di oggi, che indossano le maglie delle squadre di calcio più prestigiose del mondo, che guadagnano cifre iperboliche, hanno caratteristiche molto differenti.

Sono spesso armadi a quattro ante, con grandi masse muscolari, perché devono essere giocatori totali, che devono fare bene entrambe le fasi, quella difensiva e quella offensiva, devono correre, sempre e tanto. Ma, tranne rare eccezioni, con il pallone tra i piedi, offrono spettacoli indecorosi. La velocità di gioco è aumentata in maniera inversamente proporzionale alla tecnica. Questo fa sì che le gambe corrano, ma il cervello rimanga tristemente spento.

Con il cervello spento, si spegne ogni possibilità di creare. Nel calcio, come avviene nell’Arte, occorre sempre inseguire il bello. Il talento deve sempre avere l’opportunità di mostrare il suo volto migliore, non può essere rinchiuso in gabbie, in nome di un rigore tattico, tanto spesso sterile quanto monotono e noioso. Il calcio di Pelé, come quello di Gianni Rivera, aveva, nel suo DNA, una lucina sempre accesa, in grado di illuminare la scena, con la giocata che non ti aspetti, ma che il pubblico aspetta.


Pelé e Gianni Rivera

Non è un caso che il vero nome di Pelé sia Edson, in onore di Thomas Edison, colui che inventò la lampadina. E con Edson Arantes do Nascimento, in Arte Pelé la Luce fu. La Luce del Calcio.

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