Non è un paese per vecchi — e non è il film con Javier Bardem

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Non è un paese per vecchi — e non è il film con Javier BardemNon è un paese per vecchi — e non è il film con Javier Bardem

Quanti anni ho? Più di quaranta. 
Quanti me ne sento? Quindici, sedici. E seppure negli anni continui ad approcciarmi alle cose con lo stesso entusiasmo di un bambino, ogni tanto penso alla mia vecchiaia e francamente, mi preoccupo. 

Succede che qualche mese fa, durante una cena con la family, faccio una
domanda alle ragazze. 

“Mi chiedevo: quando sarò vecchia…” 

Giaco mi guarda con un’espressione traducibile in: amore, siamo già sul
viale del tramonto. Ma io lo ignoro e vado avanti. 

“Chi sarà di voi a prendersi cura di me?”

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So che faranno a gara per assicurarsi la mia custodia: è solo che mi piace
sentirglielo dire. 


“Io prendo papà!” dice Emma toccandolo.

“No. No, avevo detto che a papà ci pensavo io.” ribatte Carola. 

Quindi hanno già affrontato l’argomento privatamente?

Mi è appena caduta la forchetta dallo sgomento. 

“Ma come?” chiedo basita. 

Sono stata io a partorire, non papà. E lui cosa fa? Sta lì a pavoneggiarsi,
invece di dire come stanno le cose. Ci penso io: “Bimbe, lo sapete che la mamma
–– dopo avervi messo al mondo –– ha dovuto sedersi su una ciambella gonfiabile
per un mese?” 

Carola scoppia a ridere. Il tono ironico del mio discorso è stato inteso,
mi piace sdrammatizzare, ma non ho ancora capito se finirò all’ospizio oppure
no. 

“Mi ricambiate così?” 

“Mamma…” interviene Emma. “Tu sei la mamma migliore del mondo, ma papà è
più facile da gestire. Alla mattina basta vestirlo con un bel pigiamino ed è a
posto.” 

Giaco ha smesso di ridere. 

“Tu mamma, invece, non ti accontenti.” aggiunge Carola. “Metti che una
mattina ti svegli e hai voglia di metterti una cosa in particolare e mi mandi a
cercarla: io non ce la faccio.” conclude arresa. 

Seppure sia chiaro che dovrò cercarmi una badante, ho la testa tra le mani
e non riesco a smettere di ridere. 

La mia rivincita arriva qualche mese più tardi, dopo aver pubblicato un
articolo su Grazia. 

Raccontavo che, dopo il trasloco –– ancora sprovvista di Wi-Fi 
Fastweb –– avevo comprato una saponetta Wind da sessanta giga per lavorare, ma
di averla bruciata in due giorni per svago. Avevo passato l’intera settimana in
vestaglia a scrivere, ero sfinita, solo il cane era rimasto al mio fianco.
Dovevo prendermi una pausa. Emma mi aveva suggerito una serie su Netflix che si
chiama Skam Italia e dopo averla vista, quei quindici, sedici anni che mi sento
di solito erano impennati. 

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Dopo un confronto tra adolescenti –– tra me e mia figlia –– viene fuori che
il suo preferito è Niccolò e che io voglio farmi l’extension per avere i
capelli di Eleonora Francesca Sava. 

Le mie storie escono il venerdì e quello stesso venerdì mi scrive in direct
Giulia, una ragazza che ha letto il mio articolo. Mi dice che le è piaciuto e
vorrebbe coinvolgermi in un progetto. Il suo ufficio stampa segue Kinetic Vibe,
un’agenzia che si occupa di organizzare convention dedicate alle serie TV, per
citarne alcune: Gossip Girl, Once Upon A Time. In quelle occasioni, i fan
possono interagire con alcuni attori, si fanno foto, si chiacchiera, si pranza
insieme: 

in pratica è l’Eldorado di ogni ammiratore. 

Il progetto di cui mi parla si chiama Share The Love Con e riguarda Skam
Norvegia, Skam France, Skam Druck e Skam Italia. Giulia aggiunge che tra gli
attori presenti ci sarà anche Rocco Fasano, il Niccolò di Emma, e vorrebbe che
tenessi uno spazio con lui per intervistarlo.

Sono così eccitata che non posso fare a meno di raccontarle tutta la storia
dell’ospizio, lei scoppia a ridere e suggerisce di invitare anche Emma, visto
che il merito è stato suo. 

È fatta. 

Ed è proprio andata così: quando Emma lo ha saputo, ha promesso che quando
sarà necessario, si prenderà cura di me, della mia igiene personale e della mia
città armadio. 

La convention è fissata per sabato tredici giugno: serve sottolineare che
la mia vecchiaia è appesa a un decreto?

E nonostante tutto, quando ripenso a com’è nata questa storia, la cosa che
mi fa sorridere e che quello stesso venerdì, mentre sto uscendo dall’ufficio,
mi chiama Fastweb: ha letto l’articolo anche lui. Un’operatrice mi fa notare
che nel loro database, il modem risulta consegnato, ma nel mio articolo si dice
che avevo solo la saponetta. 

“Signora, scusi, ma io scrivo quando ho l’ispirazione e l’articolo l’ho
scritto prima della consegna.”

“No, ci mancherebbe! Io la disturbavo solo per assicurarmi che la Sua Wi-Fi
funzionasse.”

Che gentile, penso. “Va tutto alla grande.” rispondo divertita. 

“Posso chiederle un’ultima cosa?” 

“Prego.” 

“Come si chiama il cane del racconto?” 

Rido. 

“Si chiama Boy. Come Boy Capel: il grande amore di Coco Chanel.”

“È bellissimo.”  Lo so, anche se ha difficoltà con le scale e si chiude in ascensore.

Illustrazione di Valeria Terranova

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