Non abbiamo il diritto di chiedere ai sanitari di diventare eroi

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sanitari eroi coronavirus

Gli applausi vanno e
vengono. Il mantello di Superman fa spazio ai dispositivi di protezione
individuale asettici e il martello di Thor si trasforma in uno stetoscopio. I
sanitari sono diventati i nuovi eroi della nostra società. Nel bene e nel male.
Con tutte le conseguenze che ciò comporta.

Le parole danno forma al nostro mondo

Le parole, che ci
piaccia o no, danno un senso al nostro mondo. Le parole ci aiutano a costruire
la narrazione attorno alla quale ruota la nostra vita e, naturalmente, la vita
sociale. Le parole ci aiutano a costruire e distruggere. Ci arricchiscono o ci
limitano.

Questo è il motivo per
cui la Polizia del Pensiero della società distopica che George Orwell immaginò
nel suo libro “1984
perseguiva con particolare zelo le parole e vigilava attentamente il buon uso della
neolingua, il cui “scopo era
limitare la portata del pensiero e restringere il raggio d’azione della mente”.

Il suo libro, alcuni lo
sanno bene, è lungi dall’essere un’opera di fantascienza. Nell’ex Unione
Sovietica, coloro che mostravano particolare dedizione o produttività nel loro
lavoro venivano chiamati “eroi del lavoro”. Innalzare quelle persone
al livello degli eroi non aveva lo scopo di aumentare la loro autostima, ma di
motivarle a lavorare ancora di più e, nel contempo, incoraggiare gli altri a
seguire il loro esempio, perché la dedizione assoluta alla società era l’unica
cosa importante e prioritaria. La massima era cancellare ogni traccia di
individualità.

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Per questa ragione – e
per molte altre – dobbiamo stare attenti alle parole che usiamo. Perché “dalla cattiva o inetta costituzione delle
parole sorge un portentoso ostacolo della mente”,
come diceva Francis
Bacon. E così applicare la parola eroe ai sanitari può diventare una pericolosa
spada di Damocle sospesa minacciosamente sopra la testa.

Perché non dovremmo chiedere ai sanitari di essere eroi?

Nell’immaginario
popolare, l’archetipo dell’eroe si riferisce alla persona che si distingue per
aver compiuto prodezze straordinarie che richiedono molto coraggio. L’eroe non
solo dimostra grande coraggio, ma spesso si sacrifica per gli altri senza
aspettarsi alcuna ricompensa.


Tuttavia, in una nazione
preparata che ha chiare le sue priorità e protegge i suoi lavoratori, i medici
non dovrebbero essere costretti a intraprendere azioni “eroiche”. Non
dovrebbero essere costretti a esporsi al contagio per la mancanza di
dispositivi di protezione. Non dovrebbero essere costretti a lavorare con
sacchetti di plastica legati alla testa e al corpo. Non dovrebbero essere
costretti a fare infinite guardie in condizioni estreme che li rendono più
inclini a fare errori. In breve, non dovrebbero essere costretti ad assumere il
ruolo di eroi che abbiamo loro imposto. E, naturalmente, non dovrebbero morire
per tutto ciò.

Chiamarli eroi, anche se
può sembrare un riconoscimento, ha anche un lato negativo. Quella parola può
schiacciarli sotto il suo peso. Può portarli a chiedere troppo a se stessi,
oltre i limiti umanamente accettabili. Gli causa stress. Ed un’enorme
frustrazione quando non possono salvare delle vite.

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Chiamarli eroi significa
mettere tutta la responsabilità sulle loro spalle mentre ci aspettiamo che ci
salvino. Implica chiedere loro di immolarsi per noi. E tutto ciò aggrava il
danno emotivo di cui già soffrono. Così in fondo, gli facciamo del male
trasformandoli nei nostri eroi.

Infatti, la maggior parte
dei sanitari non si considerano eroi. Al contrario. E non è un eccesso di
umiltà, ma di buon senso. Vogliono solo fare il loro lavoro in modo
professionale, senza eroismo. E mentre molti accolgono con favore gli applausi
sui balconi, un momento che ci unisce come società e ci incoraggia ad andare
avanti, la maggior parte vuole che comprendiamo che l’applauso è una trappola
in cui siamo caduti o in cui siamo scivolati più o meno inconsapevolmente.

La trappola dietro l’eroicità

L’applauso e tutto il
discorso eroico che è stato costruito attorno ad essa è una trappola, la trappola
di trasformare un gruppo che è vittima di un’enorme ingiustizia in eroi della
società. Ed è un trucco vecchio quanto il potere: riempire i nostri occhi di
lacrime in modo da offuscare il cervello. Applaudire emozionati per non pensare
al motivo per cui dobbiamo applaudire. E così, mentre esaltiamo il loro lavoro,
li condanniamo a sopportare un peso eccessivo.

Mentre le foto degli
applausi riempiono le copertine, continuiamo a chiudere gli occhi sulle
condizioni di lavoro e di vita di molti di quegli operatori sanitari che sono
costretti a concatenare un contratto precario dopo l’altro, con l’instabilità
del lavoro alle calcagna. Eroi usa e getta, che in questo momento sono già
stati licenziati e relegati sempre più in fondo nella fila dell’importanza
sociale, in una società con una memoria troppo corta che non si ferma a lungo
per riflettere.

Per questo motivo, sono
sempre di più i sanitari che alzano la voce, perché non si considerano eroi o
martiri, ma vittime di un sistema che li mette nella difficile posizione di
esporre le loro vite per salvare gli altri. I nostri sanitari sono persone che
sono state mandate in guerra senza armi e a petto scoperto. Persone che
ammettono di aver visto “cose che mi
hanno lasciato scioccata, che non voglio più vedere, impresse nella mia retina;
ho visto prendere decisioni che non dovevano mai essere prese e per la prima
volta in tutta la mia carriera sono uscita piangendo impotente”,
ha
raccontato un’infermiera.

Persone che stanno avendo
incubi per ciò che stanno vivendo e che pensano addirittura di lasciare il lavoro
quando tutto sarà finito. Persone che non riescono a trovare rifugio e
protezione nella loro casa. Che non possono abbracciare i loro figli quando
tornano a casa e talvolta devono persino sopportare gli attacchi
e le umiliazioni di coloro che li considerano “appestati”
. E
queste persone non vogliono applausi, vogliono solo che le ascoltiamo. Vogliono
che quando smettiamo di applaudire, ci uniamo per cambiare un sistema che li ha
annullati e trasformati in vittime.

Anche se forse, è troppo
da chiedere. Perché neppure noi siamo eroi. Ma insieme, se volessimo, potremmo
dare loro il posto che meritano nella nostra società.

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