Nicolò Carosio, l’Omero del pallone

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Qual è il senso di trovare a ogni costo l’Atleta? Troppe sono le dinamiche in gioco: cambiano i tempi, cambiano i mezzi a disposizione, cambia la cura ai particolari, cambiano i particolari stessi.

Allora, forse, anziché cercare ostinatamente il GOAT (Greatest Of All Times) – cosa che invece può andare benissimo nelle dispute “da bar” – è più divertente, nonché elegante, mettere in rilievo chi ha lasciato la propria firma, chi ha cambiato la storia prendendo, con coraggio o incoscienza, in mano la situazione e scrivendo nuove coordinate d’arrivo, magari di luoghi ancora sconosciuti.

E non si tratta ovviamente solo di luoghi fisici, ma anche di idee, sogni, visioni.

38 anni fa – il 27 settembre del 1984 – ci lasciava Nicolò, non il GOAT ma sicuramente uno di coloro che hanno segnato in profondità la storia dello sport. Nicolò non correva su un prato, men che meno su un parquet: faceva invece parte dell’altra faccia della medaglia, quella di chi racconta lo sport.

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Fu il primo radiocronista sportivo in Italia, uno dei primissimi a parlare in televisione commentando una partita di pallone. In Inghilterra, dove visse per seguire il padre nei suoi impegni lavorativi (era un ispettore di dogana), rimase affascinato dalle voci della BBC che riassumevano gli highlights dell’incontro una volta che era terminato: tornato in Italia, nel 1932 si propose all’EIAR. In occasione del “provino” che gli concessero, stupì tutti improvvisando un immaginario derby della Mole.

Gli assegnarono immediatamente un posto come collaboratore esterno, ruolo che mantenne per l’intera carriera.

Le sue parole e le sue vicende furono sempre immerse nella storia: questa ne decretò la nascita e il successo, lo accompagnò negli anni, ma allo stesso modo lo soffocò, ingiustamente e senza colpa alcuna.

La sua voce iniziò a echeggiare nelle case degli italiani proprio mentre il fascismo si stava affermando con sempre maggiore vigore nel Bel Paese; e proprio a questa ragione dobbiamo i neologismi che tuttora utilizziamo quando goal, corner e cross non ci stanno a genio: “rete”, “calcio d’angolo” e “traversone” sono nati da quelle labbra che per quasi 40 anni hanno raccontato le gesta delle undici maglie azzurre tra mondiali, europei e le più disparate competizioni.

Tutto perché, di parole inglesi, doveva farne a meno.

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Nel 1949 avrebbe dovuto essere presente pure lui a Lisbona assieme al Grande Torino. La cerimonia della cresima del figlio Paolo gli salvò la vita perché quell’aereo non atterrò mai in Italia: il suo volo si infranse sulla basilica di Superga, lasciando senza scampo Mazzola e gli altri 30 esseri umani a bordo.

Fu invece un’accusa di razzismo a uccidere il Nicolò radio-telecronista, durante i mondiali in Messico del 1970.


L’11 giugno l’Italia si trovava di fronte alla formazione israeliana, avversario che doveva essere tanto facile sulla carta quanto ostico si rivelò poi sul campo: il risultato finale fu un deludente 0-0, ma a lasciare l’amaro in bocca a un popolo intero fu la rete annullata a Gigi Riva dall’assistente dell’arbitro brasiliano Vieira de Moraes, l’etiope Sejum Tarekegn.

E fu proprio questo il termine utilizzato da Nicolò, che nemmeno in quella circostanza così difficile da commentare venne meno all’eleganza e al suo essere Signore che lo aveva contraddistinto in tutta la sua carriera, fino a quel momento.

Non fu lui a pronunciare la parola “negraccio”, né “Negus”: semplicemente “l’etiope”, un dato di fatto, con nessun intento denigratorio. Sicuramente le accuse non piovono dal cielo e quelle espressioni da qualche bocca sono partite e da qualche orecchio sono state assorbite.

Purtroppo, però, per il primo poeta del calcio, la confusione attorno a questo episodio regnò sovrana fino al nuovo millennio: fu Massimo De Luca a “scarcerare” l’immagine di Nicolò, prima in un libro scritto a quattro mani con Pino Frisoli (Sport in TV)poi in una delle sue domeniche sportive e infine con uno spettacolo teatrale, Quasi goal.

Il 27 settembre del 1984 ci lasciava Nicolò Carosio. Il più grande cantore del calcio italiano? No, ma sicuramente il primo, colui che diede il via a una dinastia – non di sangue, ovviamente – di poeti dello sport, di modelli.

Perché se è vero che ogni bambino sogna almeno una volta di indossare la maglia della nazionale, è altrettanto vero che ogni bambino sogna almeno una volta di narrare con la propria voce le gesta di quella stessa nazionale. Il giornalismo sportivo non è uno sport, ma fa innegabilmente parte di esso, e questo lo dobbiamo anche a Nicolò, l’Omèro del Pallone.

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Redazione MusaNews
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