L’avvertimento di Eraclito: viviamo intrappolati nella Doxa – e non lo sappiamo

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cosa è la doxa

Secoli fa, nella piazza di Efeso, i cittadini più importanti si incontravano per discutere di questioni politiche e prendere decisioni sul futuro della città. Dicono che Eraclito – uno dei filosofi più lucidi di tutti i tempi ma opportunamente dimenticato – lasciò la piazza per ritirarsi nel tempio di Artemide e giocare a dadi con i bambini.

Agli Efesini non piacque la sua decisione. Speravano che, se il filosofo si fosse ritirato nel tempio, fosse per immergersi in pensieri sacri e profondi, non per giocare con i bambini. Alla domanda, Eraclito rispose: “Perché vi sorprendete? Non è forse meglio fare questo che prendersi cura della città insieme a voi?”


Il filosofo, dal quale ci si poteva aspettare serietà, coinvolgimento sociale e profondità, non solo si abbandonò a un’attività ludica con i bambini, ma con le sue parole e il suo comportamento liquidò come futile l’attività “importante” dei suoi concittadini.

In realtà Eraclito non si allontanava dai suoi concittadini spinto da arroganza, ma si allontanava dall’insieme di convinzioni, punti di vista e tradizioni che gli uomini non sanno spiegare ma che plasmano il mondo delle opinioni, o usando il termine greco, dalla doxa.

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Cos’è la doxa?

Il termine doxa (δόξα) viene solitamente tradotto come opinione, ma in realtà è ciò che ci sembra ovvio ma non sappiamo spiegare, qualcosa di cui parliamo senza porci troppe domande. Sono, per esempio, quelle tradizioni che seguiamo senza comprenderne la ragione d’essere. O quelle opinioni che abbiamo fatto nostre, ma che non possiamo giustificare.

La doxa è, quindi, un’interpretazione infondata di ciò che accade. Non sono i fatti o le cose in sé, ma il discorso che ne elaboriamo. È un velo che stendiamo su eventi e cose fatti per abitudine, o semplicemente perché ci fa più comodo abbracciare le stesse opinioni degli altri.

Il problema è che finiamo per confondere questa doxa con la realtà dandole la dignità di verità. Di conseguenza, finiamo per essere accecati dal flusso del pensiero prevalente che modella quella doxa.

Per allontanarci dalla doxa, Eraclito capisce che deve prendere le distanze dalle certezze consolidate degli adulti e giocare con i bambini, che ancora non hanno dei pregiudizi, ma sono abituati a martellare i loro interlocutori con una catena infinita di “Perché? cosa?”.

Eraclito pensava che un libero pensatore dovesse assumere la ricerca della conoscenza con una mente quasi infantile, aperta a tutto, che tutto mette in discussione e fa del “perché” la sua bandiera. Tuttavia, a differenza dei bambini, il libero pensatore è consapevole della doxa e non cerca le risposte nei suoi genitori o in un’autorità esterna, ma segue un processo di ricerca personale.

Per questo Eraclito diceva che “non dobbiamo parlare e agire come figli dei nostri genitori”. Si riferiva alla nostra tendenza a prendere per buono quello che ci è stato insegnato, senza metterlo in discussione, limitandoci esclusivamente a ripetere vecchi modi di pensare. Infatti, per il filosofo nessuna tradizione, punto di vista, costume o autorità civile o religiosa ha il minimo valore se non si sottopone alla prova della verità, se non è aperta a mettere in discussione i propri dogmi.

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La religione è, per molti versi, l’epitome della doxa perché aspira a far accettare ai credenti le sue “verità” per fede, quindi senza rifletterci sopra. Naturalmente, Eraclito non stava dicendo che il contenuto delle opinioni o delle idee socialmente condivise è necessariamente falso. Sosteneva semplicemente che molte di queste sono infondate e non hanno una base incontrovertibile che le dimostri perché non sono state sottoposte al test del logos.

Il Logos, l’antidoto alla doxa

Non possiamo affermare di conoscere una cosa solo perché l’abbiamo sentita, perché il buon senso ce la impone, o perché ci è stata trasmessa dalla società o dalla famiglia. Solo perché “le cose sono sempre state fatte così” non significa che così vada bene.

Eraclito contrappone il logos alla doxa. Logos non è conoscenza, parola o pensiero, come comunemente si crede. Non è un sistema di verità inamovibile. Logos, e il verbo leghein, che deriva dalla radice leg, in realtà significano raccogliere o riunire, quindi è più un processo che un risultato finale.

Oggi potremmo tradurre logos come pensiero, ma per i filosofi antichi questa parola era molto più di questo perché implicava il processo di scoperta dell’essenza delle cose e dei fenomeni, spogliandole degli strati interpretativi sociali con cui di solito ci vengono presentati.

Pertanto, logos è far luce su qualcosa, mostrare le cose come sono nell’essenza e, naturalmente, fondamentare ciò in cui crediamo. Il logos è un percorso di scoperta in cui osiamo abbandonare le certezze e le convinzioni che normalmente ci danno sicurezza, per mettere in discussione tutto e vedere oltre ciò che ci mostra la società in cui viviamo.

Sappiamo qualcosa solo quando possiamo dimostrare che ciò in cui crediamo è vero, quando possiamo spiegare il perché con logica e coerenza, con un discorso proprio e meditato. Tutto ciò che ripetiamo senza capirlo si allontana dal logos e si avvicina alla doxa. Di queste persone, Eraclito disse: “assomigliano ai sordi perché ascoltano senza capire. Non capiscono le cose che incontrano, neppure avendole imparate le conoscono, ma a loro sembra di sì”.

L’invito di Eraclito è chiaro: non conviene fidarsi ciecamente di quell’insieme di norme, valori e modi di pensare solo perché condiviso da gran parte della società o difeso dall’autorità del momento, ma bisogna pensare liberamente per arrivare alla nostra verità.

Fonte:

Palazzo, S. (2015) Eraclito e Parmenide: essere e divenire. Milano: Hachette.

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Redazione MusaNews
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