Una reporter freelance dallo spirito libero, animata da una grande passione per la scrittura, combattuta col suo desiderio di maternità in un mondo maschile. Più attuale di così: invece siamo a metà Ottocento, lei è di Novara, si chiama Maria Antonietta Torriani e diventerà protagonista della vita culturale milanese con lo pseudonimo ironico di “Marchesa Colombi”, rubato al personaggio di una commedia.
Firma del Corriere
È stata la prima firma femminile sul Corriere della Sera, oltre che una delle prime donne in Italia a guadagnarsi davvero da vivere facendo la giornalista. È una giornalista del Corriere di oggi, novarese come lei, Maria Teresa Cometto, a raccontarne la storia coinvolgente in un libro appena uscito per la casa editrice Solferino dal titolo La marchesa Colombi, la prima giornalista del Corriere della Sera.
Partire: una scelta coraggiosa
Maria Antonietta nasce il primo gennaio del 1840 a Novara, sotto il segno del Capricorno: il papà muore presto e la mamma si risposa con un uomo di quarant’anni più vecchio che può garantirle un sostegno economico. Quando anche la mamma viene a mancare, Maria Antonietta si ritrova a 25 anni “zitella” e con un’eredità di 4.500 lire che potrà incassare solo al trentesimo compleanno.
La scelta di trasferirsi
Meglio partire. Addio, risaie sorgenti dall’acque nelle campagne novaresi: non ne sentirà la mancanza Maria Antonietta, novella Lucia che sogna Milano, confidando di poter vivere di scrittura. Trova un alloggio temporaneo in un convento a Miasino, sul Lago d’Orta, sfruttando il suo diploma da maestra. Ma la donna sa che la sua arma segreta è la penna: se a scuola nei lavori femminili era «mediocre», in lettere era «assai grande», come ci racconta Cometto.
Spirito guerriero
Gli inizi non sono facili, ma lei ha un’intuizione: scrive al direttore de L’Illustrazione Universale, rivista settimanale di cui è lettrice. Gli manda qualche suo lavoro, qualche poesia, ma soprattutto gli racconta spassionatamente le sue disavventure. A ricevere le sue lettere è Eugenio Torelli Viollier, classe 1842, padre napoletano e madre francese, anima inquieta, ex garibaldino, ex collaboratore di Dumas, da poco nominato direttore dell’Illustrazione da Edoardo Sonzogno in persona. Eugenio riconosce nella sconosciuta il suo stesso spirito guerriero e la esorta a raggiungere Milano. Lei non se lo fa ripetere: ed è subito amore per la città e per Eugenio. Del resto Maria Antonietta è milanese nell’anima, piena di energia, sveglia, con voglia di fare.
Due donne appassionate
In poco tempo si fa conoscere da molte testate e debutta come autrice di narrativa. Ottiene il primo ingaggio da freelance e scrive di tutto, dai racconti alle poesie, dagli articoli di critica letteraria a quelli di costume: solo diversificando può aspirare all’indipendenza economica, cosa singolare per una donna di quel tempo. Nel 1870 si ritrova trentenne single a Milano.
Riscuote l’eredità
Ha riscosso l’eredità, un gruzzoletto discreto, ma non certo sufficiente per vivere di rendita. È curiosa di tutto e frequenta ambienti in fermento, dove si discute di idee progressiste. Così conosce Anna Maria Mozzoni, attivista per i diritti delle donne, suffragista della prima ora. Collaborano al primo giornale diretto e scritto da penne femminili, La donna, e fondano un liceo per ragazze intitolato alla matematica illuminista Maria Gaetana Agnesi. Ma le iscrizioni sono poche e il progetto naufraga, così come la storia con Eugenio, presissimo con la sua nuova creatura, il Corriere.
Diventa femminista
Insieme ad Anna Maria prosegue l’opera di sensibilizzazione femminista in giro per l’Italia: Genova, Firenze, Bologna, dove Maria Antonietta conosce Giosuè Carducci con il quale inizia una relazione epistolare e forse qualcos’altro, almeno finché il poeta, sempre sensibile al fascino femminile, è preso da una nuova simpatia per Lina Cristofori Piva, la famosa Lidia delle Odi Barbare, per giunta amica di Maria Antonietta.
Amicizia con Carducci
In compenso il «fiero poeta repubblicano» le dedica la poesia Autunno romantico. «O Jole, amiam l’ultima volta». Nel frattempo si rifà vivo Eugenio. Sul Giornale delle donne Maria (non più Antonietta) annuncia che inizierà a firmarsi “Marchesa Colombi”: non vuole farsi passare per aristocratica, quello è il nome del personaggio di una commedia satirica di Paolo Ferrari, definita nel copione «un tipo fra la civetteria, l’eleganza e la maldicenza, tutto condito di brio e grazia squisita». E le pagine che lei scriverà saranno inconfondibili: userà l’ironia per scardinare le consuetudini della sua epoca e per risvegliare nelle donne la consapevolezza di sé.
Il debutto sul Corriere della Sera
Il 30 ottobre 1875, vestita di rosa, sposa Eugenio in comune a Milano. Sul registro si fa togliere sei anni (in realtà ne ha due più dello sposo). Meno di un anno dopo il matrimonio, nella primavera del 1876, uscirà il primo numero de Il Corriere della Sera e Maria vi debutta con una rubrica dove racconta le nuove tendenze nell’abbigliamento femminile. Sono anni belli, di agi, salotti e cultura. Mancherebbe solo un figlio per essere felici.
Un matrimonio in provincia
La nipote Eva, figlia della sorella maggiore, splendida sedicenne, si trasferisce da loro. E mentre la bellezza di Eva fiorisce, Maria inizia a vedere allo specchio le prime rughe: si sfoga scrivendo il più famoso dei suoi numerosi romanzi, Un matrimonio in provincia, racconto di una unione infelice in quel di Novara. C’è molto di autobiografico: la bella Eva ha un carattere intrattabile e Maria sospetta che tra lei ed Eugenio ci sia qualcosa. I battibecchi sono all’ordine del giorno.
La fine dell’amore
Poi la tragedia: una sera, a casa di amici, la nipote, depressa, si butta dal quarto piano. Tormentati dai sensi di colpa, marito e moglie si separano. Eugenio torna a vivere con la sorella minore Luisa, che ha sempre avuto con lui un morboso rapporto materno; Maria si avvicina alla famiglia del fratellastro Tomaso e si dedica a quei piccoli che non ha avuto, collaborando con Il Giornale per i bambini, diretto da Carlo Collodi. Eugenio non avrà mai altri amori e lei manterrà il cognome del marito.
Se ne va a 80 anni
Lui soffre di cuore e la sua salute peggiora, come il clima politico. Muore nel 1900, a 58 anni, lasciando a Maria solo il dovuto per legittima. Maria gli sopravvive di un ventennio, defilandosi dalle scene mondane ma sempre attiva nell’impegno sociale come pacifista umanitaria. Quando se ne va, a 80 anni, il 24 marzo del 1920, ha scritto tanto: saggi sull’educazione femminile, racconti, novelle, opere teatrali, libri per l’infanzia e romanzi, più di quaranta titoli di taglio verista che parlano di donne di ogni condizione sociale, sempre sul tema della questione femminile, senza mai piangersi addosso, in uno stile attualissimo. Sulla sua lapide non vuole date di nascita e di morte: come direbbe la Marchesa Colombi nel suo popolare galateo, non si chiede mai l’età a una signora.
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