La donna che visse due volte — e non è il film con Kim Novak

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Il 2020 era iniziato da qualche giorno e io ero sul punto di finire un romanzo che avevo cominciato a scrivere per gioco due anni prima. Un racconto a puntate con cui avevo dato vita a Melissa e ai personaggi che con lei facevano la storia.

Il primo che avevo scritto
era incentrato su una parte della mia vita, su episodi realmente accaduti, gli
elementi di fantasia erano pochissimi; con questo invece era diverso, era
totalmente frutto della mia immaginazione. Scritto così, di settimana in
settimana — con il terrore di non riuscire a rispettare la consegna delle
puntate ai lettori — senza un piano, senza una strategia, solo improvvisazione.
Ripensavo ai fatti salienti e con piacere constatavo che erano tutti nati per
caso. Mi tornò in mente la storia che diceva Massaron: i personaggi fanno ciò
che vogliono, se ne fregano di ciò che ha in testa l’autore. Sembrava una sorta
di stregoneria e invece aveva ragione. Mi ero messa alla prova motivando la mia
mente ad allenarsi perché potesse creare qualcosa di suo. E siccome in
situazioni estreme, tiro fuori il meglio per salvarmi il c**o, ero arrivata a
scrivere una settantina di puntate.
Not For Fashion Victim mi aveva permesso di imparare mantenendo in me la
meraviglia del lettore. E ora che dovevo inventare un finale, ero emozionata.

Il nove di gennaio giungo alla conclusione del romanzo. L’ho
scritto in tre puntate, Giaco e Valeria hanno deciso di leggerle tutte insieme.
Le riguardo di nuovo, una dietro l’altra, controllo che non ci siano errori,
faccio un bel respiro e premo invio. Il display del telefono mostra che il
messaggio è stato consegnato.
Aspetto. Aspetto come si aspetta l’esito di un test di gravidanza. Cammino
avanti e indietro per la stanza facendo una stima del tempo che può servire per
la lettura, per farsi un parere, per ricevere un responso.
Un responso che arriva poco più tardi.
Entrambi sono entusiasti — ma era prevedibile: sono di parte. Forse, per il
momento, è meglio che il finale rimanga segreto. Ora tocca a me dare un
giudizio. Metterò insieme tutte le puntate e cercherò di amalgamarle per
rendere il racconto più fluido. Dovrò lavorarci parecchio e siccome non si può
fare affidamento su personaggi ribelli e impossibili da gestire, non voglio
fare anticipazioni.

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Dopo due settimane, ho una bozza che mi sembra buona, decido di
spedirla al mio agente letterario perché possa farla leggere a un critico da
cui avere un parere. In attesa di un responso arbitrario, riprendo a scrivere
la storia di Eva e dieci giorni più tardi, ho due puntate pronte. Decido di
lanciare la prima il lunedì successivo: i lettori saranno felici, ma sono io a
rallegrarmi un po’ meno quello stesso lunedì, quando ricevo il responso
arbitrario. Il mio agente me lo ha inviato per email. Sono seduta accanto al
letto, il telefono è fissato alla presa di corrente. Apro il documento e in
silenzio, inizio a leggere.

Seppure veda scritto che ‘il romanzo ha un grande potenziale e tanti spunti interessanti’, le pecche — quelle che io stessa aveva notato — ora sono nero su bianco, e non sono state una svista. Mi sono complimentata con me stessa troppo in fretta. Credevo di aver rispettato la psicologia dei personaggi, invece, in alcuni punti, ho l’impressione di averla forzata. Anche la credibilità delle vicende narrate, che prima giudicavo buona, ora mi sembra debole. Sono stata brava, ma non abbastanza. O forse no.
Ho solo concepito il romanzo in maniera differente: un racconto a episodi è diverso da uno destinato a leggersi tutto d’un fiato. Se sulla pagina di Facebook sono sempre stata io a dire ai lettori quando smettere, con un romanzo intero saranno loro a deciderlo.
Con un piano e un dietro le quinte, so di poter scrivere una storia migliore, ed è ciò che ho intenzione di fare.
Per il bene del ritmo narrativo, ci sono episodi a cui dovrò rinunciare. Per compensare ne inventerò altri e darò spazio ad alcuni personaggi che nella prima versione hanno avuto un ruolo marginale. Anche il finale che ho già scritto potrebbe cambiare.
Un film è diverso da una fiction: è ora di andare in scena, di lavorare sodo, di scrivere una nuova storia, ma non una qualunque: è di Melissa che stiamo parlando.

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Illustrazione di Valeria Terranova

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